I danni collaterali delle dispute pseudoscientifiche
di Silvano Traverso - 22/06/2006
Fonte: Rivista di Biologia / Biology Forum 99 (2006), pp. 3-10.
Nel caso decideste di fare un giro turistico in gommone giù per il
Colorado River per ammirare le meraviglie del Grand Canyon, badate di
scegliere l’imbarcazione giusta: potrete infatti scegliere tra quella
“scientifica”, sulla quale la guida vi parlerà degli eventi geologici
che in centinaia di migliaia di anni hanno creato il canyon, e quella
“creazionista”, dal pulpito della quale, Tom Vail, ex banchiere
folgorato sulla via del Colorado, vi spiegherà che ciò che vedete è il
risultato della collera divina che 4500 anni fa rovesciò sulla Terra il
Diluvio Universale. La notizia, riportata dal New York Times, si
limiterebbe a far sorridere se non fosse sintomatica della caricaturale
spaccatura nella società civile americana tra evoluzionisti ed
antievoluzionisti. A scavare un tale canyon culturale sono in realtà
forze estranee alla scienza, che è solo il pretesto per una guerra di
tutt’altra natura. I commenti su questa disputa, assolutamente non
scientifica, che raggiunge la sua forma più sofisticata nel dibattito
tra sostenitori dell’Intelligent Design (ID) e darwinisti, andrebbero
dunque lasciati a sociologi e politologi. Purtroppo, però, quando i
venti di guerra infuriano può capitare di venirne travolti, proprio
malgrado. E così, può succedere che un tranquillo articolo di biologia
molecolare su un’ipotetica funzione dei centrioli apparso sulle pagine
di Rivista di Biologia / Biology Forum (98 (2005), 1) a firma di
Jonathan Wells, appartenente al movimento dei sostenitori dell’ID, venga
propagandato nei comunicati stampa come “intelligent design paper”. Un
palese falso. Ma se “la calunnia è un venticello”, i burrascosi venti di
guerra non possono che dispensare sonore menzogne.
Una delle conseguenze più odiose della smania manichea in atto negli
Stati Uniti e in parte purtroppo anche in Italia è che il dibattito
scientifico ne viene pesantemente condizionato: è possibile oggi
avanzare critiche al modello darwinista senza cadere in odore di
creazionismo? La teoria darwinista si sottrae forse al destino di ogni
teoria biologica – il dibattito scientifico? Coloro che muovono appunti
al darwinismo (così come le riviste che li ospitano) si espongono a
rozze etichettature che distolgono l’attenzione dall’argomentazione
scientifica. Un esempio. Il nome di Giuseppe Sermonti viene
alternativamente glorificato o demonizzato dai due schieramenti che si
fronteggiano dalle sponde opposte del canyon. Ma quanti, da un lato e
dall’altro, conoscono davvero l’opera scientifica di Sermonti, quella
per la quale è stato recentemente insignito del Premio speciale della
Cultura dal Sottosegretariato alla Presidenza del Consiglio, a
riconoscimento del suo “fondamentale contributo alla ricerca scientifica
attraverso la critica al ‘darwinismo’ e la pubblicazione di importanti
studi sulla genetica”? È così peregrino l’invito a discutere pacatamente
sulla teoria darwiniana, evidenziandone pregi e difetti, come per ogni
teoria scientifica, senza pregiudizi religiosi e ideologici? Scrive Renzo
Morchio: “E non si capisce proprio perché tutti si affannino a sostenere
e dire ai quattro venti che una teoria scientifica è sempre provvisoria
e che una esperienza negativa può sempre falsificarla e, da Popper in
poi, metterla in crisi, per poi dimenticare tutto questo quando si parli
di evoluzione biologica e considerare le affermazioni relative assolute
e definitive come se fossero affermazioni metafisiche. E ciò accade,
ohimè, per entrambi i partiti: per i darwiniani e per gli
antidarwiniani” (Scienza e Paranormale, XII (2004), 58, pp. 72-74).
Suona banale ricordare che la scienza deve sforzarsi di operare secondo
i criteri dell’obiettività, perché questo le impongono il suo statuto
epistemologico e il suo mandato sociale. In nome di questa imparzialità,
la scienza va tenuta, con fermezza, separata dalla fede. Si dirà:
l’equanimità della scienza è in larga misura un mito, essendo il
ricercatore inesorabilmente invischiato nel suo contesto storico e
culturale. Vero. Ma, da questo punto di vista, l’uomo di scienza non è
diverso da qualunque altro soggetto operi nella società civile sotto
l’imperativo deontologico dell’obiettività: quand’anche l’imparzialità
nella giustizia fosse un’utopia, un giudice
non dovrebbe forse ricercarla comunque? Se è compito degli storici della
scienza evidenziare il ruolo contingente dell’ideologia e della
religione nel procedere della conoscenza, è preciso dovere del
ricercatore illudersi di operare al di fuori della storia. Negli Stati
Uniti la contingenza storica sta contaminando la biologia. Stiamo
attenti, dalle nostre parti. O vogliamo seguire il grottesco esempio
americano, finendo magari per istituire nei musei di storia naturale la
doppia guida per visitatori
darwinisti ed antidarwinisti?