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La lobby Israeliana è troppo... (prima parte)

di John J. Mearsheimer e Stephen M. Walt - 28/07/2006

 
 
 
Il presidente americano george W. Bush ad un meeting dell'AIPAC

Gli studiosi di scienze politiche John J. Mearsheimer e Stephen M. Walt hanno sollevato un vespaio effettuando una serie di domande sul potere detenuto dalla lobby israeliana sulla politica estera statunitense. Ora, in una tavola rotonda esclusiva, si confrontano con quattro noti esperti
di questioni mediorientali sul tema dell'influenza ordinaria o straordinaria della lobby Israeliana.
L'articolo è apparso sulla rivista «Foreign Policy» del luglio/agosto 2006 (foreignpolicy.com) alle pagine 57-67.

La traduzione è di
Maurizio Blondet

La lobby Israeliana è troppo...

E' molto difficile discutere apertamente negli Stati Uniti
della relazione tra America ed Israele.
In marzo abbiamo pubblicato un articolo nella London Review of Books intitolato «La Lobby Israeliana» basato su un documento di lavoro che abbiamo pubblicato sul sito web di facoltà della John F. Kennedy School of Government di Harvard.
Il nostro obiettivo era quello di rompere questo tabù e generare una discussione imparziale sul supporto statunitense per Israele, perché esso ha ampie conseguenze tanto per gli americani che per molte altre persone nel mondo.
Quello che ne è seguito è stato un'enorme mole di risposte - alcune costruttive, altre meno.
Ogni anno gli Stati Uniti forniscono ad Israele un livello di supporto che eccede di gran lunga quello fornito ad un qualsiasi altro Stato nel mondo.
Nonostante Israele sia attualmente una potenza industriale con un reddito pro capite annuo simile a quello della Spagna o della Corea del Sud, continua a ricevere 3 miliardi di dollari dagli Stati Uniti ogni anno - 500$ circa per ogni cittadino israeliano.
Israele ottiene inoltre una ulteriore serie di benefici speciali nonché un consistente supporto a livello diplomatico.
Crediamo che tale generosità non possa essere completamente spiegata né sul piano strategico, né su quello morale.
Israele potrà essere stato una risorsa strategica preziosa durante la guerra fredda, ma è un fardello strategico nella guerra al terrorismo e nei confronti del più ampio sforzo statunitense di occuparsi degli Stati canaglia.
Il principio morale di supporto incondizionato ad Israele da parte degli Stati Uniti è radicalmente indebolito dal trattamento riservato da Israele ai palestinesi e dalla sua mancanza di volontà di offrire loro uno Stato indipendente.


Noi crediamo che ci siano forti motivazioni morali a supporto dell'esistenza di Israele, ma che quella esistenza non sia a rischio.
Gli estremisti palestinesi e il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad possono sognare di cancellare Israele «dalle carte geografiche», ma fortunatamente nessuna delle due parti ha la possibilità di rendere reale un tale sogno.
La «relazione speciale» con Israele, desumiamo, è principalmente dovuta alle attività della lobby israeliana - una flessibile coalizioni di individui e organizzazioni che lavorano apertamente per spingere la politica estera statunitense su posizioni favorevoli a Israele.
La lobby non si identifica con gli ebrei americani, perché molti di essi non supportano le sue posizioni, ed alcuni gruppi che lavorano per conto d'Israele (ad esempio i cristiani evangelici) non sono ebrei.
La lobby non ha una direzione centrale.
Non è né una cabala né una cospirazione.
Queste organizzazioni sono semplicemente impegnate in politiche favorevoli ad interessi di gruppo, un'attività legittima nel sistema politico americano.
Queste organizzazioni credono che i loro sforzi avvantaggino tanto gli interessi americani quanto quelli israeliani.
Noi non crediamo questo.
 
Abbiamo descritto come la lobby israeliana si procura appoggi all'interno del Congresso degli Stati Uniti e nel sistema esecutivo, e come modelli il discorso pubblico così che le azioni israeliane vengano percepite in maniera favorevole dall'opinione pubblica americana.
Gruppi interni alla lobby indirizzano contributi elettorali per incoraggiare i politici ad assumere posizioni favorevoli ad Israele.
Scrivono articoli, lettere ed editoriali in difesa delle azioni israeliane, e cercano in ogni modo di screditare o marginalizzare chiunque critichi il supporto degli USA ad Israele.
La American-Israel Public Affairs Committee (AIPAC) è l'organizzazione più potente della lobby, ed esercita apertamente la sua influenza sulla politica medio orientale statunitense.
Politici di spicco di entrambi gli schieramenti riconoscono l'efficacia ed il potere dell'AIPAC.
Richard Gephardt, precedente capo della minoranza alla camera, ha osservato una volta che se l'AIPAC non «combattesse quotidianamente per rafforzare [la relazione], [questa] semplicemente non esisterebbe».
Abbiamo anche tracciato l'impatto della lobby su recenti politiche USA, inclusa l'invasione dell'Iraq nel marzo 2003.
Neoconservatori tanto interni quanto esterni all'amministrazione Bush, insieme a leader di svariate organizzazioni pro israeliane di spicco, hanno giocato un ruolo fondamentale nel costruire una situazione favorevole alla guerra.
Crediamo che senza i loro sforzi gli Stati Uniti non avrebbero attaccato l'Iraq.
Detto questo, questi gruppi ed individui non operano in maniera isolata, e non hanno portato da soli la nazione alla guerra.
Ad esempio, la guerra non vi sarebbe probabilmente stata in assenza degli attacchi terroristici dell'11 Settembre 2001 che hanno aiutato a convincere il presidente George W. Bush e il vice Presidente Dick Cheney a supportarla.
 
Con Saddam Hussein rimosso dal potere, la lobby israeliana si sta ora concentrando sull'Iran, il cui governo sembra determinato ad acquistare armi nucleari.
Nonostante il proprio arsenale nucleare e la propria potenza militare convenzionale, Israele non vuole un Iran nucleare.
E tuttavia né la diplomazia, né le sanzioni economiche sembrano sufficienti a trattenere le ambizioni nucleari di Teheran.
Pochi leader al mondo sono favorevoli all'utilizzo della forza per la soluzione del problema, eccetto in Israele e negli Stati Uniti.
L'AIPAC e molti degli stessi neoconservatori che hanno richiesto l'attacco all'Iraq sono ora tra i principali fautori dell'utilizzo della forza militare contro l'Iran.
Non c'è nulla di improprio nel tentativo dei sostenitori di Israele di influenzare l'amministrazione Bush.
Ma è ugualmente legittimo per gli altri sottolineare che gruppi come l'AIPAC e molti neoconservatori hanno con Israele vincoli tali da modellare il loro pensiero sull'Iran e le altre questioni medio orientali.
Ciò che più conta, la loro prospettiva non rappresenta la parola definitiva su ciò che è buono per Israele o gli Stati Uniti.
Le loro ricette potrebbero in realtà danneggiare entrambi.
 
Un' affermazione barbara
Sostenere che la lobby metta in pericolo l'America è sbagliato e irresponsabile
di Aaron Friedberg
 
John Mearsheimer e Stephen Walt si sono impegnati in una impressionante manifestazione di arroganza intellettuale.
Dal loro podio olimpico, gli autori, apparentemente i soli, vedono qual è il reale interesse dell'America.
Mentre gli altri codardamente tacciono, loro affrontano coraggiosamente le accuse di anti-semitismo pur di dire la verità al potere.
Se il popolo americano continua a vedere Israele in una luce positiva è perché è stato manipolato e scorrettamente informato.
Chiunque richieda politiche in disaccordo con quelle degli autori è, o un incosciente credulone, oppure l'agente operativo di una potenza straniera.
In risposta ai loro critici, Mearsheimer e Walt hanno recentemente lamentato la difficoltà di avere una «discussione civile relativamente al ruolo di Israele nella politica estera americana».
Se è questo il fine che realmente si sono proposti, hanno scelto una maniera decisamente barbara di porlo.
Anche se gli autori affermano di credere che gli Stati Uniti abbiano ancora un interesse nel benessere di Israele, fanno poi di tutto per demolire ogni concepibile ragione per cui l'America debba continuare a supportare quello Stato.
Secondo loro, Israele è diventato una responsabilità strategica, che provoca la jihad islamica e incrementa l'anti-americanismo.
Moralmente, proclamano Mearsheimer e Walt, Israele non è migliore dei suoi avversari.
Questa rappresentazione dei fatti è distorta.
Israele è una democrazia, e i suoi nemici sono autoritari di vario genere.
Anche se gli autori hanno scelto di ignorarlo, c'è un'evidente distinzione morale tra combattenti che inviano degli attentatori suicidi ad uccidere dei civili e combattenti che hanno come obiettivi esponenti di spicco del terrorismo.
 
Tutto questo non vuole significare che ogni cosa che Israele compie è giusta o meritevole del supporto americano.
Per oltre un decennio, Washington ha cercato come mediatore di ottenere un accordo che potesse condurre ad un ritiro di Israele da Gaza e tutto il West Bank al di là di confini difendibili (territori conquistati, occorre ricordarlo, in una guerra provocata dai vicini di Israele e sui quali in precedenza non si era stati in grado di stabilire una permanente madrepatria palestinese) e creare uno Stato palestinese che coesistesse con Israele.
In questo caso l'ostacolo principale alla pace non fu la recalcitranza di Israele, ma l'assenza di negoziatori palestinesi con la volontà di fare accordi e la capacità di mantenerli.
Gli autori cosa avrebbero voluto che facessero gli Stati Uniti di diverso?
Apparentemente tagliare il loro supporto ad Israele.
Tale mossa non sembra la più adatta a rendere Israele maggiormente malleabile, e d'altra parte avrebbe sicuramente contribuito ad incoraggiare i suoi nemici aumentando il potere dei più radicali tra essi che ancora sognano la sua distruzione.
Non si sarebbero ammorbiditi gli spiriti guerreschi degli uomini della Jihad.
Al contrario questi avrebbero giustamente proclamato la loro vittoria ed utilizzato tale successo per incrementare il numero dei loro seguaci.
Qualsiasi tipo di vantaggio gli Stati Uniti avessero guadagnato nell'abbandonare un amico, l'avrebbero perso nella più importante valuta internazionale del rispetto.
Nonostante tutto il loro «realismo» intellettuale, Mearsheimer e Walt sono sorprendentemente ottusi relativamente alle conseguenze della politica delle concessioni.
 
Mearsheimer e Walt denunciano la distorsione della politica USA da parte della lobby, che nel loro precedente scritto ritengono meritevole di una L maiuscola.
La dipingono come un'entità amorfa, a volte indistinguibile da una singola organizzazione, l'AIPAC, altre volte ampia abbastanza da includere ogni persona o gruppo che cerchi di «spingere la politica estera statunitense in una direzione favorevole ad Israele».
Gli autori hanno generosamente sottolineato in un saggio pubblicato nella London Review of Books che «non tutti gli ebrei-americani sono parte della lobby, perché Israele non è una questione fondamentale per molti di loro».
Ma la loro definizione è talmente ampia da catturare la grande maggioranza degli ebrei americani che hanno a cuore la sorte di Israele.
Mearsheimer e Walt affermano che non c'è «nulla di improprio» negli sforzi della lobby di indirizzare la politica USA, ma proseguono descrivendo le sue attività in modi che suggeriscono diversamente.
La lobby reprime il dibattito, «marginalizza chiunque critichi il supporto USA ad Israele», e, come scrivono nel loro saggio originale, convince i leader a inviare giovani americani a fare «la maggior parte della guerra e delle uccisioni» per sconfiggere i nemici di Israele.
I suoi membri non solo sbagliano, sono colpevoli di porre gli interessi di una nazione straniera al di sopra dei propri.
Nella migliore delle ipotesi questa è una calunniosa e indubbia accusa di tradimento a livello individuale per chiunque le cui opinioni sulla politica medio orientale differiscano da quelle degli autori.
Nella peggiore, è una sporca accusa di slealtà collettiva contenente il più disgustoso tra gli echi storici.
Mearsheimer e Walt hanno costruito delle carriere di successo attraverso un approccio dichiaratamente rigoroso e scientifico allo studio della politica.
Tristemente, le loro argomentazioni in questo caso non solamente non sono scientifiche, ma sono provocanti, irresponsabili ed errate.
 
L'attitudine mentale è importante
La politica estera è modellata dai leader e dagli eventi, non dalle lobby.
di Tennis Ross
 
John Mearsheimer e Stephen Walt sono preoccupati dal potere e dall'influenza della lobby israeliana a Washington.
Il tono e le argomentazioni del loro saggio in questa rivista sono più pacati rispetto a quelli del loro lavoro originale, ma soffrono della stessa errata premessa: la politica USA in Medio Oriente è distorta da questa lobby apparentemente onnipotente.
Secondo Mearsheimer e Walt, la lobby israeliana è dominata dal suo interesse per Israele, non per l'America.
Sostengono che abbia condotto gli Stati Uniti in una guerra disastrosa in Iraq e li stia ora spingendo in una ugualmente pericolosa nei confronti dell'Iran.
Mearsheimer e Walt discutono altri malanni causate dalla lobby, ma è essenzialmente la loro preoccupazione per la politica estera nei confronti dell'Iraq e dell'Iran ad averli spinti a «rendere manifesta» la lobby.
Nessuno mette in dubbio la facoltà di dibattere sulle nostre scelte politiche in Iraq, Iran o in qualsiasi altro Stato.
Ma tali dibattiti dovrebbero essere basati sulla realtà dei fatti.
Dire che la lobby israeliana ha una grande responsabilità nell'invasione USA dell'Iraq presume che i leader eletti, le loro visioni del mondo ed eventi straordinari come quelli dell'11 Settembre 2001, non abbiano importanza.
Mearsheimer e Walt dovrebbero informarsi meglio.
A prescindere dalla loro posizione sulla guerra in Iraq, dubitano seriamente del fatto che l'attitudine mentale dell'uomo seduto nell'Ufficio Ovale abbia fatto la differenza?
Al Gore era contrario ad entrare in guerra nel 2002 e nel 2003.
E tuttavia, Al Gore è stato molto più vicino ai leader della «lobby Israeliana» durante tutto il suo mandato che non il presidente George W. Bush.
 
La realtà è che nè la lobby israeliana nè i neoconservatori hanno convinto Bush ad entrare in guerra.
La causa è stata l'11 Settembre.
Prima del 9/11, la politica di Bush in Iraq era quella delle «sanzioni intelligenti» - il controllo del regime Iracheno, non il suo rovesciamento.
La sua visione del mondo è cambiata il 9/11.
Si è convinto che l'America non avrebbe potuto aspettare di essere colpita di nuovo, e che la minaccia che Saddam Hussein poneva era troppo impellente.
Questo convincimento ha trasformato le sue politiche.
Anche se Mearsheimer e Walt riconoscono ora che  «la guerra probabilmente non ci sarebbe stata senza gli attacchi terroristici dell'11 Settembre 2001», continuano ad insistere nel dichiarare che «credono che gli Stati Uniti non avrebbero attaccato l'Iraq senza gli sforzi [della lobby israeliana]».
Forse sarebbe necessario risolvere questa contraddizione.
Il pensiero di Mearsheimer e Walt sull'Iran è ugualmente confuso.
Credono veramente che solamente alla «lobby» interessi il fatto che l'Iran ottenga armi nucleari? Dicono che gli Stati Uniti non si debbono preoccupare delle bombe nucleari iraniane perchè sarà sufficiente la deterrenza.
Questa idea ignora la possibilità che il fatto che l'Iran diventi una potenza nucleare possa far si che altri nel Medio Oriente ne seguano le orme, e che le prospettive di errati calcoli atomici possano effettivamente rendere concreta la possibilità di una guerra nucleare nella regione.


Un Iran nucleare potrebbe anche scardinare fatalmente il regime di non proliferazione rendendo il mondo intero più pericoloso.
Gli inglesi, i francesi e i tedeschi - nessuno dei quali è ansioso di fare la guerra - comprendono queste realtà.
Per questo motivo hanno introdotto una risoluzione del Consiglio di Sicurezza per prevenire la possibilità che l'Iran diventi una potenza nucleare.
Non è la lobby israeliana che spinge inglesi, francesi e tedeschi ad opporsi all'Iran, non più di quanto stia guidando la politica USA.
La verità è che la lobby israeliana non sempre ottiene quello che desidera.
Ha fallito nel prevenire svariate ingenti vendite di armi alle nazioni arabe.
Ha fallito nel tentativo di trasferire l'ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme.
Ha fallito nel prevenire l'amministrazione Clinton dal costruire una proposta di pace che avrebbe diviso in due Gerusalemme.
In verità, mai durante il periodo in cui io ho condotto i negoziati americani sul processo di pace in Medio Oriente noi abbiamo fatto alcun passo perchè «la lobby» voleva lo facessimo.
Nè alcun passo è stato prevenuto perchè «la lobby» vi era opposta.
Questo non significa che l'AIPAC ed altri non abbiano alcuna influenza.
Ce l'hanno.
Ma non modificano la politica USA nè minano gli interessi americani.
presidenti tanto democratici che repubblicani hanno costantemente creduto in una relazione speciale con Israele perchè i valori hanno un loro peso nella politica estera.
Coloro che fanno politica lo sanno; Mearsheimer e Walt invece sembrano ignorarlo.