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Siria. Ecco l’identikit dei ribelli

di Robert Fisk - 10/09/2012

Fonte: informarexresistere



Robert Fisk, corrispondente del quotidiano “The Indipendent”, ha pubblicato un resoconto dei suoi incontri ravvicinati con i ribelli siriani. Dal suo racconto emergono una serie di spunti che andrebbero analizzati con attenzione e che sbugiardano la versione ufficiale che viene offerta dai media occidentali

L'esplosione di una bomba che provocò la morte di 9 persone e il ferimento di altre 20, tra cui membri delle forze di sicurezza a Damasco. L'esplosione fu il risultato di un attentato suicida che colpì il distretto di Midan al centro della capitale siriana il 27 Aprile 2012, fonte: SANA /Foto Khaled al Hariri per Reuters.

Il racconto chRobert Fisk, corrispondente del “The Indipendent“, fa dei ribelli siriani corrisponde davvero poco al quadro romantico che ne offrono al contrario i quotidiani occidentali. Fisk racconta del suo contatto con i ribelli detenuti presso una prigione militare siriana, e lo fa senza nascondere nulla, da vero cronista di guerra. Si tratta spesso e volentieri di uomini che non sono siriani ma sono arrivati in Siria per rovesciare il regime di Assad. Fisk racconta di un franco-algerino sulla quarantina, barbuto, di un turco che gli ha detto di essere stato addestrato in un campo talebano tra AghanistanPakistan, e anche di un siriano che è stato arrestato per aver aiutato due attentatori suicidi a farsi saltare in aria nel centro di Damasco. Non sono propriamente eroi, bensì uomini con le loro storie, chhanno pagato in prima persona il loro attivismo con la carcerazione e le sevizie subite in carcere. A conferma di coloro che temevano infiltrazioni islamiste nell’opposizione siriana i ribelli incontrati da Fisk gli hanno raccontato di essere stati reclutati da predicatori islamisti radicali. Uno, appena 26enne, ha raccontato a Fisk di aver accettato l’aiuto di uno sheikh che lo ha avvicinato all’islamismo radicale salafita, e di essere poi stato quasi obbligato a prendere parte alle dimostrazione contro Assad: “Il venerdì alla fine della preghiera uno di noi si alzava e cominciava a denunciare le ingiustizie e il regime di oppressione” . Inizialmente al giovane venne solo chiesto di aiutare i ribelli offrendo assistenza medica e logistica, ma ben presto alcuni salafiti cominciarono a frequentare la sua casa e lo obbligarono a prestare “una sorta di giuramento riconoscendo che lui era il mio capo e che gli doveva ubbidienza seguendo la jihadsenza fare domande”. “Portava spesso degli sconosciuti a casa mia. Il 10 aprile uno di questi mi chiese di andarcon lui in auto. Mi portò in un posto dove c’erano una decina di uomini e molto esplosivo. C’erano un palestinese un giordano che dovevano compiere un attentato suicida e tre iracheni. Non mi dissero quale era l’obiettivo, ma non appena feci ritorno a casa sentii una prima esplosione seguita poco dopo da un’altra esplosione molto più forte. Quella sera in televisione vidi che erano morti moltissimi poveri innocenti e stetti male” ha spiegato a Fisk. Pochi giorni dopo gli agenti del Mukhabarat, i servizi segreti di Damasco, lo arrestarono: “Dissi agli agenti che ero contento di essere stato arrestato perché non volevo più avere niente a che fare con quella gente e non volevo essere complice di quellbarbarie. Ora voglio scrivere un libro per far conoscere la mia storia. Ma finora non mi hanno dato né la carta né la penna”. Ma non è l’unica storia raccontata da Fisk; c’è anche quella di un 48enne,ex militare dell’esercito francese con famiglia a Marsiglia. L’uomo ha raccontato del suo desiderio di unirsi alla jihad incoraggiato dai servizi trasmessi da Al-Jazeera sulle sofferenze dei musulmani in Siria. Nato a Blida ed emigrato in Francia dove, pur parlando il francese alla perfezione, aveva trovato solo lavori saltuari, “alla fine dopo molte esitazioni decisi di andare in Turchia per aiutare i rifugiati siriani”. Si riteneva un salafita moderato, anche se proprio nei campi profughi conobbe uno sheikh libico e un imam yemenita che lo avviarono alla Jihad vera e propria. Dalì il suo ingresso in Siria armato e le sue azioni sul campo con attacchi ai posti di blocco dell’esercito. “Dopo qualche settimana capii che la jihad in Siria non era roba per me e decisi di tornare in Turchia per poi raggiungere la Francia”, ha raccontato, ma dopo essere stato catturato da alcuni cittadini lo consegnarono alle autorità a Damasco. Infine anche una testimonianza di un imam siriano, tale Sheikh Ahmed Galibo,che ha raccontato a Fisk dei suoi incontri con quattro diversi gruppi militanti che avevano obiettivi nazionalisti e religiosi diversi e di come aveva tentato di unirli scoprendo però che erano ladri, assassini e stupratori e non jihadisti. “Chi non la pensava come loro veniva assassinato, decapitato e gettato nelle fogne. Personalmente ho assistito a sette omicidi”.