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Legge elettorale, pasticci all'italiana prima dello tsunami

di Massimo Fini - 29/11/2012


Pare destino dell'Italia di non poter rinunciare, anche nei momenti più difficili, come quelli che stiamo vivendo, alla pochade, al grottesco, al ridicolo. Certamente nel sequestro di Giuseppe Spinelli, l’amministratore privato di Silvio Berlusconi, il riservato ragioniere che pagava le ragazze che partecipavano alle feste di Arcore, ci sono elementi inquietanti. Ma non si era mai visto un bandito, un rapinatore, un sequestratore agire indossando delle scarpe rosse. In genere si cerca di mimetizzarsi. Evidentemente nel nostro Paese nemmeno la malavita è più professionale. Ma lasciamo perdere per non farci prendere dalla nostalgia dei tempi della banda di via Osoppo.

Parliamo di altre nostalgie. Esisteva un tempo il sistema elettorale proporzionale. Aveva dei vantaggi e degli svantaggi. Il vantaggio era che rispettava il principio democratico della rappresentatività, ogni forza politica prendeva seggi in proporzione, appunto, ai voti che aveva ricevuto. Ma in tal modo entravano in Parlamento anche microformazioni con alcune delle quali le forze maggiori dovevano allearsi per raggiungere i numeri necessario a governare. In questo modo erano sottoposte ai continui ricatti e appetiti di queste forze minori, per un ministro o un sottosegretario in più. Di qui le crisi ricorrenti dell’Esecutivo, i "governi balneari", le elezioni anticipate.

Si pensò quindi di passare al sistema maggioritario, sacrificando la rappresentanza perfetta in nome della stabilità dei governi. Per la verità l’idea del maggioritario era venuta a Mario Segni verso la fine degli anni ’80 per un altro motivo. Poiché in Italia non esisteva più un’opposizione, e quindi una democrazia, perché il Pci era stato associato al potere, i fautori del maggioritario pensarono di sparigliare le carte per rompere questo consociativismo. Proposero un referendum e lo vinsero. Purtroppo lo vinsero nei primi anni ’90 quando il quadro politico era completamente cambiato, era nata la Lega, il pentapartito era stato spazzato via dalle inchieste di Mani Pulite e anche il Pci, mutatosi in Pds, ne era rimasto fortemente intaccato. Il maggioritario non serviva più. Ma ormai era diventato legge. L’elettore avrebbe avuto la scelta fra due sole coalizioni, quella che vinceva esprimeva il premier e governava, l’altra stava all’opposizione. Ma non è stato così. Infatti, pur di vincere, ogni coalizione imbarcava le forze più disparate. I nodi sciolti, in apparenza, prima delle elezioni si ripresentavano subito dopo per la inevitabile litigiosità di forze politiche in realtà incompatibili. Così nella scorsa Repubblica abbiamo avuto crisi e cadute di governo come nella Prima. Adesso, a pochissimi mesi dalle elezioni, i partiti sono ancora lì a litigare per varare una legge elettorale. Eppure non dovrebbe essere poi così difficile: proporzionale con sbarramento al 5% e sfiducia costruttiva (come in Germania) per avere in parlamento non più di cinque o sei forze fra le quali, le più moderate, non sarà difficile trovare un accordo, perché non siamo più ai tempi della "guerra fredda" e delle scelte radicali fra liberismo e comunismo. Ma in Italia nulla è mai semplice. Litigano, litigano, i partiti per ritagliarsi il sistema elettorale che più gli conviene. E, come un toro infuriato che già gronda sangue da tutte le parti, non si rendono conto che li aspetta la spada del matador. Perché dopo le elezioni di primavera, saranno comunque spazzati via. Dalla forza delle cose.