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Le martiri di al Aqsa

di Naoki Tomasini - 12/07/2006

Una milizia al femminile nasce dentro Fatah. Mentre Abu Mazen si sgancia da Zahar
Sono ormai due settimane che la 'pioggia d’estate' – questo il nome dell’operazione militare in corso  – si abbatte sulla Striscia di Gaza e sui suoi abitanti. Dalla cattura del caporale Shalit l’esercito israeliano ha ucciso cinquanta palestinesi. In maggioranza si trattava di miliziani armati, ma sotto le bombe sono rimasti anche molti civili e diversi bambini. Una punizione collettiva a cui un centinaio di donne di Fatah ha reagito unendosi alla lotta armata.
 
Le martiri di al Aqsa. Mano a mano che il riconoscimento reciproco viene meno, cresce il radicalismo in seno alle due società, che cercano il dialogo a parole e, nei fatti, l’escalation militare. Oggi un nuovo gruppo armato si è presentato alla stampa: si tratta di un centinaio di donne legate al partito del presidente Mazen, al Fatah, e alla sua fazione armata, le Brigate dei Martiri di al Aqsa. Una di loro, Um al Abed, ha annunciato la nascita del gruppo a Gaza city e ha dichiarato che le cento donne – provenienti dalla Cisgiordania, da Gerusalemme e della Striscia di Gaza - si sono offerte per condurre attacchi suicidi in Israele in risposta all’invasione in corso. Le donne di Fatah, oltre al comune nemico israeliano hanno promesso di combattere anche gli esponenti di Hamas, colpevoli di avere ucciso esponenti di Fatah. Il riferimento è all’omicidio di un miliziano recentemente assassinato da miliziani di Hamas e queste minacce mostrano che anche la guerra civile tra Hamas e Fatah, che si credeva disinnescata con l’accordo sul 'documento dei prigionieri', è pronta a ri-esplodere. Il nuovo casus belli, tra Mazen e Hamas, è stata la decisione del presidente palestinese di nominare ministro degli Esteri un uomo di sua fiducia, al posto di Mahmoud Zahar, accusato di avere orchestrato il rapimento di Shalit. Hamas ha ribadito la fiducia a Zahar,mentre per Fatah il ministro degli Esteri sarà Fatouk Kaddoumi. Non certo la miglior condizione possibile per affrontare una situazione così dura.
 
Il funerale di Khaled Abdel Kareem, un anno, colpito durante un bombardamentoCrisi umanitaria. L’invasione della Striscia, che stando alle autorità israeliane non sarà una ri-occupazione, ha aggravato non poco le già precarie condizioni di vita dei palestinesi. Privati delle entrate delle tasse e degli aiuti dell’Unione Europea, gli abitanti di Gaza si sono trovati nuovamente i tank sotto casa. La distruzione di infrastrutture primarie, come la centrale elettrica, i ponti e diversi campi coltivati, hanno generato un’emergenza umanitaria. Negli ospedali le scorte di medicinali sono terminate e sta finendo anche il gasolio per alimentare i generatori. Manca anche l’acqua perché l’acquedotto ha bisogno di corrente, manca cibo perché i valichi sono chiusi e mancano soldi perché l’Autorità palestinese non è in grado di pagare gli stipendi. In questo clima di violenza generalizzata cadono nel vuoto anche gli appelli dell’Unione Europea affinché Israele eviti “un eccessivo uso della forza rispetto alle circostanze”. Olmert ha risposto seccamente all’appello dell’Ue, dicendo che l’operazione non si fermerà finché il soldato Shalit non verrà liberato. “Quando è stata l’ultima volta che l’Unione Europea ha condannato gli spari palestinesi e ha preso misure effettive per impedirli?” ha domandato il primo ministro d’Israele. “Non c’è altro modo di impedire “la paura, gli spaventi e l’insicurezza dei civili israeliani minacciati dai razzi Qassam”. Hamas, in cambio della liberazione del soldato, chiede il rilascio dei prigionieri palestinesi dalle carceri israeliane, a cominciare da donne e bambini, ma Israele ha deciso di “non trattare con i terroristi”.