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Democrazia diretta e digitalizzazione

di Gianluca Donati - 18/01/2013

 


 

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La rivoluzione digitale ha cambiato la nostra vita e la sta ancora cambiando ma è arduo stabilire se la trasformazione in corso sia un miglioramento o un peggioramento. La digitalizzazione sta dando al sistema una parvenza di “democratizzazione” della società di massa; con il digitale terreste, si sono moltiplicati i canali TV e le varie emittenti si fanno concorrenza a colpi di “reality show” e “talent”, dove i ragazzi si esibiscono davanti al pubblico televisivo, senza avere granché da esibire. Un tempo si desiderava raggiungere la celebrità per realizzarsi nel proprio talento, oggi al contrario “si finge un talento” per raggiungere la celebrità. La fama non è più “il mezzo” ma “il fine” e la società moderna, soprattutto tra i giovani, è un concentrato di puro “pirandellismo”, dove l’apparire è più essenziale dell’essere, e ciò che gli altri pensano di noi è il vero assillo, più che quello che pensiamo di noi stessi.

In un tale modello sociale, “l’estetica”è indispensabile, quanto è trascurabile l’etica. Per Dostoevskij “la bellezza avrebbe salvato il mondo”, egli però non poteva prevedere che in futuro la bellezza sarebbe stata solo silicone e lifting; il concetto consumistico di estetica è pura superficie, alla quale non corrisponde una “bellezza spirituale e morale” e quindi il mondo la sta in realtà distruggendo. Per i tempi moderni non essere belli corrisponde a una condanna, perché non si può sperare di apparire in TV e quindi si è dei falliti; e allora, ci si rifugia sul web, nuovo mezzo tecnologico di “democratizzazione” delle masse: Facebook è diventata la salvezza per i timidi, perché chattando nessuno può vedere il nostro disagio, per quanto timidi e vergini siano oramai una razza estinta. Contattando sul web individui che non conosciamo di persona, si è più liberi di dire ciò che si pensa, perché non dobbiamo subirne le conseguenze e la bellezza non è necessaria: un avatar non salverà il mondo, ma può salvare la nostra reputazione.

 I telefoni cellulari consentono a tutti di potersi contattare quando vogliono ma anche di essere contattati quando vorremmo rimanere soli, difficile dire se la libertà aumenti o diminuisca; e se possiamo essere contattati, possiamo di certo essere anche intercettati. Con il cellulare, possiamo anche scattare fotografie per poi metterle sul web e non importa se non si è fotografi, l’importante è scattarle: si calcola che su Internet ci siano miliardi d’immagini. Con i moderni mezzi tecnologici digitali, tutti hanno la possibilità di trovare tanti nuovi amici, ma non è amicizia, bensì “contatti tra anime sole”. Il Web è una febbre che contagia inesorabilmente, dando a tutti l’illusione di aver raggiunto la celebrità; si è compiuta l’utopia di Andy Warhol il quale affermava: “in futuro tutti saranno famosi per quindici minuti”; quindici minuti, appunto e poi, avanti un altro!

Se Filippo Tommaso Marinetti e i futuristi fossero tra noi, probabilmente sarebbero schierati con la digitalizzazione, vedendo in questa rivoluzione il frutto maturo della loro storica intuizione artistico – culturale; tuttavia “la società delle macchine” non ha partorito il superuomo nicciano, ma al contrario l’annichilimento dell’uomo; eserciti di coraggiosi guerrieri sono massacrati, spazzati via dai droni di potenze tanto opulente, quanto arroganti: i “pantofolai” tanto odiati da Mussolini prevalgono sui forti, attraverso tecnologia e finanza. In futuro, probabilmente, le automobili saranno guidate da un computer e noi, durante il viaggio, potremo dormire; si realizza l’orrore di “2001: Odissea nello spazio”, l’uomo “superfluo”, dominato dalla macchina autosufficiente.

Eppure in tempi di crisi della democrazia, i mezzi tecnologici e digitali appaiano un utile strumento per tentare di realizzare “la democrazia diretta”: si può mandare e-mail, chattare, esprimere le proprie idee su un blog, giudicare, elogiare, criticare, proporre idee, suggerire modifiche, abbiamo finalmente la sensazione di essere “parte della democrazia”, la speranza che si compia “la democrazia partecipativa”. Il potere sembra essere cosciente di questa trasformazione della società, infatti pullulano sondaggi che vanno a esplorare le intensioni di voto, le opinioni della gente e suggeriscano ai politici cambiamenti di rotta. Che bello! La politica la facciamo noi! È giusto così? Non è forse il frutto maturo (o marcio) del populismo? Non dovrebbe la filosofia ispirare la politica e questa governare le masse? Il sistema si rovescia: sono le masse a condizionare la politica che per non perdere voti si adegua alla volontà della massa, anche quando ciò è irragionevole. Ma ne siamo sicuri? E se fosse il contrario? Chi ci dice che i sondaggi non siano manipolati? Inoltre i sondaggi, più che indagare le idee, sembrano volerle condizionare, per far credere che quella dell’elite sia in realtà la volontà del popolo: basta rendere pubblico un dato e dire che c’è una certa tendenza e subito l’intenzione popolare muta di colpo. Gli stessi mezzi che il popolo cerca di usare dal basso per compiere la democrazia diretta, sono rovesciati dall’elite per dare una parvenza di democrazia a una dittatura invisibile.

Jünger insegnava ai futuri ribelli “il passaggio al bosco” come via di fuga dalla società massificata e automatizzata, ma il passaggio al bosco era per Jünger una metafora: più una condizione psicologica e metafisica, un atteggiamento, un modo di porsi alla vita, piuttosto che il darsi realmente alla macchia. E allora i ribelli cercano i loro “boschi interiori” e sperano di attuarli con azioni concrete che corrispondano il più possibile alla visione intima: voto, primarie, manifestazioni, blog … parlare, scrivere, esprimersi, sono modi di agire. Gli stessi mezzi digitali sono usati contemporaneamente dal basso, dai ribelli, per andare all’assalto dell’elite e da questa, al rovescio, per rimettere i ribelli sotto il loro controllo: i primi hanno sempre l’illusione di guadagnare terreno, senza però mai sapere con certezza se sia la loro volontà oppure “quella dell’élite”, per dare una parvenza di forza, di volontà, di libertà ai ribelli, che in realtà è solo illusoria; mentre l’élite ha sempre il terrore che il giocattolo gli si possa rompere tra le mani, che la situazione possa sfuggire davvero al suo controllo, che la ribellione divenga reale e più forte della repressione, e così avanti, in un’eterna lotta tra potere e antipotere, tra sistema e antisistema. Potrebbe sembrare una lotta inutile, ma non lo è, perché l’obbiettivo del ribelle non è quello di sostituirsi al potere, ma opporsi eternamente a questo. Come in Hegel, l’azione non è lo strumento, ma il fine stesso.