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Afganistan: l'alibi della guerra alla droga. Una politica stupefacente

di U. F. - 18/07/2006

 


Siamo all'ennesimo paradosso della guerra.

In una recentissima intervista, Geoff Hoon, già ministro della difesa britannico ed attualmente responsabile del Foreign Office per l'Europa, ha motivato la necessità di rafforzare l'intervento militare in Afganistan, sostenendo che "il problema maggiore in questa fase sono i signori della droga che cercano di destabilizzare le regioni meridionali e rappresentano un pericolo superiore rispetto ai talebani, che pure ci sono ancora. I trafficanti di droga hanno un'incredibile quantità di armi ed equipaggiamento e un'organizzazione militare sofisticata".

Da parte sua, alla fine di gennaio, il presidente Karzai aveva analogamente sostenuto che "le sfide del terrorismo e della droga sono le più gravi minacce non solo per l'indipendenza e la sicurezza dell'Afganistan, ma sono un nemico per la pace e la sicurezza dell'Umanità".

Dietro la propaganda, la realtà che emerge è ben altra, a partire dall'indubbia rilevanza del narcotraffico.

Notoriamente, gli introiti afgani per la produzione e il commercio di oppio ed eroina ammontano a 2,3 miliardi di dollari all'anno, ossia circa la metà dell'economia nazionale. La percentuale afgana nella produzione mondiale di oppio è pari all'80-85%, tanto che dalla caduta del regime dei Talebani la produzione non è affatto diminuita tanto che ha fatto un balzo incredibile del 900%, alla faccia della retorica proibizionista dell'amministrazione Bush.

La verità, ormai davvero storica, è invece che proprio i governi che hanno dichiarato guerra ed occupato l'Afganistan, sono stati i principali responsabili delle incredibili dimensioni assunte dalla produzione, dalla raffinazione e dal commercio dell'oppio e del suo principale e più lucroso derivato, l'eroina.

Il papavero dell'oppio cresce sulle terre più aspre e riarse, l'eroina resiste a tutte le variabili, comprese le guerre e le crisi di mercato. Inizialmente la scoprirono i combattenti afgani antisovietici negli anni 80. Mentre i bombardieri e gli elicotteri di Mosca radevano al suolo i campi coltivati e i sistemi d'irrigazione della povera economia rurale afgana, i guerriglieri si resero conto che avevano un tesoro con cui finanziare la guerra: quei papaveri che facevano arrampicare avidi mercanti su per i monti.

Fu allora che l'eroina prese il posto dell'hashish nero: sotto la supervisione degli agenti della Cia, le tradizionali coltivazioni di canapa furono sostituite da quelle ben più redditizie e intensive di papavero da oppio, mentre con la polvere bianca venivano comprati kalashnikov o missili Stinger.

Tra i capi della resistenza mujaheddin, fu soprattutto il famigerato Gulbuddin Hekmatyar, appoggiato dai signori di Washington e Teheran, ad usare con maggiore spregiudicatezza quest'arma e risorsa micidiale, sorvolando sul fatto che il Corano vieta l'uso, la vendita e la produzione di droghe. Al di là del confine i registi della guerriglia erano i generali dell'Isi, il servizio segreto del dittatore pakistano, sotto la protezione della Cia.

I camion della National Logistic Cell arrivavano fortunosamente sui monti pieni di armi e di rifornimenti made in Usa, per poi riscenderne carichi di oppio che i generali imbarcavano per l'Occidente. Tutti sapevano, compresi naturalmente coloro che sedevano alla Casa Bianca e al Pentagono, interessati soltanto ad inchiodare le forze armate sovietiche sulle montagne afgane. Solo un combattente, si narra, rifiutò questo modo di finanziare la guerriglia: quel comandante Massud, ucciso a tradimento due giorni prima dell'attacco alle Twin Towers.

Ma anche dopo la caduta del regime talebano nel 2001, la politica dei liberatori-liberisti è a tutt'oggi rimasta invariata, permettendo ai vari signori della guerra e, allo stesso tempo, del narcotraffico di riprendere a fare profitti da vertigine attraverso la produzione e il commercio dell'oppio, a patto che questi garantissero la non belligeranza contro le forze d'occupazione e, allo stesso tempo, governassero e controllassero intere province con i loro eserciti privati, in vista della realizzazione dei progettati gasdotti continentali e dello sfruttamento degli ingenti giacimenti di uranio.

Le limitate misure contro le coltivazioni del papavero attuate dalle forze d'occupazione e sponsorizzate dall'Onu, come è noto, hanno infatti colpito soltanto piccoli e indifesi contadini, costringendoli a passare a coltivazioni "alternative" offerte dalla Monsanto, la nota multinazionale delle produzioni Ogm.
Una situazione teatrale farsesca ma realistica, in cui gli attori guerreschi recitano la parte sia degli spacciatori che dei poliziotti antinarcotici, esattamente come sovente scopriamo avvenire anche nelle nostre strade.

Umanità Nova, n 25 del 16 luglio 2006, anno 86