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Pifferai dell’engagement

di Diego Fusaro - 05/11/2013

Fonte: lospiffero

 

È da qualche settimana uscito un libro di Luca Mastrantonio, significativamente intitolato Intellettuali del piffero. Come rompere l’incantesimo dei professionisti dell’impegno (Marsilio, 2013). Il contenuto del libro è chiaramente specificato fin dalla quarta di copertina: “per chi suonano il piffero gli intellettuali del piffero? Per se stessi, per avere un posto nella società dell’avanspettacolo politico. Offrono i loro servigi al mercato mediatico perché partiti e altre vecchie istituzioni non garantiscono più il ruolo e l’ingaggio di prima”.

 

Al di là delle singole crociate di cui si compone il libro, sono perfettamente d’accordo con Mastrantonio almeno su un punto, peraltro non secondario: la critica operata dai sedicenti intellettuali schierati è oggi un potente sistema di legittimazione di quel potere che essi fingono di dissacrare. La potenziale vis critica, con annesso pathos antiadattivo, sgorgante dalla denuncia delle contraddizioni finisce oggi puntualmente per essere disinnescata dall’ideologia delle ideologie, dal più imponente dispositivo apologetico che permea il mondo che si contrabbanda come il tempo della fine delle ideologie: l’inemendabilità di una realtà che, per quanto imperfetta, pretende di essere la sola possibile, rendendo eo ipso sterili o, se non altro, ineffettuali le armi della critica.

 

Gli “intellettuali del piffero” sono, allora soprattutto quelli (non so se su questo punto Mastrantonio sarebbe d’accordo) gli alfieri di una critica conservatrice il cui scopo non è, marxianamente, raddrizzare il mondo, ma, egoisticamente, portare notorietà e visibilità al critico di turno, sempre nel quadro – ça va sans dire! – del deplorato ordine del mondo da lui sottoposto a critica! La critica è stata oggi riassorbita nella voragine del potere e di quell’ideologia che predica l’intrasformabilità dell’esistente al solo scopo di renderla reale, nascondendo la prescrizione dietro un’apparente descrizione anodina.

 

La critica stessa finisce, così, per rivelarsi intimamente abitata dall’ideologia della glorificazione dell’esistente, dei nessi di forza e del classismo dilagante: tale ideologia la riorienta in senso adattivo, neutralizzandone la vis trasformativa. Riconoscendo aprioristicamente la propria incapacità di fare presa sulle logiche dell’esistente, id est di trasformarlo in vista di una possibile ulteriorità, la critica assume lo statuto di raffinata quanto vana prestazione intellettuale, di passatempo dotto che finge di mettere in discussione l’assetto vigente, muovendo dall’assunto rassicurante che lo predica monoliticamente intrasformabile. Ne è scaturita – su questo punto Mastrantonio ha pienamente ragione – “la truffa di travestire da militanza il proprio tornaconto personale: c’è chi ha goduto di posizioni di rendita grazie a opposti finti estremismi, facendo affari col nemico, e chi ha speculato, mettendo ‘in pegno’ non una qualche autorevolezza ma l’impegno stesso”.

 

È esattamente così: basti vedere il desolante panorama degli odierni intellettuali, tutti organici – avrebbe detto Gramsci – al capitale trionfante. Per la prima volta, la cultura è integralmente dalla parte del potere. La critica oggi più in voga – la demistificazione conservatrice – finisce per rinsaldare, confermandola, l’immagine che il potere contrabbanda di sé. Esso si mostra a tal punto lasco e permissivo da ospitare al proprio interno opposizioni teoriche di ogni genere, vuoi anche le più feroci, a patto che condividano il corollario dell’intrasformabilità dell’esistente e, dunque, della critica come esercizio fine a se stesso.

 

Sotto il cielo è oggi dominante quella che già Walter Benjamin aveva già a suo tempo qualificato come “malinconia di sinistra” (Linke Melancholie), ossia la consapevolezza dell’impotenza della critica: quest’ultima viene trasformata dai molteplici maîtres à penser del nostro tempo in oggetto di divertimento e in articolo di consumo, in una patetica spettacolarizzazione della rivolta anticapitalista che, spesso nella forma del talk show televisivo, permane stabilmente nel comfort dell’Hotel Abisso di lukacciana memoria. La protesta contro la reificazione finisce, così, per essere essa stessa reificata: ridotta a merce tra le tante, la critica diventa capitale culturale da vendere ai dominanti in modo da averne in cambio fama, prestigio e riconoscimento mediatico. Questo è il nostro presente, il tempo della “notte del mondo” (Heidegger), in cui la critica di cui sono maestri gli intellettuali del piffero ha il solo scopo di rassicurare l’opinione pubblica.

 

Sorge, però, spontaneo chiedere a Mastrantonio se il suo stesso libro non possa, in certa misura, inscriversi in questa nuova formazione ideologica che legittima l’esistente negando la possibilità di alternative. Sostenere che tutti i critici sono oggi allineati con il sistema del dominio e della manipolazione non deve indurre a delegittimare l’opera della critica qua talis, come pure sembra fare, in fondo, Intellettuali del piffero: come se, appunto, la critica fosse naturalmente votata a capovolgersi in spettacolarizzazione e in manipolazione. Deve, invece, indurre a riscoprire la passione durevole di una critica non arresa all’esistente e alle sue prestazioni ideologiche; una critica, cioè, che in nome della valutazione dell’esistente giudicato illegittimo operi conseguentemente in vista di una sua trasformazione operativa. La critica della critica rischia, altrimenti, di rientrare essa stessa nell’orizzonte della spettacolarizzazione – gravida di ideologia – del presente, di riconfigurarsi cioè in una delle molteplici determinazioni della santificazione del pur deplorato ordine del mondo.