L’incanto della lingua tuareg
di Carlo Ossola - 19/06/2006
Nell’idioma dei nomadi del deserto il monaco,ucciso novant’anni fa, incontrò una sintonia con la sua vocazione che lo spronò a raccogliere parole e canti degli «uomini blu»«Ti rendo grazie, Dio che conservi le creature, / che m'hai dato un mehari e la sua bardatura, / e hai messo l'anima nel corpo ov'essa viaggia col pensiero» (Chants Touareg, Parigi, Albin Michel, 1997). Chi raccoglie, di duna in duna, di tenda in tenda, tra carovane e lunghe settimane di polvere e silenzio, questi canti tuareg è Charles de Foucauld: quasi seimila versi registrati a mente e su quaderni in più anni di deserto sino al 1907, e poi copiati e tradotti alla lettera, in francese, sino al 28 novembre 1916, giorno in cui annota: «Fini poésies touarègues». Tre giorni dopo, il 1 dicembre 1916, Charles de Foucauld è assassinato nel suo romitorio di Tamanrasset, perché il Male della guerra non ha confine. Troveranno nel suo diario una nota asciutta: «Vivi come se tu dovessi morire martire oggi».
Moriva così, nel canto e nel dono di sé, una delle più nobili figure del Novecento, disparendo per anni nell'oblio, risorgendo poi grazie alla parola di amici che avevano custodito quel ricordo. Tra essi, Louis Massignon, grande arabista e studioso della mistica, professore poi al Collège de France, al quale Charles de Foucauld aveva scritto, il 15 maggio 1910, dal fondo del deserto algerino: «Siamo tutti così fragili! Ma non lo vediamo. Il nostro Sposo ci fa un gran dono nel mostrarlo a noi. Santa Teresa preferiva un giorno di conoscenza di sé a un giorno di consolazione». Il nostro Sposo: il deserto non è il gran vuoto, la negazione dell'asceta, ma è l'immenso ascolto degli inni che il vento porta dalla notte dei tempi, dal profondo dei cuori, che unisce le anime, i corpi, progenie del cammino verso la Tenda: «Gloria a Dio che effonde / calore sul cuore del figlio di Adamo; / penetra nei suoi atrii e lo infiamma. / Colui che non ti è fratello né parente, / che non è con te, delle tue parti, / ove vi vedete e frequentate, / in te prende discendenza / bimbi che hanno grazia e sillabe cinguettano" (Le Mariage, dai Chants Touareg).
Mentre il mondo si fa piccolo, e strett o e arido è il presente, la parabola di Charles de Foucauld indica una traccia: mettersi in viaggio non per l'altrove, ma per l'interno: «Ricordatevi - scriveva a Massignon da Béni-Abbès, nell'estremo sud della regione di Orano, il 5 aprile 1909 - che avete un fratello nel Sahara, e che se la vostra anima ha bisogno di qualche mese di santo Balsamo - quel santo Balsamo che è sovente il più imperioso bisogno dell'anima e il coronamento della vita terrena - ebbene il santo Balsamo vi attende nell'Ahaggar, ove sarò fra due mesi».
In quei lunghi anni di deserto (1901-1916) apprende che noi siamo il nostro limite: dalla sabbia, dal vento, dai colori degli orizzonti, dall'infinita eco delle notti registra le voci di tutto ciò che non ha confine: amore, memoria, desiderio, canto. I Tuareg nomadi sono il suo tesoro: passi, mantelli, carovane, qualche sosta, solitudini. Allo scoppio della guerra aveva quasi concluso la sua ciclopica opera: farsi la memoria di un popolo. Scrive alla sorella il 10 febbraio 1914: «I miei lavori sulla lingua tuareg avanzano celermente. Sto ultimando: 1. Dizionario sintetico tuareg-francese; 2. Dizionario nomi propri tuareg-francese; […] 5. Raccolta di poesie e proverbi tuareg».
Chi legga oggi il quasi introvabile Dictionnaire Touareg-Français, in quattro volumi manoscritti, riprodotti in facsimile dall'Imprimerie Nationale de France nel 1951, rimane incantato dalla bellezza di quelle definizioni che sono orlo d'infinito, colore dell'invisibile: aridità e rivoli, vampe brunite, incandescenze d'orizzonti, rosso su rosso, come gli anni di Picasso, materia pura: «Teggedeout: il fatto di essere rosso cupo, o rossastro intenso, o d'essere bruno-rosso; il fatto di essere d'un tono intermedio tra il rosso cupo, il bronzeo, il rossastro intenso». Ma anche lentissime gocce di pensiero: «Belet: raccogliere all'interno [un liquido] per sgocciolìo insensibile lungo le pareti, il soggetto essendo un pozzo, un recipiente, che poco a poco s'empia, quasi per trasudazione. O ancora un recipiente che, dopo aver contenuto un grasso, come burro od olio, del quale sia stato svuotato, trattenga, alle sue pareti interne, un po' di materia grassa che, riscaldata, coli goccia a goccia e si raccolga sul fondo. Per estensione: raccogliere nel proprio interno i pensieri, raccogliersi e riflettere». Ma anche l'abbandonarsi al nulla della pura perdita di sé: «Bennen: non guadagnare nulla, non avere profitto. Può avere per soggetto qualsiasi persona, che non guadagni nulla perché non fa nulla, o che lavori in pura perdita perché il suo lavoro non gli riesce o perché non riceve il suo salario».
Quasi un'autobiografia: quella «pura perdita» del sé, che è l'unica cosa di noi che sia in nostro possesso. Percorrere quei quattro volumi è più che aver visto tutti i continenti: è aver raggiunto il sesto, quello del proprio cuore. La Chiesa del XX secolo ha celebrato, ha elevato agli altari coorti di santi: ha coronato se stessa, le proprie opere, le proprie schiere, miracoli, conversioni, santuari, modelli di vita. La beatificazione di Charles de Foucauld è giunta tardi, un giorno di novembre 2005: poiché egli non operò nulla, fu - come il suo Cristo - soltanto efsi: «Disgregare, disgregarsi. Si dice di una casa, di un muro, di un rifugio, di una tenda, di un tavolo, di una cassa, di un orologio. Per estensione: smontare, in maniera di formare con i resti una sola massa. Significa altresì: liquefarsi, il soggetto essendo una materia suscettibile di stato solido o liquido: burro, grasso, ghiaccio, neve, ecc. In senso figurato: pacificarsi, essere pacificato».
Charles de Foucauld: il sant'Efsi, pace di un solco di silenzio nel rombo della ferraglia che chiamiamo storia.