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Agli americani piace la propria guerra

di Robert Fisk - 12/06/2006

 

"Chi può fermarci se nutriamo di noi stessi la più alta considerazione, se combattiamo una battaglia senza fine contro gli assassini dell’11 settembre e del 7 luglio, solo perchè amiamo il nostro paese e il nostro popolo (ma non gli altri popoli)? E così ci sentiamo come tanti Sir Galahad, come dei crociati, e raccontiamo ai popoli che invadiamo che gli stiamo portando la democrazia"

E se Haditha fosse solo la punta dell’iceberg?

I corpi senza vita che abbiamo visto per pochi attimi, le file di cadaveri e i bambini morti: e se fossero solo una piccola parte del totale? E se l’operato dell’esercito americano andasse ben oltre tutto ciò?

Ricordo chiaramente il momento in cui per la prima volta ho avuto il sospetto che in Iraq stessero avvenendo dei massacri nel nostro nome. Ero in una camera mortuaria a Baghdad e stavo contando i cadaveri, quando uno dei medici anziani, un vecchio amico, mi confidò le sue paure. “Tutti portano dei corpi qui,” mi ha detto “ma quando sono degli americani a farlo, riceviamo l’ordine di non compilare nessun documento post mortem. Ci danno ad intendere che è gia stato fatto. Qualche volta ci danno un pezzo di carta come questo e un corpo”. A questo punto mi fa vedere un documento militare americano con sopra la scritta “ferite da trauma”.

Che tipo di trauma si sta vivendo adesso in Iraq? Chi sta compiendo le uccisioni di massa? Chi sta ammassando i cadaveri come se fossero montagne di spazzatura? Dopo Haditha i nostri sospetti stanno prendendo di nuovo forma.

Non ha senso dire che la colpa è solo di “alcune mele marce”. Tutti gli eserciti di occupazione sono corrotti. Ma proprio tutti commettono crimini di guerra?

In Algeria si stanno ancora scoprendo fosse comuni lasciate dai parà francesi che spazzarono via interi villaggi. Siamo a conoscenza degli stermini dell’esercito russo in Cecenia. Tutti conosciamo la storia della “Domenica di Sangue” in Irlanda. Gli israeliani rimasero a guardare mentre il loro esercito mandatario libanese faceva fuori e massacrava 1700 palestinesi. Ovviamente lo sterminio di My Lai (quando civili inermi vennero uccisi durante la guerra del Vietnam) non può che tornarci in mente.

Sì, i nazisti erano molto peggio. E anche i giapponesi e i croati Ustascia. Ma questo riguarda noi. Il nostro esercito. Questi giovani soldati ci rappresentano in Iraq. E hanno sangue innocente sulle loro mani.

Secondo me, parte del problema è che non ci siamo mai veramente interessati dell’Iraq, ecco perchè ci siamo rifiutati di contarne i morti. Nel momento in cui gli iracheni si sono rivoltati contro l’esercito di occupazione con le bombe collocate sul ciglio della strada e le macchine imbottite di esplosivo, gli americani hanno cominciato a chiamarli “sporchi asiatici disumani”, come già fecero con i vietnamiti.

Dateci un presidente convinto di combattere il Male e ci ritroveremo a credere che i bambini iracheni hanno le corna e il piede biforcuto.

Ricordatevi che sono musulmani e possono tutti diventare dei piccoli Mohamed Attas. Fare fuori una stanza piena di civili è come quando con i raid aerei si disintegra una cellula terroristica, per poi scoprire che si trattava solamente di una festa di matrimonio, come in Afghanistan, oppure di un misto di “terroristi” e bambini. O magari, come sicuramente ci diranno fra un po’, di “terroristi-bambini”.

In ogni modo, anche noi reporter siamo da biasimare. Incapaci di uscire da Baghdad o dai dintorni di Baghdad, l’immensità dell’Iraq è come se fosse coperta da una vasta ombra. Ogni tanto vediamo delle luci nella notte, una Haditha o due nella notte, ma pavidamente rimaniamo a contare il numero dei “terroristi” apparentemente catturati in qualche remoto angolo della Mesopotamia. Per paura delle guerriglie degli insorti, non possiamo investigare. E agli americani sta bene così.

Alla fine dei conti diventa un’abitudine. Gli orrori di Abu Ghraib sono già finiti nel dimenticatoio.
Erano abusi, non torture. E poi salta fuori la storia di un giovane ufficiale dell’esercito americano, processato per aver ucciso un generale iracheno infilandolo a testa in giù nel sacco a pelo e sedendosi sul suo petto. Naturalmente, solo poche righe di giornale. Chi se ne importa se un altro iracheno mangia la polvere? Loro non stanno forse uccidendo i nostri ragazzi mentre questi cercano di combattere il terrore?

Chi può fermarci se nutriamo di noi stessi la più alta considerazione, se combattiamo una battaglia senza fine contro gli assassini dell’11 settembre e del 7 luglio, solo perchè amiamo il nostro paese e il nostro popolo (ma non gli altri popoli)? E così ci sentiamo come tanti Sir Galahad, come dei crociati, e raccontiamo ai popoli che invadiamo che gli stiamo portando la democrazia. Non posso fare a meno di chiedermi quanti degli innocenti massacrati a Haditha hanno avuto effettivamente l’opportunità di votare... prima che i loro “liberatori” li facessero fuori tutti.

 

Robert Fisk scrive per 'The Independent' e collabora regolarmente con il sito 'Counterpunch'. Corrispondente da Beirut del quotidiano britannico, è un esperto di questioni mediorientali. Ha intervistato tre volte Osama bin Laden.

 


Fonte: Counterpunch
Tradotto da Elena Cortellini per Nuovi Mondi Media