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I bambini «danni collaterali» in Libano

di Robert Fisk - 21/07/2006

 
Tra quanto tempo faremo ricorso all’espressione «crimini di guerra»? Quanti bambini debbono finire senza vita tra le macerie a seguito dei raid aerei israeliani prima di respingere l’oscena frase «danni collaterali» e cominciare a parlare di incriminazione per crimini contro l’umanità? La bambina il cui corpo giace come una bambola di pezza accanto alle auto che forse dovevano portare in salvo lei e la sua famiglia simboleggia l’ultima guerra in Libano; è stata scagliata fuori dall’auto sulla quale

insieme alla famiglia viaggiava nel sud del Libano dopo aver abbandonato la sua casa e il suo villaggio seguendo le istruzioni degli israeliani. Dal momento che con ogni probabilità anche i genitori sono morti nello stesso attacco aereo, non si conosce ancora il suo nome. Non è un milite ignoto, ma una bambina ignota.

Tuttavia la storia della sua morte è ben documentata. Sabato scorso, agli abitanti del piccolissimo villaggio di Marwaheen vicino alla frontiera israeliana è stato ordinato dalla truppe israeliane – che apparentemente usavano un megafono – di abbandonare le loro case entro le 6 del pomeriggio. Marwaheen si trova vicino al luogo in cui i guerriglieri hezbollah una settimana fa hanno varcato la frontiera, catturato due soldati israeliani e ucciso altri tre scatenando quest’ultima crudele guerra in Libano. Gli abitanti del villaggio hanno obbedito agli ordini degli israeliani e sulle prime hanno chiesto la protezione delle truppe Onu che si trovavano sul posto consistenti in un battaglione di soldati ghanesi.
Ma i soldati ghanesi, obbedendo alle direttive emesse nel 1996 dal quartiere generale dell’Onu a New York, hanno rifiutato ai civili libanesi l’accesso alla loro base. Per una tremenda ironia del destino le regole dell’Onu erano state modificate dopo che i soldati delle Nazioni Unite avevano offerto protezione ai civili durante un bombardamento israeliano nel sud del Libano nel 1996, un bombardamento a seguito del quale erano morti 106 libanesi, oltre la metà dei quali bambini, che avevano trovato rifugio nella caserma Onu di Qana.

Per cui gli abitanti di Marwaheen si sono diretti a nord con un convoglio di autovetture che solo pochi minuti dopo, nei pressi del villaggio di Tel Harfa, sono state attaccate da un cacciabombardiere israeliano F-16. L’F-16 ha bombardato tutte le auto e ucciso almeno 20 civili, molti dei quali donne e bambini.
Dodici persone sono state bruciate vive nelle loro auto mentre altre, tra cui la bambina che giace senza vita come una bambola di pezza accanto alle auto civili, la cui foto è stata scattata – correndo un grave pericolo – dal fotografo dell’Associated Press, Nasser Nasser, sono state scagliate fuori dalle auto dalle esplosioni e sono finite nei campi e nella vallata vicino al teatro dell’attacco. Non ci sono state né scuse né espressioni di rincrescimento da parte di Israele per queste morti.
Gli innocenti hanno continuato a morire a causa dei raid aerei israeliani in tutto il Libano. Cinque civili sono morti quando un missile israeliano ha colpito una casa vicino alla cittadina di Nabatea. Sono morti tre membri della famiglia Hamed insieme alla loro collaboratrice domestica dello Sri Lanka. Nel villaggio di Srifa, nel sud del paese, i raid israeliani hanno raso al suolo 15 abitazioni nelle quali vivevano almeno 23 persone ma – dal momento che i mezzi di soccorso e le scavatrici non hanno potuto raggiungere quella zona del paese – non è stato possibile recuperare eventuali superstiti rimasti sotto le macerie delle case.

Le autorità civili libanesi, tuttavia, sono riuscite a fornire i nomi delle vittime dopo un raid aereo israeliano contro il villaggio di Nabi Chit nella valle della Bekka: tra loro Ali Sulieman, Daoud Hazima, Khadija Moussawi e i suoi figli Bilal, Talal e Yasmine, Maouffaq Diab, Ahmed e Khairallah Mpuawad, Mustafa Jroud e Bushra Shuqr. Almeno tre delle vittime erano donne. Altri quattro civili sono stati uccisi a seguito di un raid aereo che ha colpito il villaggio di Loussi nel Libano orientale.
C’è da presumere che questi civili vengano presi di mira intenzionalmente? Gli israeliani non fanno altro che vantarsi della precisione «chirurgica» dei loro attacchi aerei. Se questo è vero, sono troppi i civili morti nel bagno di sangue libanese perché la si possa considerare una fatalità. E dal momento che tra gli obiettivi di Israele ci sono anche obiettivi civili - bombardati deliberatamente per punire la popolazione civile – si fa sempre più strada la convinzione che i raid aerei abbiano lo scopo di uccidere civili innocenti oltre ai guerriglieri hezbollah che Israele dichiara di voler combattere.

Certo, anche gli hezbollah stanno uccidendo dei civili in Israele, ma i loro missili sono imprecisi e l’Occidente, che si è limitato a disapprovare blandamente la rappresaglia di Israele tradottasi in un massacro, deve certamente aspettarsi più elevati livelli di efficienza dalle forze armate israeliane che dagli uomini che Israele e il presidente George W. Bush definiscono «terroristi».
Perché, ad esempio, gli israeliani hanno attaccato e distrutto la più grande fabbrica di latte del Libano, la Liban-Lait nella valle della Bekka? Perché hanno bombardato la fabbrica del principale importatore di prodotti della Proctor & Gamble in Libano che si trova a Bchmoun? E perché gli aerei israeliani hanno attaccato un convoglio di ambulanze nuove provenienti dalla Siria, dono delle autorità sanitarie degli Emirati Arabi Uniti? Secondo un funzionario degli Emirati le ambulanze recavano ben visibile il contrassegno dei convogli di soccorso umanitario. Erano tutti obiettivi «terroristi»? La bambina per terra a Tel Harfa era un obiettivo «terrorista»?

Un esempio del modo approssimativo con cui gli israeliani scelgono i loro obiettivi si è avuto l’altro giorno quando un aereo israeliano ha lanciato quattro missili contro un parcheggio dismesso nel quartiere cristiano di Ashrafieh a Beirut. I bersagli si sono rivelati due autobotti abbandonate in mezzo alle sterpaglie. Forse i manicotti per l’acqua sul retro delle autobotti sono stati scambiati per lanciamissili? E se così fosse, a chi può essere venuto in mente che Hezbollah poteva aver nascosto armamenti del genere in una zona cristiana di Beirut dove Hezbollah è convinta che vivano molti collaboratori di Israele?
Sia a Beirut che a Nabatea, gli uomini della sicurezza libanese affermano di aver arrestato solamente quei «collaboratori» che «dipingevano» con vernice fosforescente le case e le auto per aiutare gli aerei israeliani a distruggerle. Al tempo stesso il ministro libanese delle Finanze, Jihad Azour, ha dichiarato che in tutto il Libano sono stati distrutti 45 ponti e che 60.000 libanesi hanno perso la casa.

Migliaia di stranieri – molti dei quali libanesi con doppia cittadinanza – hanno continuato ieri ad abbandonare il paese in autobus e via mare. Tra loro centinaia di cittadini britannici che hanno iniziato l’evacuazione lunedì con la nave Gloucester. Gli americani lasciano il paese via mare anche se correva voce che gli Stati Uniti avessero incaricato una agenzia di sicurezza di Amman – la Spo Middle East – di evacuare i cittadini americani in autobus al costo di 3.000 dollari a persona. Costoro, ovviamente, sono i fortunati che finiranno il viaggio a Damasco o a Cipro e non accanto ad un convoglio in fiamme a Tel Harfa.