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Home / Articoli / Ultime notizie dal mondo 1-15 Luglio 2006

Ultime notizie dal mondo 1-15 Luglio 2006

di Rivista Indipendenza - 19/07/2006

 

a)   Israele / Libano. Cosa c’è alla base del nuovo conflitto (12, 14). L’ONU che traccheggia (14, 15) e di fatto sostiene Israele. Oltre ai bombardamenti indiscriminati di Israele (unica voce critica: la Svizzera, cfr. 5) arrivano le prime segnalazioni sull’uso da parte di Tsahal di sostanze convenzionalmente proibite (12, 15). Una scheda su Hezbollah: Libano (14). Significative le considerazioni di Joshua Landis, esperto delle vicende dell’area, su portata ed effetti dell’aggressione israeliana (15).

b)   Israele / Palestina. Ovvero un genocidio (ignorato) dove gli aggressori passano per vittime e gli aggrediti per terroristi. La mattanza ordinaria e quotidiana è riscontrabile su quotidiani e tv quando ne parlano o ne accennano. Qui, qualcosina sul sequestro del caporale israeliano (6, 10), sull’uso dei “boom ultrasonici” da parte di Tsahal (3), sul veto USA ad una risoluzione araba (13). In sé, fa pensare quel che dice il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad (15).

c)   America Latina. Gli USA si preparano ad intervenire nel dopo Castro a Cuba (5, 12). Una chicca su Pinochet (Cile, 9) e Lula (Brasile 7). Altra musica in Bolivia (4, 11). Alleanze e frizioni nel Mercosur tra Venezuela e Brasile (5). In Perù si manifesta contro il Trattato di “Libero Commercio” (5) di cui si dettagliano degli effetti. Attenzione al Nicaragua che si prepara alle elezioni di autunno (6). In Salvador si spara (6). Infine il Messico dopo le elezioni (11) c’è maretta.

d)   Sparse, ma significative:

Corsica / Francia (7, 12). Dalle Ghjurnate sull’isola allo scenario post elettorale francese 2007.

Afghanistan (1). Un’interessante messa a punto della situazione, mentre in Italia pressoché tutti i parlamentari di sinistra si apprestano a votare per la guerra.

USA (6). Foreign Affairs ragiona di primo attacco nucleare.

Euskal Herria. Passaggi di un’intervista a Otegi, portavoce di Batasuna (2). Il significativo incontro, pubblico per la prima volta, tra Partito Socialista Basco e Batasuna (7). Frizioni inevitabili del processo negoziale ancora da avviare (4, 8).

             

Tra l’altro:

 

Sardegna (13 luglio)

Italia / USA (6 luglio)

Slovacchia (6 luglio)

Gran Bretagna / Afghanistan (10 luglio)

Russia (3, 6, 13, 15 luglio)

Ucraina (7 luglio)

Turchia (14 luglio)

India (13 luglio)

Cecenia (10, 15 luglio)

Afghanistan. 1 luglio. Il gioco delle tre carte: così Gino Strada, chirurgo in zone di guerra e fondatore dell’associazione umanitaria Emergency, intitola un suo articolo sulla guerra in Afghanistan pubblicato su Peacereporter. «Tra le anime belle della politica nostrana, c’è chi si infastidisce se gli si fa notare che stanno per decidere di continuare la guerra in Afghanistan. Preferiscono, per il pubblico, chiamarla in altri modi, mascherarla. Mimetizzarla con gli “impegni internazionali” e le “alleanze”, perché i cittadini non capiscano che di guerra e non altro si tratta», commenta Strada, che si sofferma sulle operazioni militari in atto.

 

  • Afghanistan. 1 luglio. Enduring Freedom, missione di guerra, denuncia Strada. «La risposta è nel sito del Ministero della Difesa (www.difesa.it). Nel capitolo sulle “operazioni militari in atto” (al 25 giugno 2006) si spiega che l’Italia partecipa alla Operazione Enduring Freedom. Il Comando dell’operazione è affidato al Comando Centrale americano (USCENTCOM) situato a Tampa (Florida, USA)... L’operazione militare è parte della guerra globale che impegna la grande coalizione nella lotta contro il terrorismo, denominata Global War Against Terrorism (GWAT)».
    Commenta il fondatore di Emergency: «Questo è parlare chiaro. E in atto –così il Ministero della Difesa spiega la situazione attuale in Afghanistan e i compiti delle nostre forze– la terza fase, che prevede l’impiego di unità di terra... Circa le attività volte a neutralizzare le sacche di terrorismo ancora presenti, le possibili basi logistiche ed i centri di reclutamento, la fase, dopo un periodo iniziale di intensi combattimenti, sta evolvendo in operazioni di interdizione di area per la completa bonifica del territorio. Sono operazioni condotte mediante pattugliamenti, posti di blocco ed eliminazione delle residue presenze di Al Qaeda, sulla base dell’attività di “intelligence”».

  • Afghanistan. 1 luglio. Per Gino Strada, «in altre parole i comandi USA, basandosi sui racconti delle loro spie, indicano di volta in volta chi ammazzare, mandando truppe, o qualche aereo a bombardare. Fare a pezzi esseri umani si chiama ora – nel sito ufficiale del Ministero della Difesa italiano – “bonifica del territorio”». Parole inequivocabili e Strada si chiede: «perché i politici dell’attuale maggioranza continuano a intorbidire le acque? Hanno forse paura di essere considerati “guerrafondai”? Scelgono la guerra ma conviene loro farsi credere pacifisti». Strada stigmatizza lo slogan ossessivamente ripetuto secondo cui “ritirarci dall’Afghanistan significherebbe uscire dalla UE e dalla NATO”, «come se fosse l’orlo del baratro (...) Se la scelta “contro la guerra” dovesse davvero obbligare l’Italia a uscire dalla NATO, non mi sembrerebbe una grande tragedia. Lo sarebbe di certo per buona parte dei politici, ma non per i cittadini italiani. Anzi. Scommetto che, dovesse l’Italia uscire dalla NATO, ci sarebbe una festa di popolo di milioni di persone (...). La nostra Costituzione e il suo art. 11 vengono prima o dopo le “alleanze internazionali” o gli “impegni NATO”? Si può fare una guerra perché è un “impegno preso”? Il mondo della politica risponde “Si”. Si può fare la guerra (se si riesce poi a farla passare come un’opera di carità, è ancora meglio!) se si è con la NATO, o con gli USA, o con l’ONU».

 

  • Afghanistan. 1 luglio. Anche l’ONU, simulacro di legittimità internazionale per partiti come Rifondazione, è oggetto delle critiche di Strada. Il suo ruolo emerge parlando della missione ISAF, «l’altra faccia di Enduring Freedom. Se su Enduring Freedom non viene detta la verità, tantomeno ciò accade per la missione “di pace” ISAF. Quando, verso la fine del 2001, l’ONU autorizza per 6 mesi una forza di sicurezza internazionale (ISAF) in Afghanistan, al governo italiano non par vero: finalmente si può essere in Afghanistan sotto l’”ombrello” dell’ONU, senza dovere rendere conto a nessuno. O quasi. Perché in realtà la missione ISAF è solo una manovra, un “gioco delle tre carte”. Alla riunione che il 20 dicembre 2001 approva la Risoluzione 1386, i membri del Consiglio di Sicurezza si trovano sul tavolo una lettera in cui gli inglesi si propongono di assumere il comando dell’ISAF. Ma a comandare è sempre il Padrone, è chiaro. Perfino esplicito. Nella stessa lettera, resa nota dal Dipartimento di Stato USA, viene precisato che: “Per ciò che riguarda i rapporti tra le forze dell’ISAF e le altre operanti in Enduring Freedom... per ragioni di efficienza, il Comando Centrale degli Stati Uniti avrà autorità sulle forze ISAF”». Insomma, comandano sempre gli USA. Strada giudica la risoluzione «un trucco sopraffino: l’ONU mette in piedi, su richiesta USA, una forza ONU per l’Afghanistan; gli inglesi, che partecipano a qualsiasi guerra made in USA e che sono pertanto in Enduring Freedom, si offrono di guidarla (e come rifiutare tanta generosità?); le truppe dell’ISAF (quelle dell’ONU) guidate da un inglese, prendono poi ordini dai militari USA, mandati lì non dall’ONU, bensì dal Pentagono. Aderiamo, secondo i desideri del Padrone, anche alla missione ISAF. Adesso arriva l’ombrello dell’ONU a giustificarci».

 

  • Afghanistan. 1 luglio. Nell’agosto del 2003, la missione ISAF entra come Enduring Freedom nella terza fase e passa sotto il comando della NATO. «Con i compiti che ci hanno già assegnato: combattere gli insurgents, quelli che si ribellano in qualsiasi modo e a qualsiasi titolo alla pax americana, e portare avanti la “guerra al terrorismo”, il lavoro di Enduring Freedom».
    Per Strada il “lavoro” che attende le truppe NATO e dunque anche quelle italiane «non sembra facile neppure agli USA, se il Washington Post scrive: “Ne deriverà una battaglia per il controllo del sud, cruciale per l’Afghanistan e per la NATO”. Con l’avvicinarsi della battaglia cruciale non è casuale che le truppe NATO, ex ISAF, ex Enduring Freedom si ritrovino, cinque anni dopo, un comandante di nuovo inglese, che sarà poi sostituito, verso la fine dell’anno, da un comandante USA. (...) Così anche ai “nostri ragazzi”, sotto il comando dei militaristi più convinti, spetterà il compito di estendere “il controllo del governo Karzai” e di “rimpiazzare” gli USA nelle operazioni di contro-insurrezione. “Restate, chiedete rinforzi” ci sta domandando ora il Padrone, e ci assicura che stavolta saremo anche noi “in prima linea” perché le sue truppe intendono passarci il testimone».

 

  • Afghanistan. 1 luglio. La posizione di Strada si può riassumere in poche righe: senza se e senza ma, fuori l’Italia dalla guerra, sia quella “umanitaria” del centrosinistra, sia quella “di civiltà” del centrodestra in nome dello slogan bipartisan della “guerra al terrorismo”. Siamo alla vigilia di “grandi offensive”, dicono i comandi USA, e con il rifinanziamento della missione militare in Afghanistan il Governo intende mandare militari italiani a combattere, per conto degli USA e sotto il loro comando, i “nemici” che Washington, di volta in volta, addita. Strada non si stupisce delle difficoltà del governo Prodi. «Molti tra loro vorrebbero, col senno del poi, non essersi mai infilati anche nel “pantano” Afghanistan. Ma cinque anni fa la maggior parte di loro ha votato di tuffarcisi dentro entusiasticamente, approvando una Risoluzione (7 novembre 2001) che resterà nella storia della Repubblica come esempio di stravolgimento, in una sola pagina, della Costituzione Italiana, dello Statuto dell’ONU e delle risoluzioni del suo Consiglio di Sicurezza». Il chirurgo italiano rileva inoltre le contraddizioni interne alla coalizione di governo. «Tra pochi giorni devono andare in Parlamento e votare un documento importante. Non tanto per il suo contenuto. Per molti parlamentari dell’attuale maggioranza, quello che si deciderà è in un certo senso secondario. La cosa più importante, quando non la sola importante, è che il documento del Governo, quale che sia, venga approvato», per non rischiare di far cadere il governo.

 

  • Afghanistan. 1 luglio. Secondo Strada, il vero problema che attanaglia la maggioranza che sostiene il governo Prodi è la necessità di inventare un trucco per «poter tenere i militari a fare il lavoro per il Padrone» ma allo stesso tempo salvare la faccia di «quella parte della maggioranza che sa –dovesse votare per il rifinanziamento– di trovarsi in linea di collisione con i propri elettori». Infatti, «in quell’area politica normalmente associata (o forse non più, potremo capirlo meglio dopo il voto) al “pacifismo” tira aria pesante di suicidio. Non è principalmente un problema di uomini di partito, ma di cittadini, di elettori, di coscienze. Se i partiti di quell’area votassero per la guerra, ne pagherebbero un prezzo politico e di consenso devastante. Un prezzo ancora maggiore finirebbero col pagare se cercassero di truccare le carte, di fare passare inosservata o cammuffata la scelta della guerra». Conclude Strada: «Vuole il Governo, per qualsiasi ragione, scegliere di stare ancora lì, a fare servilmente la guerra per conto terzi? Vogliono vedere “altro sangue italiano in Afghanistan” (e forse non solo) come poi titolerebbero le prime pagine dei nostri quotidiani, per “estendere il controllo del governo Karzai”? Sta a loro decidere. Penso solo sia mio dovere, come cittadino che fa parte del popolo di Emergency e del movimento per la pace, riaffermare che chi sceglierà la guerra lo farà non in mio nome».

 

  • Russia. 1 luglio. Mosca ha reso il rublo pienamente convertibile, di fatto incoraggiando le transazioni in valuta russa tra i Paesi ex sovietici a scapito del dollaro e incoraggiando gli investimenti stranieri in Russia.

 

  • Somalia. 1 luglio. Il movimento musulmano somalo delle Corti Islamiche ha preso le distanze dal messaggio di Bin Laden. «Osama bin Laden sta esprimendo il suo punto di vista come qualsiasi altra figura internazionale. A noi non interessa», ha detto lo sheikh Sharif Ahmad, l’ex leader moderato delle Corti islamiche. Il fondatore di al Qaeda aveva intimato ai Paesi musulmani di non accogliere l’invito degli USA a inviare truppe per un contingente internazionale in Somalia.

 

  • Euskal Herria/Francia. 2 luglio. «L’obiettivo degli indipendentisti rimane l’autodeterminazione per tutto il Paese Basco sia spagnolo che francese». Lo ha detto Arnaldo Otegi, portavoce del partito illegalizzato Batasuna, intervistato dal quotidiano basco Gara. Otegi invita Parigi ad «abbandonare la sua politica totalmente irreale». Proprio ieri, in visita a Madrid, il ministro dell’Interno francese Sarkozy aveva ribadito che «la questione dell’ETA riguarda solo la Spagna». Otegi rileva «che il processo di soluzione al conflitto non si concluderà finché non sia raggiunto un accordo soddisfacente con i due Stati (Spagna e Francia, ndr) in termini di rispetto della volontà popolare, indipendentemente dal fatto che possa avere ritmi differenti».

 

  • Euskal Herria / Spagna. 2 luglio. Otegi interviene anche sull’affermazione del presidente spagnolo Zapatero circa la necessità di rispettare i binari legali per i procedimenti legali. «In qualunque caso», dice, «la legalità ed i binari legali non devono essere intesi come limite alla volontà popolare, ma come garanzia effettiva che la volontà popolare si possa esprimere liberamente e democraticamente, senza limiti e senza ingerenze». Nel concreto di come si possa tradurre questo riconoscimento del diritto di decidere, il portavoce di Batasuna precisa che «il grande asse dell’accordo politico che è necessario raggiungere è, precisamente, la ricerca di una formula di consenso intorno a tale diritto ed il riconoscimento del carattere nazionale del nostro paese». «Batasuna», prosegue Otegi, «ha una formula propria, ma quel che va ricercata è una formula condivisa da tutti, che soddisfi tutti, la pluralità del paese; in definitiva, che permetta a tutte le opzioni politiche di Euskal Herria di potersi materializzare se così lo richiede la maggioranza popolare espressa pacificamente e democraticamente. Per noi questo ha un nome ed è diritto di autodeterminazione. Il quadro geografico della soluzione è l’insieme di Euskal Herria; la geografía umana è tutta la cittadinanza basca; la geografía politica della soluzione si chiama autodeterminazione».

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  • Russia. 3 luglio. Mosca rinsalda i vincoli della Russia con i Paesi che costituivano la periferia dell’impero sovietico. Il 23 giugno scorso a Minsk si è svolto un summit della Eurasian economic community (Eurasec) che comprende la Bielorussia e quattro Paesi centro asiatici: Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan. Putin, che ha assunto la presidenza di turno dell’assemblea rilevandola dal discusso leader bielorusso Lukashenko, ha detto di prestare molta attenzione alla possibilità di formare una unione doganale in tempi brevi. Secondo Lukashenko sono invece meno ottimistiche le previsioni per coordinare le politiche dei Paesi dell’Eurasec per l’accesso alla WTO. Ai rapporti economici e commerciali si sommano le politiche di difesa e sicurezza. Lo stesso 23 giugno si è tenuto il vertice della Collective Security Treaty Organization (CSTO) che, oltre ai sei Paesi già impegnati nella Eurasian economic community, comprende anche l’Armenia. È da notare che proprio in questa occasione l’Uzbekistan è rientrato nella CSTO, che aveva concorso a fondare nel 1992 per poi dissociarsene nel 1999.

 

  • Russia. 3 luglio. Mentre la CSTO e l’Eurasec proiettano verso occidente le quattro repubbliche centro asiatiche (Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan) fedeli a Mosca legandole all’alleato bielorusso, la Shanghai Cooperation Organization (SCO) –costituita nel luglio 2001–  le collega, assieme alla stessa Russia, alla Cina. Lo status di osservatori riservato a Iran, India, Mongolia e Pakistan accresce il rilievo di questa organizzazione nel panorama asiatico. Il ristabilimento dell’influenza nell’Asia centrale è strumentale ai fini dei rapporti con Cina e India, insieme alle quali la Russia intende fare la parte della terza locomotiva asiatica nei prossimi decenni. L’energia è ciò che Mosca può fare pesare sul piatto della bilancia; se non bastassero gas e petrolio, Putin intende aumentare la percentuale di energia elettrica prodotta in Russia con centrali nucleari dall’attuale 16 al 25%.

 

  • Russia. 3 luglio. Creazione di un’unica agenzia controllata dallo Stato per il nucleare civile.  L’annuncio è stato dato lo scorso 27 giugno da Sergei Kiriyenko, direttore dell’agenzia per l’energia nucleare Rosatom. Questa agenzia di Stato, denominata Atomprom, diverrebbe l’equivalente di ciò che oggi rappresenta la Gazprom nel settore del gas naturale. Ad Atomprom sarebbero affidati sia il ciclo di estrazione e produzione dell’uranio sia la costruzione e la gestione delle centrali nucleari, con possibilità di operare anche all’estero. Del resto il dinamismo del colosso energetico Gazprom, sia su scala interna che internazionale, ha dimostrato quale sia realmente il punto debole delle economie moderne: l’approvigionamento di scorte energetiche. Dopo la campagna di statalizzazione delle imprese energetiche, Gazprom figura ora come un gigante nei geoequilibri energetici, europei per il momento, e prossimamente globali. Un gigante che ha fatto sentire lo scorso inverno cosa voglia dire chiudere i rubinetti, sia in termini di rincari economici che di benessere sociale. Bielorussia e Ucraina hanno risentito anche a livello politico delle strette energetiche imposte dalla Russia, con la Bielorussia ormai fedele alleato di Putin nonostante lo sdegno della comunità atlantica per l’andamento delle passate elezioni presidenziali, e l’Ucraina combattuta tra la rivoluzione arancione e la necessità di passare l’inverno.

  • Russia / Cecenia. 3 luglio. Guerriglieri separatisti ceceni hanno attaccato un convoglio militare russo, con un bilancio di almeno sette morti e circa trenta feriti. Lo riferisce l’agenzia Interfax citando il procuratore ceceno Valeri Kuznetzov. L’attacco è avvenuto nel distretto di Shali, nel sudest del paese, a circa 30 km dalla capitale, Grozny. In un comunicato sul sito Kavkaz Center, la resistenza cecena ha rivendicato l’imboscata, nella quale assicura che sono morti più di venti militari russi. Decine i feriti, con distruzione di mezzi (un blindato e tre camion). L’atto, ordinato dal comandante guerrigliero nel distretto di Kurchaloi, Amir Halid, è «una risposta all’assassinio del presidente (legittimo della Cecenia, ndr) Abdul-Halim Saidulaiev» avvenuta il 17 giugno.

 

  • Palestina. 3 luglio. Fragori ultrasonici come parte della repressione di Tel Aviv. L’organizzazione israeliana Medici per i Diritti Umani ha annunciato oggi che presenterà un’istanza al Tribunale Supremo d’Israele perché disponga che l’esercito cessi immediatamente di provocare «boom ultrasonici» tramite gli F-16 che sorvolano la Striscia di Gaza superando la barriera del suono. Si tratta, denuncia l’organizzazione, di una «punizione collettiva» e di una «tortura psicologica» alla popolazione civile e proibita dal diritto internazionale. Lo riferisce il quotidiano isareliano Yediot Aharonot. Questi fragori, vere e proprie esplosioni che si alternano così con quelle reali e mortifere dei bombardamenti, sono ad arte utilizzate per spaventare la popolazione e non lasciarla dormire. Gli effetti, denunciano i medici, non si fermano qui e citano, dati alla mano, l’accresciuto numero degli aborti, le emorragie cerebrali in bambini appena nati e i gravi danni psicologici sui bambini palestinesi. Iyad al-Sarraj, un psichiatra citato da Al Jazeera, ha rilevato che, da quando Israele ha cominciato i suoi attacchi aerei, è aumentato considerevolmente il numero di donne e bambini che ricorrono al medico per problemi psicologici.

 

  • Euskal Herria. 4 luglio. Lakua afferma che l’atteggiamento di Zapatero è «contraddittorio». La portavoce del governo autonomico basco, Miren Azkarate, ha espresso ieri la sua preoccupazione di fronte alle «contraddizioni» del presidente spagnolo che, dopo aver assicurato giovedì scorso che rispetterà il diritto a decidere dei baschi, ha detto ieri che l’autodeterminazione non esiste nell’ordinamento giuridico spagnolo. Azkarate ha detto di ritenere che l’autodeterminazione è «uno dei punti vertebrali» nel cammino di risoluzione del conflitto e ha avvertito Zapatero che «per quanto si neghi la realtà questa non smette di esistere (...) Il diritto dei cittadini a decidere democraticamente il proprio futuro è un diritto che esiste e che si consolida progressivamente. Di fatto, ha aggiunto, il riconoscimento di questo diritto è stato utilizzato in Europa, con il visto buono dell’Unione Europea, per risolvere problemi politici». Secondo la portavoce «se in Euskal Herria si vuole cercare un accordo che risolva il conflitto politico, si dovrà applicare il diritto a decidere nello stesso modo che si è fatto in Europa».

 

  • USA. 4 luglio. La CIA smantella la sua unità specializzata per la caccia ad Osama bin Laden, il miliardario saudita leader di al Qaeda. L’unità, battezzata Alec Station, ha operato dal 1996 al 2005, quando i suoi analisti sono stati riportati al centro antiterrorismo CIA. Secondo fonti interne, l’agenzia preferisce ora concentrarsi su aree geografiche piuttosto che su individui o organizzazioni. La notizia è riportata oggi dal New York Times, che ha ripreso la National Public Radio.

 

  • Salvador. 4 luglio. Tornano gli squadroni della morte? Ne sono convinti gli esponenti del Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale, che attribuiscono loro la responsabilità dell’uccisione dei genitori di Marina Manzanares Mariposa, che fu tra i fondatori di Radio Venceremos, la radio del Fronte. I due anziani coniugi, Francisco Antonio Manzanares e Juana Monjarás, sono stati torturati e assassinati nella loro abitazione di Suchitoto, la stessa in cui, durante la lunga guerra civile, venne fondata la prima organizzazione clandestina delle Forze Popolari di Liberazione. La polizia ha attribuito il crimine a dei rapinatori, ma dalla casa non manca nessun oggetto di valore. La stessa Mariposa, che sta realizzando un lavoro di recupero della memoria storica di quegli anni, aveva ricevuto ripetute minacce di morte.

 

  • Bolivia. 4 luglio. Evo Morales supera il suo primo esame elettorale come presidente. Il MAS (Movimiento al Socialismo) ha ottenuto poco più del 50% dei voti, garantendosi così 137 seggi su 255 nell’Assemblea Costituente che si insedierà il 6 agosto prossimo. Il maggior partito d’opposizione Podemos (Poder Democrático Social, di destra) dell’ex presidente Jorge Tuto Quiroga si è fermato al 15% (60 seggi). Al referendum sulle autonomie delle province orientali, voluto dalle «oligarchie» sconfitte e votato in concomitanza, i No hanno vinto in cinque dipartimenti su 9, quelli delle regioni andine, le più povere del paese; nelle ricche regioni di Santa Cruz, Beni, Pando e Tarija in maniera più o meno massiccia ha prevalso il Sì, anche se il MAS ha conquistato a livello politico un ottimo piazzamento. Il governo Morales dunque dovrà fare i conti con la forza dei movimenti autonomisti e nell’Assemblea Costituente sarà costretto a una politica di alleanze, non avendo raggiunto la maggioranza dei due terzi necessaria all’approvazione dei cambiamenti costituzionali.

 

  • Bolivia. 4 luglio. «Con questo appoggio si consolida la nazionalizzazione e il cammino antineoliberista espresso nella nostra rivoluzione democratica e culturale»: così il capo dello Stato ha commentato il risultato di domenica 2 luglio. Nella conferenza stampa indetta nel Chapare, la zona dove ha votato e suo bastione politico e sindacale, Morales ha tenuto una conferenza stampa nel corso della quale ha sottolineato che i due processi di votazione effettuati ieri consentiranno una rivoluzione «pacifica» ed il recupero delle risorse naturali, per fondare un nuovo «regime economico». L’Assemblea Costituente «è un inizio, non solo per liberare i popoli, ma anche tutte le risorse naturali», ha sostenuto Morales dicendosi favorevole a che queste non siano cedute neppure in concessione e tanto meno siano privatizzate. Già nazionalizzati gli idrocarburi (1° maggio scorso) ieri il presidente boliviano ha confermato che il prossimo 2 agosto ci sarà un nuovo passaggio di quella «rivoluzione agraria» che prevede distribuzione delle terre ed eliminazione dei «latifondi oziosi». Secondo Morales, la giornata di ieri consente anche una «rivoluzione democratica e pacifica» per evitare confronti armati interni, «come avviene in paesi vicini come Perù e Colombia».

 

  • Bolivia. 4 luglio. Il colonnello Wilfredo Torrico è stato sollevato dall’incarico di comandante della polizia del dipartimento di Santa Cruz, per aver permesso ad alcuni membri del raggruppamento di ultradestra Unión Juvenil Cruceñista (UJC, braccio violento del Comité Cívico) di occupare con la forza l’edificio della Central Obrera Boliviana, aggredendo i sindacalisti che si trovavano all’interno. Gli attaccanti avevano giustificato l’irruzione affermando che il popolo di Santa Cruz «esercitava» in questo modo il potere autonomo deciso dal suffragio del 2 luglio.

 

  • Svizzera / Israele. 5 luglio. Israele vìola i diritti umani a Gaza. Il governo svizzero, eccezione rispetto ad altri Stati in Europa, denuncia la «punizione collettiva» contro il popolo palestinese. Lo fa attraverso un comunicato del ministero degli Esteri. I membri dell’Unione Europea sono invece concordi nel chiedere calma alle parti, mentre la mattanza palestinese ad opera dei militari di Tel Aviv continua nell’impunità ed indifferenza della cosiddetta “comunità internazionale”, cioè Stati Uniti e suoi vassalli. Le autorità svizzere ritengono «inaccettabile» la recente distruzione di una centrale elettrica che somministrava la metà dell’energia della striscia di Gaza nella quale vivono 1,4 milioni di palestinesi, l’attacco contro gli uffici del primo ministro palestinese, Ismail Haniyeh, e l’arresto di deputati eletti democraticamente alle elezioni dello scorso mese di gennaio.

 

  • Unione Europea / Israele. 5 luglio. Negando ogni dialogo con il governo di Hamas, «l’Unione Europea ha perso ogni influenza sulla parte palestinese, senza che per questo la sua posizione abbia più peso di fronte ad Israele», assicura Claire Spencer, del centro studi britannico Chatham House. Secondo gli analisti, le timide «pressioni» europee hanno ottenuto soltanto che Washington sfumasse leggerissimamente, almeno verbalmente, il suo iniziale ed incondizionato appoggio alle operazioni israeliane.

 

  • Iraq. 5 luglio. USA ammettono: la morte di Abu Musab al Zarqawi, il ritenuto capo di Al Qaeda in Iraq, non ha migliorato le cose nel paese arabo occupato. A sostenerlo apertamente, ieri, è stato l’ambasciatore statunitense in Iraq, Zalmay Khalilzad. «In termini di livello di violenza», ha detto alla BBC, «non c’è stato alcun impatto sinora. Il livello di violenza continua ad essere sempre alto». In generale, prosegue, la situazione dalla caduta di Saddam Hussein è molto più difficile di quanto avevano previsto strateghi ed analisti.

 

  • Cuba. 5 luglio. Washington si prepara ad intervenire a Cuba una volta morto Castro. La Commissione di Assistenza a una Cuba Libera, creata dal presidente Bush per seguire da vicino gli avvenimenti sull’isola, ha redatto un rapporto in cui si raccomanda al governo di Washington di iniziare i preparativi per un intervento in vista della morte di Fidel Castro. Lo ha rivelato il quotidiano britannico The Indipendent. La Commissione, nata tre anni fa, è presieduta dal segretario di Stato, Condoleezza Rice, e dal ministro del Commercio, Gutiérrez. Secondo l’agenzia France Presse, il piano prevede, tra l’altro, la restituzione agli antichi proprietari di palazzi e beni confiscati dopo la Rivoluzione, la privatizzazione economica e una fase di transizione coordinata da un funzionario USA.

 

  • Venezuela. 5 luglio. Il Venezuela è divenuto il quinto membro del Mercosur, il mercato comune del Sud America. La formalizzazione, ieri, in un vertice a Caracas. Il Mercosur, nato nel 1991, fu costituito da Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay. È la prima volta che viene ammesso un nuovo paese. Il presidente venezuelano Hugo Chávez ha tenuto a precisare che tale allargamento è un ulteriore passo verso l’attuazione della sua “rivoluzione bolivariana” tesa a liberare il Sudamerica dalla sudditanza politica ed economica nei confronti di Washington. Da un punto di vista economico il Venezuela non trarrà alcun vantaggio immediato dall’ingresso nell’organizzazione. A giudizio di Sidney Weintraub (economista del Center for Strategic and International Studies) Caracas non dispone di grandi risorse da vendere ai suoi nuovi partner se non il petrolio ma, per lo scambio di tale risorsa, l’integrazione economica e il libero commercio non sono necessari. Anzi, secondo Josè Betancourt, presidente di Fedecamaras (sindacato venezuelano dei datori di lavoro e maggior responsabile del tentativo di colpo di stato contro Chávez del 2002) l’ingresso del Venezuela nel Mercosur rischia di esporre l’agricoltura del Paese alla sfrenata concorrenza dei prodotti naturali molto più a buon mercato di Brasile e Argentina.

 

  • Venezuela / Brasile. 5 luglio. Se per i partner originari del Mercosur l’accesso di Caracas rappresenta uno strumento per rafforzare la struttura e permettere così al Sudamerica di avere un peso maggiore nell’economia e nella politica mondiale, per Chávez accanto a tali motivazioni vi è anche una ragione di natura geopolitica connessa alla emancipazione del subcontinente dall’influenza degli USA. La differenza di percezioni su questo punto è chiaramente evidenziata dalle parole con cui il presidente Ignacio Lula da Silva ha sottolineato l’allargamento del Mercosur al Venezuela. A suo giudizio, con l’ingresso di Caracas i membri della organizzazione potranno rafforzare la loro integrazione reciproca permettendo alle istituzioni comuni di contare di più sia in sede di Nazioni Unite sia nell’ambito del WTO, l’organizzazione mondiale del commercio.

 

  • Venezuela / Brasile. 5 luglio. Dalle considerazioni di Lula emerge il contrasto latente con il Venezuela sia sullo scopo cui lavorano entrambe le diplomazie (l’avanzamento del processo di integrazione latinoamericano) sia sulla conquista del ruolo di guida continentale che entrambi i Paesi vorrebbero vedere assegnata al proprio Stato, sia in ambiti più ampi (ad es. terzomondismo e rappresentanza nel Consiglio di Sicurezza ONU). Le parole di Lula evidenziano una possibile frattura nei rapporti tra Brasilia e Caracas e non a caso Chávez ha programmato un incontro bilaterale con il presidente brasiliano il prossimo 20 luglio, un giorno prima dell’incontro tra Paesi membri e associati del Mercosur che si terrà a Cordoba in Argentina.

 

  • Venezuela / Brasile. 5 luglio. In una visita a Montevideo, il 23 giugno, il ministro degli Esteri brasiliano Celso Amorin, in vista dell’ammissione del Venezuela al Mercosur, ha sostenuto che, tra le motivazioni alla base del sostegno di Brasilia a tale scelta, vi era anche la speranza che, una volta entrato nell’istituzione, Chávez avrebbe moderato i suoi eccessi verbali e avrebbe potuto essere indotto a propositi meno bellicosi. Queste parole non amichevoli per il Venezuela sono lette da alcuni osservatori in un contesto elettorale: il Brasile si trova alla vigilia di un importante appuntamento con le urne che vedrà Lula ripresentarsi alle elezioni presidenziali il prossimo ottobre. Accusato da più parti, soprattutto dai suoi avversari nella corsa alla presidenza, di essere «troppo morbido» con Chávez, Lula sta tentando di distanziarsi dal suo vicino. La differenza di fondo a proposito dell’atteggiamento verso Washington rimane un punto dolente ed è emblematico di un graduale scostamento di prospettive tra le due nazioni.

 

  • Venezuela / Brasile. 5 luglio. La recentissima polemica di Chávez con gli USA per la nomina quale membro non permanente del Venezuela presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è un altro aspetto del problema. Mentre l’Argentina ha espresso un sostegno incondizionato alla candidatura venezuelana, il Brasile non ha espresso lo stesso tipo di appoggio. Strettamente collegato a questo è il recente intervento compiuto da Chávez in Gambia al vertice dell’Unione Africana lo scorso 1° luglio. Invitato insieme al presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, Chávez ha preso le difese delle nazioni africane sostenendo che gli europei avrebbero dovuto chiedere loro scusa per la schiavitù, ma soprattutto ha proposto di seguire il suo Paese e la Bolivia di Evo Morales nel riappropriarsi delle risorse energetiche sottraendole allo sfruttamento delle compagnie petrolifere straniere e le ha invitate a partecipare ai programmi di integrazione sudamericane da lui adottati, come Petrosur, Telesur o nella realizzazione di un Banco del sud, un meccanismo di sostegno finanziario allo sviluppo. Nelle proposte di Chávez traspare chiaramente il tentativo di ottenere il sostegno dei Paesi africani alla propria candidatura al Consiglio di Sicurezza, ma non si può evitare di pensare che nel proporre tali forme di cooperazione Chávez voglia seguire il Brasile di Lula su un percorso già battuto in precedenza dal grande vicino latino-americano. Nel marzo scorso il Brasile prese parte a un incontro con i rappresentanti di nazioni quali l’India e i Paesi dell’Africa del sud e in quella sede Lula espresse la sua intenzione di stipulare accordi di collaborazione economica e tecnologica con essi rafforzando quella che alcuni commentatori avevano definito una alleanza tra poveri. La scelta del leader brasiliano non era il risultato di una decisione improvvisa, ma era da inquadrare all’interno di una strategia ben precisa: la volontà di Brasilia di incarnare il ruolo di interprete presso i Paesi occidentali più sviluppati delle istanze e delle necessità dei Paesi meno progrediti attraverso una cooperazione sud-sud.

 

  • Perù. 5 luglio. Proseguono le proteste contro il TLC. Stamane le organizzazioni contadine hanno bloccato le vie di comunicazione verso l’oriente e il sud del paese; un corteo si è snodato nella capitale. Queste iniziative si inscrivono nell’ambito delle agitazioni contro il Trattato di Libero Commercio (TLC) firmato dal governo di Lima con gli Stati Uniti e ratificato a sorpresa dal Congresso il 28 giugno. Il voto aveva visto uniti il raggruppamento Perú Posible dell’attuale presidente Alejandro Toledo, i partiti di destra e l’Apra del capo di Stato eletto Alan García. La protesta aveva raggiunto la stessa aula parlamentare, con l’irruzione di una decina di esponenti del Partito Unione per il Perù di Ollanta Humala. «Quello che è avvenuto nel Congresso è stato vergognoso perché il TLC è stato approvato senza consentire alcun dibattito, facendo ricordare le pratiche del governo di Fujimori», aveva dichiarato il leader del Partito Socialista Javier Diez Canseco. «Il comportamento di García è penoso, non è stato capace di mantenere la sua parola [durante la campagna elettorale, l’esponente dell’Apra aveva promesso di rinegoziare il trattato con gli USA, ndr]. García rappresenta il continuismo neoliberista rispetto al governo di Toledo, ma con un incremento della repressione perché l’aprismo sta già promuovendo leggi per aumentare le pene contro chi protesta nelle piazze». “Toledo e García, la stessa porcheria” era stato lo slogan gridato dai dimostranti che avevano marciato fino alla sede del Congresso, sotto la guida del segretario generale della Confederazione Nazionale Agraria, Antolín Huáscar. «I parlamentari che hanno votato il TLC sono dei traditori», aveva detto Huascar. «Presenteremo una mozione di incostituzionalità del TLC davanti al Tribunale Costituzionale».

 

  • Perù. 5 luglio. Secondo uno studio del Gruppo di Analisi per lo Sviluppo, il settore agrario perderà tra i 100 e i 160 milioni di dollari per l’ingresso nel paese di prodotti statunitensi che godono delle sovvenzioni del governo di Washington. Oltre il 60% del costo di questo Trattato di Libero Commercio ricadrà sui contadini delle Ande, i più poveri del Perù. E non è tutto: con l’accordo sottoscritto il governo di Lima non potrà adottare alcun provvedimento che danneggi le imprese statunitensi, come imporre nuove tasse o rinegoziare contratti; le compagnie USA non saranno sottoposte alla giustizia nazionale; mentre le autorità statunitensi potranno negare l’ingresso ai prodotti peruviani per ragioni sanitarie, le autorità peruviane non potranno fare lo stesso.

 

  • Italia / USA. 6 luglio. Le forze di riserva sono di primaria importanza per completare gli organici NATO nella «guerra al terrorismo». Del ricorso ai riservisti (militari in congedo caratterizzati da una elevata preparazione tecnico-professionale) si discute nel Simposio del Congresso Cior 2006, in programma a Viterbo da oggi fino al 9 luglio, con la partecipazione di esperti internazionali, civili e militari, appartenenti a 25 Paesi membri effettivi della NATO e di otto nazioni associate all’Interallied Confederation of Reserve Officers. Tra di loro il generale Raymond Henault, presidente del Comitato militare della NATO, il colonnello G.M. Salzano, del direttorato antiterrorismo del Regno Unito, il prof. Philip A. Karber della Georgetown University (USA), il prof. Brice de Ruyer dell’università di Ghent (Belgio), il dott. Sammi Sandawi, politologo dell’Institute for European politics (Germania) e il generale Gerard W. Back, comandante della Joint Force della NATO con sede a Brunsumm (Paesi Bassi).

 

  • Italia. 6 luglio. Arrestato il numero due dei servizi segreti italiani. Marco Mancini, numero due del SISMI e capo della prima divisione del controspionaggio, è stato arrestato ieri nella sua casa di Lugo di Romagna. Arrestato anche il generale Gustavo Pignero, responsabile dei centri SISMI nel nord Italia. La Procura italiana ha emesso ordine di arresto anche nei confronti di quattro cittadini statunitensi, tre agenti della CIA ed un altro in servizio nella base NATO di Aviano. Tra questi Jeff Castelli, capo della CIA in Italia nel periodo del sequestro dell’imam Abu Omar a Milano nel febbraio 2003 ed attualmente nella base militare di Langley (USA). Il precedente governo Berlusconi aveva smentito ogni coinvolgimento di apparati di Stato nel sequestro dell’imam e di essere a conoscenza delle attività della CIA in territorio italiano. L’allora ministro della Giustizia, Roberto Castelli, rifiutò di inviare negli Stati Uniti le rogatorie che chiedeva la procura per avviare un’inchiesta sugli statunitensi presuntivamente coinvolti nel caso. Secondo il procedimento aperto dal giudice del Tribunale di Milano, Chiara Nobili, l’imam egiziano Nasr Osama Mostafa Hassam, conosciuto come Abu Omar, «fu sequestrato da soggetti che appartenevano a strutture dei servizi di intelligence stranieri per sottoporlo ad interrogatorio, neutralizzarlo e quindi consegnarlo alle autorità egiziane». I due arrestati italiani sono accusati di aver partecipato al sequestro illegale di questo cittadino egiziano.

 

  • Slovacchia. 6 luglio. Critiche della UE alla coalizione di governo anti-liberista in Slovacchia. Il nuovo governo slovacco, frutto della coalizione tra la sinistra (Smer-SD, Direzione-Democrazia Sociale), il Partito Nazionale Slovacco (Slovak National Party, SNS) ed il Movimento per una Slovacchia Democratica (LS-HZDS) di Vladimir Meciar, ha preso possesso ieri delle sue funzioni con l’obiettivo di fare marcia indietro rispetto ai tagli di impronta neoliberista varati dall’esecutivo uscente. Dure critiche alla nuova alleanza di governo anche dal Partito Socialista Europeo che minaccia di espellere Smer dall’Internazionale Socialista. Il nuovo primo ministro, Robert Fico (Smer-SD) ha evocato la possibilità di aumentare le imposte a banche e grandi imprese. La deriva neoliberista del precedente esecutivo era stata presa ad esempio dall’Unione Europea (UE) e, sebbene avesse attratto investimenti stranieri, aveva aumentato le diseguaglianze nel paese. Fico ha anche annunciato il ritiro del contingente slovacco in Iraq (un centinaio di effettivi).

 

  • Slovacchia. 6 luglio. Dopo le elezioni del 17 giugno, e dopo otto anni di governi liberisti di centro destra del premier Mikulas Dzurinda, il testimone passa ad un governo guidato dal leader del partito socialdemocratico slovacco. Iscritto al Partito comunista slovacco dall’età di 25 anni, Fico entra in politica nel 1992 aderendo al Partito della sinistra democratica (SDL), per poi uscirne nel 1998 e fondare lo Smer, in cui nel 1999 confluirono molti dei simpatizzanti delusi dell’ex premier Meciar e cittadini scontenti dell’impatto delle riforme economiche di Dzurinda. L’annuncio della nuova coalizione di governo a Bratislava ha destato preoccupazione fra gli imprenditori stranieri, che negli ultimi anni hanno investito massicciamente nel paese, e l’UE che ha ammonito subito sul rispetto dei valori e dei “diritti europei”. Il quotidiano francese Le Monde aveva scritto che dopo Varsavia, anche Bratislava sembra ostaggio dell’ondata populista che scuote l’est. Secondo il quotidiano di sinistra francese Liberation, il nuovo premier Robert Fico rappresenterebbe un’icona –di sinistra– del populismo. Lo Smer, finora all’opposizione, ha ottenuto la maggioranza relativa dei voti (29,2%) alle ultime elezioni sull’onda del malcontento per i provvedimenti liberisti del centrodestra. Il risultato non gli ha permesso di contare su una maggioranza in Parlamento, ed è dovuto dunque ricorrere ad un’alleanza con il Partito Nazionale Slovacco di Jan Slota (11,7%) ed il Movimento per la Slovacchia Democratica dell’ex primo ministro Vladimir Meciar (8,8%, in caduta sulle precedenti elezioni, dov’era risultato sempre primo). All’opposizione SDKU (Unione Slovacca dei Cristiano Democratici) di Dzurinda e Coalizione degli Ungheresi (SMK, 11,7%), rappresentante la minoranza ungherese nel paese. Ultimo partito sopra il 5%, il Movimento Cristiano Democratico (KDH), arrivato all’8,3%. Sotto il 5% sia i comunisti (KSS) sia i liberali del Foro libero.

 

  • Slovacchia. 6 luglio. Secondo Fico, l’alleanza con i partiti di Meciar e Slota è l’unica soluzione possibile per favorire una «svolta di sinistra» nel Paese. Fico, di cui va però rilevato l’aver citato tra i suoi modelli il premier laburista britannico Tony Blair e l’ex cancelliere socialdemocratico tedesco Gerhard Schroeder, ha in primo luogo promesso di fermare molte delle riforme di Dzurinda. Provvedimenti annunciati del governo sono la riduzione dell’IVA sugli alimentari, lo stop alle privatizzazioni delle imprese statali, il ridisegno in senso antiliberista di pensioni e sanità, l’abolizione della flat tax del 19% (aliquota unica dell’imposta sui redditi, da sostituire con un ritorno alla progressività). Questa è stata introdotta dal governo di centrodestra di Mikulas Dzurinda ed è indicata dallo Smer come origine dei forti squilibri sociali avvertiti dalla Slovacchia, in cui crescono contemporaneamente PIL e percentuale di cittadini al di sotto della soglia di povertà.

 

  • Slovacchia. 6 luglio. Nel nuovo governo, il partito di maggioranza di Fico –la cui vittoria è stata salutata entusiasticamente dal responsabile esteri dei Democratici di Sinistra Luciano Vecchi– avrà undici ministeri, il SNS tre ed il partito di Meciar due. Fico ha chiamato nell’esecutivo anche quattro personalità senza partito (vicini allo Smer), tra cui il diplomatico di carriera Jan Kubis (53 anni) al ministero degli esteri. «Questo professionista esperto e riconosciuto in tutto il mondo è la migliore scelta per la diplomazia slovacca» che Fico potesse fare, ha commentato il ministro degli esteri uscente di centrodestra Eduard Kukan. Dal 1999 al 2005 Kubis è stato segretario generale dell’OCSE (organizzazione per la cooperazione e la sicurezza in Europa) e dal 2005 inviato speciale dell’UE per l’Asia centrale. Lo Smer occuperà nel governo tutti i ministeri chiave per poter portare avanti il programma di sinistra annunciato da Fico in campagna elettorale. Fico ha chiamato al governo anche imprenditori controversi, che nel passato rappresentavano il retroterra finanziario dello Smer, come Jan Pociatek, ministro delle finanze, o Lubomir Jahnatek, ministro dell’economia. Gli altri due partiti della coalizione hanno avuto comunque poltrone ministeriali importanti. La giustizia è andata a Stefan Harabin (Hzds), ex presidente della Corte suprema, molto vicino a Meciar. Oltre alla giustizia, l’Hzds gestirà anche il ministero dell’agricoltura. Un altro ministero chiave, quello degli investimenti, che si occupa della distribuzione dei fondi europei, sarà affidato a Marian Janusek, del partito di Slota.

 

  • Russia. 6 luglio. Il Cremlino potrà decidere senza mandato parlamentare di intervenire militarmente al di là delle frontiere. La Duma ha approvato ieri una legge che autorizza il presidente ad utilizzare le truppe o i servizi segreti fuori del territorio russo per combattere attività terroriste dirette «contro la Federazione di Russia o suoi cittadini ed abitanti». La Costituzione lasciava questa attribuzione come esclusiva del Senato, camera che, d’ora in avanti, si limiterà a dare il suo placet alla richiesta del presidente, che non sarà obbligato ad informare in concreto sulle operazioni. La nuova legge, tra le varie draconiane misure «antiterroriste», impone la censura a tutti i mezzi di comunicazione sulla copertura degli attentati, ripristina la confisca dei beni anche per i sospetti e permette il giudizio in contumacia.

 

  • Palestina. 6 luglio. Ghilad Shalit, il militare israeliano sequestrato dai palestinesi, è prigioniero in un bunker sotterraneo, guardato a vista da una manciata di militanti che dispongono di cibo e acqua per resistere a lungo senza emergere e rischiare di farsi vedere. Hanno lasciato a casa i loro telefoni cellulari per evitare di essere localizzati dall’Intelligence israeliana. Lo scrive il quotidiano Yediot Aharonot. I palestinesi chiedono la liberazione di tutte le donne e i minorenni reclusi in Israele, circa quattrocento, ed il rilascio di altri mille detenuti, sequestrati dai militari israeliani, sepolti vivi nelle carceri e dimenticati dalla cosiddetta “comunità internazionale”. Altissimo è il consenso nei Territori per l’azione delle tre formazioni della resistenza palestinese (Brigate Ezzedin al-Qassam, braccio armato di Hamas, i Comitati di resistenza popolare e l’Esercito dell’Islam) che hanno compiuto l’operazione. Per molti c’è la possibilità, ora, di riabbracciare i propri cari.

 

  • USA. 6 luglio. Per la prima volta dopo il 1946, gli Stati Uniti hanno la capacità di distruggere al primo attacco (at first strike) gli arsenali nucleari russi e cinesi. Recentemente Foreign Affairs, rivista di politica internazionale, ha ipotizzato una nuova era nel campo delle relazioni internazionali nell’articolo “The rise of the U.S. nuclear supremacy”. L’era della supremazia nucleare USA determinerebbe la fine di quell’equilibrio che ha evitò lo scoppio di uno scontro con armi nucleari durante la Guerra Fredda. In quel periodo, infatti, l’era del Mad (mutual assured destruction), gli arsenali nucleari costituivano un deterrente reciproco: la certezza di ritorsioni devastanti in caso di attacco impedì alle due superpotenze di usare tali arsenali. La crisi dei missili di Cuba costituì l’episodio emblematico: sull’orlo di un conflitto nucleare, la certezze della risposta all’avversario, in caso di primo attacco, fece propendere per una soluzione diplomatica.

 

  • USA. 6 luglio. Secondo Foreign Affairs l’era del Mad (mutual assured destruction) è finita. Sono aumentate ora le le possibilità che gli Stati Uniti usino testate nucleari durante un conflitto e la politica estera statunitense si è fatta più aggressiva e audace, poiché forte di tale superiorità. Foreign Affairs rileva però che lo studio delle tipologie degli ultimi conflitti e del modo di condurre una guerra è assai diverso dalle tecniche di attacco ipotizzate durante la Guerra Fredda. Infatti, la supremazia convenzionale (e non) USA ha portato alla guerra asimmetrica, in cui ai tradizionali attori (due o più eserciti contrapposti), se ne sostituiscono altri (“terrorismo”, “signori della guerra”, ecc.) con nuove tecniche (attacchi suicida, rapimenti di ostaggi, uso delle moderne tecnologie di comunicazione) per cui il tradizionale modo di condurre una guerra risulta spesso inadeguato (l’Iraq e l’Afghanistan ne sono fin troppo chiare testimonianze). L’impossibilità di proteggere ogni obiettivo sensibile –sia esso di carattere economico, militare o civile– e la frammentazione degli attori rilevanti sulla scala internazionale mitigherebbero la rilevanza della nuclear supremacy statunitense, decisiva solo in caso di scontro contro eserciti regolari.

 

  • Salvador. 6 luglio. Scontri tra polizia e studenti, con morti e feriti da entrambe le parti. Gli incidenti sono scoppiati nei pressi dell’Università Nazionale, per l’intervento della polizia teso a sgomberare la strada bloccata da alcuni giovani. Gli universitari protestavano per l’alto costo del trasporto pubblico e chiedevano che il biglietto fosse dimezzato per studenti e anziani. L’arresto di due manifestanti ha dato inizio allo scontro tra gli agenti, che hanno fatto uso di gas irritante, e gli studenti, che hanno risposto con il lancio di pietre. A questo punto sono partiti colpi d’arma da fuoco provenienti da francotiratori. Il FMLN (Fronte Farabundo Martì di Liberazione Nazionale) ha accusato il governo del presidente Saca di aver dato il via ai disordini reprimendo con la violenza una protesta pacifica.

 

  • Nicaragua. 6 luglio. Nuovi candidati alla presidenza del MRS. La scomparsa improvvisa di Lewites, stroncato il 2 luglio da un infarto, ha costretto il Movimento Rinnovatore Sandinista (MRS, sorto da una scissione del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale) a ridefinire le sue scelte nella competizione elettorale del 5 novembre. L’avvocato ed economista Edmundo Jarquín, che doveva affiancare l’ex primo cittadino della capitale, Herty Lewites, concorrerà per la presidenza. Il nuovo candidato alla vicepresidenza sarà, a sorpresa, il cantautore Carlos Mejía Godoy. Considerato una gloria musicale del suo paese, Mejía Godoy è l’autore dell’inno sandinista. Con lui il MRS punta a un personaggio noto e amato dalla gente, che possa riempire il vuoto lasciato da Lewites. I sondaggi indicavano l’ex sindaco di Managua al terzo posto nella corsa alla massima carica dello Stato, preceduto da Daniel Ortega e dall’ex ministro degli Esteri Montealegre. Antico guerrigliero sandinista e ministro del Turismo nel Nicaragua sandinista ed ex sindaco di Managua, Lewites è stato espulso dal partito nel marzo 2005 per aver sfidato la candidatura di Daniel Ortega. Fondò una propria formazione, con il sostegno dell’ex ministro della Cultura, Ernesto Cardenal, gli ex comandanti Henry Ruiz e Luis Carrión e l’ex vice cancelliere sandinista Víctor Hugo Tinoco. Lewites si unì, quindi, al movimento di rinnovamento fondato nel 1995 dall’ex vicepresidente Sergio Ramírez. Lewites, che aveva diretto i comitati di solidarietà sandinisti negli Stati Uniti, aveva ricevuto di recente apprezzamenti da Washington, il che gli aveva creato problemi nella sua coalizione.

 

  • Nicaragua. 6 luglio. La lista del Fronte Sandinista continua a far discutere: accanto a Ortega, come possibile vicepresidente figura l’ex dirigente della contra Jaime Morales Carazo, mentre altri vecchi esponenti della controrivoluzione appaiono tra gli eleggibili in Parlamento. La destra nicaraguense, nonostante gli sforzi dell’ambasciatore statunitense Paul Trivelli, presenta due candidati contrapposti: da una parte José Rizo per il Partito Liberale Costituzionalista controllato dall’ex presidente Arnoldo Alemán (attualmente agli arresti domiciliari perché riconosciuto colpevole di corruzione), dall’altra Eduardo Montealegre per l’Alleanza Liberale Nicaraguense-Partito Conservatore.