Nel dopo-Gheddafi gli islamisti si preparano a prendere il potere in Libia
di Guido Ruotolo - 29/06/2012

Il rischio? Che la Libia diventi una Somalia al confine dell’Italia. È preoccupato Hafed Gaddur, ambasciatore della Libia a Roma fino a pochi giorni fa. La magistratura della nuova Libia l’ha assolto dalle accuse (anonime) di essere stato un «disonesto» e poco «patriota».
L’ambasciatore Gaddur ammette che quando con un grappolo di ambasciatori, nove giorni dopo l’inizio della rivolta contro Gheddafi, decise di aderire alla Rivoluzione, sperava «che la Libia sarebbe diventata una Svizzera dell’Africa»: «Ma oggi la situazione si presenta drammaticamente diversa».
È appena iniziata la campagna elettorale e il 7 luglio si voterà per l’Assemblea costituente, che dovrà redigere e approvare la nuova Costituzione. Lo scontro è tra lo schieramento integralista che vede al suo interno formazioni che vanno dai Fratelli Musulmani al Fronte nazionale per la salvezza della Libia, che prospettano una Costituzione fotocopia della Sharia, e l’Alleanza delle forze nazionali che ha fatto dell’Islam moderato il suo cavallo di battaglia.
In tutto il paese si registrano scontri armati. Bengasi da culla della Rivoluzione è diventata il regno della paura controllato soprattutto dagli integralisti, con agguati e sparatorie. Gli ultimi clamorosi attacchi hanno riguardato il consolato americano e il corteo d’auto dell’ambasciatore inglese in Libia.
Gli islamisti si sentono i padri e i martiri della Rivoluzione e non sanno cosa sia il rispetto delle regole, delle leggi, dello Stato. Qualsiasi contrasto i bengasini lo risolvono con l’uso della forza. Prevale la mentalità beduina. Qualche esempio? Il primo ministro El Kiebi viene circondato all’aeroporto e deve scappare per partire da un altro scalo.
«Naturalmente la forma dello Stato è, sarà materia di discussione nell’Assemblea costituente». L’ambasciatore Gaddur si ferma qui, però non è un mistero che in Libia si discuta su una forma di Stato federale come quando Re Idris nel 1952 si ritrovò il «Regno della Libia Unita».
Oggi nel paese regna il caos. La tribù Mashashia ha combattuto con Gheddafi e oggi è in guerra con la tribù Gontran di Zintan. Misurata è in guerra con Taurga i cui uomini si schierarono con Gheddafi. Per Misurata, Taurga deve «sparire». Lo stesso accade tra Zwarah e Jmail e Regdaline. Tra Sabratah e Zwarah. E a Kufra è peggio ancora. A Derna, regno dei qaedisti e degli integralisti islamici, tutti gli occidentali, anche dei «paesi amici» come la Francia «sono nemici perché occidentali».
La Libia è una polveriera, non c’è polizia e l’esercito nazionale, lasciando alle milizie il controllo del territorio. Poco più di un mese fa sulla strada per l’aeroporto di Tripoli è stata trovata una fossa comune: mille morti. Molti avevano in tasca ancora i cellulari.
Con il vento della rivincita islamista che soffia dall’Egitto al Maghreb, la possibilità che il responso delle urne consegni la Libia agli estremisti è reale.