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Il libro di Ester vuol dimostrare che «di fronte a un ebreo si è impotenti»

di Francesco Lamendola - 10/02/2012


 

Vi sono alcuni libri dell’Antico Testamento, e il «Libro di Ester» è uno di essi, che generano non poco imbarazzo fra i teologi cattolici, a causa della evidente difficoltà di conciliare la loro impostazione e i loro contenuti con l’idea di una loro ispirazione divina, nonché con quella di una loro compatibilità con la prospettiva universalistica che si intravede nella promessa di Dio ad Abramo di farlo capostipite di una conversione che abbraccerà tutti i popoli, e che culmina nel Nuovo Testamento, ove cade definitivamente ogni distinzione fra Ebreo e Gentile.

Nel «Libro di Ester», in particolare - ma anche, in misura minore, nel «Libro di Giuditta», vi è una prospettiva religiosa così esclusivista, una contrapposizione politica così aspra fra Giudei e Pagani, una così totale mancanza di umanità verso il nemico, che, seppure spiegabili storicamente e psicologicamente con le traversie subite dal popolo ebraico e, in particolare, con la duplice deportazione, da parte degli Assiri e da parte dei Neobabilonesi, difficilmente si concilia con la prospettiva universalistica e misericordiosa che, secondo una lettura teologica della Bibbia, è comunque presente, sia pure sottesa, anche nell’Antico Testamento ed anche nelle fasi storiche di più forte contrasto tra il “popolo eletto” e le altre nazioni.

In termini puramente storici e antropologici, ripetiamo, la difficoltà sarebbe superabile, ammettendo che certe usanze, ad esempio lo sterminio fisico del nemico vinto, appartenevano alla cultura del tempo, non solo giudaica; e che, pertanto, non deve fare meraviglia se le troviamo anche nei testi biblici che, in quanto tali, presuppongono, per il credente, una ispirazione divina.

Ma che dire del compiacimento nel versare il sangue del nemico sconfitto; dell’esaltazione esasperata e aggressiva del nazionalismo giudaico; e, - cosa più grave di tutte - della sospensione della morale, o meglio, della glorificazione di una doppia morale: una per i propri connazionali e correligionari, pietosa e misericordiosa, ed una nei confronti delle altre nazioni e religioni, inesorabilmente crudele implacabilmente e vendicativa?

Giaele, ad esempio, nel «Libro dei Giudici», inganna deliberatamente il generale nemico Sisara, sconfitto ed in fuga, offrendogli ospitalità e riposo, allorché, stremato, affamato e assetato, questi si presenta alla sua dimora per cercare un temporaneo rifugio; profanando il sacro istituto dell’ospitalità, riconosciuto e rispettato in tutto il mondo antico, e approfittando della stanchezza e della fiducia dell’uomo, lo uccide nel sonno, piantandogli un paletto nella tempia e subito dopo se ne gloria con Barak, il vittorioso condottiero degli Ebrei.

Giuditta, poi, nel libro omonimo, si spinge ancora oltre nella perfidia e nella dissimulazione: sfruttando il suo notevole fascino femminile, si introduce nel campo del generale assiro Oloferne, lo seduce, lo induce ad ubriacarsi e poi lo decapita nel sonno, con la sua stessa spada: sempre, beninteso, per la salvezza del “popolo eletto” e a maggior gloria di Jahvé.

Nel «Libro di Ester» - di cui esistono due versioni, una ebraica del 150 a. C. circa, e una costituita da dieci frammenti greci che la completano e la correggono, scritti fra il 100 e il 50 a. C. - si parla di une evento storico, ma in realtà leggendario, avvenuto alla corte del re Assuero, probabile deformazione del persiano Serse.

Nel racconto ebraico, che fa parte del canone ebraico delle Scritture, Assuero ripudia la regina Vasti e sposa, al suo posto, la bella Ester, nipote di Mordechai (Mardocheo), un suo consigliere ebreo. A questo punto Haman, un alto funzionario  che odia i Giudei, ordisce un complotto per eliminare non solo Mordechai, ma anche tutta la numerosa comunità ebraica; complotto che però viene tempestivamente sventato da Mordechai, il quale istruisce la sua avvenente nipote, che, a sua volta, esercitando un forte ascendente sul re, convince quest’ultimo a non dare ascolto alle accuse di Haman ed, anzi, a punirlo con la massima severità.

Così Haman viene appeso al patibolo che era stato destinato allo zio della nuova regina, mentre un rescritto imperiale viene pubblicato a favore della libertà degli Ebrei, i quali esultano di gioia e poi si abbandonano a un tremendo eccidio nei confronti dei loro nemici, non solo cittadini comuni, ma anche governatori e satrapi delle province: il massacro si scatena a Susa e nelle altre città persiane e travolge anche i dieci figli di Haman, che vengono a loro volta appesi al patibolo. Assuero chiede ad Ester che cosa possa fare ancora per lei, e la donna gli chiede un altro giorno di tempo, affinché le stragi possano proseguire: il terrore di pagani è così grande che molti di essi decidono di convertirsi al giudaismo per il terrore della morte.

Solo a questo punto i Giudei rimettono le spade nel fodero e si abbandonano alle feste e ai banchetti, evento che da allora viene ricordato nella festa dei Purim. Ciò ha indotto alcuni studiosi a ritenere che la ragion d’essere del «Libro di Ester» sia la spiegazione dell’origine della festa dei Purim (vocabolo di origine straniera che si può tradurre con “sorti”), che dura appunto due giorni, come due giorni durò il massacro dei Gentili, e che esplicitamente richiama la figura della regina Ester, celebrata come un’eroina e una campionessa della fede giudaica.

Che si tratti di eventi leggendari è fuori discissione, anche se è possibile che la narrazione abbia preso lo spunto da qualche fatto realmente accaduto, ma non durante il regno di Serse e, in ogni caso, di proporzioni assai più modeste: forse uno scontro fra Ebrei deportati e Persiani, nel quale i primi, sentendosi minacciati, agirono, per così dire, preventivamente, riuscendo a sgominare i loro persecutori e assicurandosi così un periodo di relativa tranquillità. Sappiamo che zuffe e scontri sanguinosi erano piuttosto frequenti tra la comunità ebraica di Alessandria d’Egitto, quella greca e quella egiziana; può darsi che nel «Libro di Ester» vi sia un’eco di fatti accaduti nella metropoli tolemaica, o anche presso altre località della diaspora.

Anche se i mezzi impiegati da Ester per ottenere la salvezza dei suoi correligionari sono, oltre alle blandizie femminili (immortalate da un famoso quadro di Théodore Chassériau), il digiuno e la preghiera, il libro ha una struttura sorprendentemente “laica”, nel senso che Jahvé non viene neppure nominato - caso unico in tutto l’Antico Testamento - e la posta veramente in gioco non sembra essere tanto la sopravvivenza della fede giudaica, ma il popolo giudaico come entità politica, sociale e culturale; tanto è vero che la motivazione religiosa dell’azione di Ester passa quasi in seconda linea rispetto all’erompere del nazionalismo giudaico, che non si placa fino a quando non è  sazio di sangue e di strage dei suoi nemici pagani.

I frammenti greci del testo ebraico sono stati scritti da un Giudeo che aveva una buona conoscenza della lingua greca e non costituiscono tanto un completamento dell’opera, quanto una sua parziale correzione e quasi una nuova e differente redazione: alcuni espressioni di maggiore acredine antipagana vi sono espunti, e il carattere profano del massacro preventivo compiuto dai Giudei viene rivisitato e rettificato, sì da far emergere in maniera assai più netta l’intervento diretto di Dio a difesa dei suoi fedeli, un po’ come nell’episodio della fuga degli Ebrei dall’Egitto, della miracolosa traversata del Mar Rosso e della morte per annegamento degli inseguitori.

A dispetto di questa tardiva modifica, nel «Libro di Ester» si sente solo una pallida ispirazione religiosa: quel che appare al centro della scena è l’orgoglio di razza dei Giudei, che si spinge al più totale disprezzo e all’odio implacabile nei confronti dei pagani. L’autore fa addirittura pronunciare ai collaboratori di Haman e alla sua stessa moglie una frase in cui si esprime la convinzione che chiunque si opponga agli Ebrei, è desinato a finir male: frase che suona come un monito perenne nei confronti dei Gentili presso i quali vivevano gli Ebrei della diaspora.

Un altro aspetto caratteristico è il modo in cui Mordechai sventa le trame di Haman: la disinvoltura con cui si serve dell’influenza, anche e soprattutto di natura sessuale, che sua nipote esercita su Serse (al quale, in un primo tempo, su consiglio dello zio, nasconde il fatto di essere ebrea), la spregiudicatezza con cui la induce a influenzare i pensieri del marito e a volgerli contro Haman e i suoi collaboratori, mostrano una scaltrita tecnica di potere, che sarebbe piaciuta a Machiavelli, dal momento che, per essa, il fine giustifica i mezzi.

Inoltre, dal libro traspare la consapevolezza che non è necessario esercitare in prima persona la direzione di un grande Stato per averne l’effettivo controllo, ma è sufficiente trovare il modo di esercitare un influsso indiretto sui suoi uomini di governo, preferibilmente in forme poco appariscenti, attraverso una eminenza grigia o la moglie del sovrano, per raggiungere ugualmente lo scopo prefisso: quello di dirigere la politica di una potente nazione a favore dei Giudei e contro i loro nemici. Come già aveva cercato di fare Mosè alla corte del Faraone, e come aveva fatto Daniele alla corte di Nabucodonosor.

Ha scritto Oswald Loretz, docente presso l’Università di Münster, a proposito del «Libro di Ester» e della questione circa la sua compatibilità con l’ispirazione divina sottesa alla Bibbia («Romanzo e novella in Israele»; in: Josef Schreiner e altri, «Introduzione letteraria e teologica all’Antico Testamento»; titolo originale: «Wort und Botschaft des Alten Testaments», Echter Verlag, Würzburg, 1975; traduzione italiana a cura di Romano Penna, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1982, 1987, pp. 493-97):

 

«L’interpretazione cristiana dell’Antico Testamento nel caso di Ester si trova di fronte ad un PROBLEMA spinoso. La questione è questa: quale valore religioso ha un libro che tace il nome di Jahvé dio d’Israele, destando invece l’impressione di essere una guida all’eccitazione della passione nazionalistica e dell’odio verso i popoli pagani?

Non sorprende dunque che il “Libro di Ester” sia stato esposto ad attacchi violenti. J. S. Semler, ad esempio, era convinto che esso né conferma, né sviluppa, né corregge le naturali conoscenze morali. Uno scritto come quello di Ester, secondo lui, non potrebbe essere ispirato dallo Spirito di Dio. A questa opinione aderiscono numerosi critici.

Obiezioni di tal genere al nostro libro sono giuste? Si dovrebbe rispondere affermativamente, se il libro descrivesse gli avvenimenti da un unto di vista neutrale o di estremismo nazionalistico. Ma attraverso alcuni indizi l’autore lascia intendere di aver scritto secondo un altro angolo visuale. Nella sua relazione egli pare da premesse che sono comprensibili solo dal punto di vista della storia ebraica e della fede jahwista. […]

L’occasione per la lotta decisiva che distruggerà il popolo ebraico viene data da Haman, che avanza delle ingiustificate pretese. Ma gli Ebrei sono UN POPOLO che NON TROVA PARI tra tutti gli altri e la cui vita è regolata da una legge particolare: la Torah di Mosè. Questo l’autore lo fa dire dall’anti-ebreo Haman al re Assuero (3,8).

Nella visione del “Libro di Ester”, la lotta agli Ebrei e il progetto del loro annientamento si trasforma fin dall’inizio in una battaglia decisiva. Si tratta delle sorti della Legge e con ciò della prova se davvero il Dio d’Israele è un Dio che assiste il suo popolo. […]

Ponendosi contro il popolo giudeo Haman perde i beni e la vita, secondo il principio che “di fronte a un ebreo si è impotenti” (6, 13: “Se Mardocheo, di fronte al quale tu hai cominciato a decadere, è della stirpe dei Giudei, tu non concluderai nulla contro di lui; anzi, certamente cadrai  innanzi a lui”).

Ma il “Libro di Ester” non si contenta di riferire l’annientamento dell’avversario principale Haman.  Esso narra ancora che Ester e Mardocheo ebbero dal re carta bianca per operare una carneficina tra i loro avversari (8, 11-12; 9, 1-19). Gli Ebrei si vendicano in un modo che ricorda l’ANATEMA DI GUERRA ben noto nell’Antico testamento: . Un giudizio morale su questa parte del libro deve perciò partire dal condizionamento storico di un crudele uso guerresco.

La domanda se Ester vada considerato come DOCUMENTO DI UNO SMODATO NAZIONALISMO GIUDAICO, dopo ciò che abbiamo detto può ricevere una risposta sia affermativa che negativa. Secondo la sensibilità moderna, la morale della scomunica appartiene ad un grado di sviluppo dell’umanità e del diritto di guerra almeno teoricamente superato. Da questo punto di vista, la gioia dei Giudei per l’annientamento dei loro avversari appare come l’espressione di uno sfrenato nazionalismo. D’altra parte, questa è una accusa che al “Libro di Ester” non si può fare, se si considera che i Giudei seguivano le pratiche politiche allora in uso e le loro azioni erano addirittura sanzionate dal re.

Nonostante questi motivi, che rendono comprensibile il comportamento dei Giudei versoi loro nemici come condizionato dal momento storico, resta ancora un PROBLEMA INSOLUTO: il loro atteggiamento si basa su una vendetta cruenta e sembra contraddire direttamene allo spirito della promessa ad Abramo, secondo cui sarebbero stati benedetti in lui TUTTI i popoli (Gn., 12, 2 s.). Il “Libro di Ester” ci descrive un mondo nel quale EBREI E PAGANI VIVONO GLI UNI ACCANTO AGI ALTRI NELL’ODIO RECIPROCO. Da questo libro risulta chiaro che “tutti, giudei e pagani, vivono sotto il dominio del peccato (Rm., 3, 9). Ma risulta anche altrettanto chiaro che Dio, malgrado il comportamento degli ebrei, concede di nuovo al suo popolo la tranquillità di fronte a ogni persecuzione.

Il “Libro di Ester” tocca un tema, che a partire dalla sua composizione nio ha più cessato di essere trattato: la lotta dei pagani contro l’ebraismo dimorante FUORI DELLA SUA TERRA e presente in posti di responsabilità. Non c’è alcun dubbio da quale parte stia la vittoria in questa continua battaglia, pur tra le alterne vicende e che Israele trova sempre la pace di fronte ai suoi persecutori. Ma il fatto che tale pace venga raggiunta sulla strada di una crudele vendetta lascia intendere quanto rimanga vero nei confronti di Israele il principio, secondo cui il peccato dell’uomo, sia dentro che fuori di Israele, può mettere in chiara luce LA FEDELTÀ DI DIO VERSO IL SUO POPOLO. Il libro ci conduce così sulla soglia della problematica trattata dall’apostolo paolo nella sua “Lettera ai Romani”: come si comporta Dio nei riguardi di Israele e dei pagani?»

 

Come si vede, pur riconoscendo, onestamente, che esiste un problema teologico e morale dietro la questione della canonicità del «Libro di Ester», Oswald Loretz lo risolve in senso affermativo, e sia pure con alcune precisazioni e alcuni distinguo d’ordine storico e storico-letterario.

Se il problema sia davvero risolto nel senso che egli suggerisce, è cosa che ciascuno può giudicare da sé, dopo aver letto spassionatamente il «Libro di Ester» e dopo averlo collocato opportunamente nella corretta prospettiva storica e religiosa.

Una cosa, però, oltre a quanto detto sopra, dovrebbe mettere in guardia, secondo noi, da una lettura di quel testo nel senso della sua perfetta canonicità, cioè peienamente in linea con il significato religioso che i cristiani attribuiscono ai libri dell’Antico Testamento, quale preparazione all’Alleanza che si realizza, nel Nuovo, fra Dio e l’uomo, per mezzo di Gesù Cristo.

Si tratta di questo: che abbiamo visto fin troppe volte, nella storia, come, allorché un popolo o uno Stato si preparano ad aggredirne un altro, quasi sempre giustificano la propria azione con ragioni di tipo difensivo: è perché sono minacciati, che essi devono reagire; e la reazione perfetta, la più sicura, è quella che colpisce prima che il nemico, vero o presunto, abbia incominciato a muoversi: in altre parole, l’aggressione preventiva.

Proprio come quella che viene scatenata a Susa e nelle altre città persiane dopo l’esecuzione di Haman, ai danni dei pagani che avrebbero complottato contro i Giudei…