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L’errore di sostenere che l’evoluzione ci abbia dato la parola

di Massimo Piattelli Palmarini - 08/01/2014




La disciplina linguistica chiamata grammatica generativa, inaugurata da Noam Chomsky oltre 60 anni fa, come lui stesso racconta nel testo qui accanto scritto per il «Corriere», conta oggi circa duemila studiosi in varie parti del mondo e in Italia, seconda solo agli Stati Uniti per quantità e qualità di contributi.
Quasi dall’inizio s’è scontrata con critiche e pretese smentite, come correttamente riferito ne «la Lettura» del 15 dicembre da Sandro Modeo («Il gene che creò la parola: due studi smentiscono le teorie di Chomsky sul linguaggio»). Questi attacchi sono stati tutti puntualmente e, a mio avviso, persuasivamente controbattuti non solo da Chomsky stesso, ma anche da altri insigni studiosi del settore. Un tema ricorrente in queste critiche consiste nel ribadire che il linguaggio, nella sua evoluzione biologica, nei correlati cerebrali e nel suo uso collettivo non è una facoltà unica e speciale, bensì la conseguenza di capacità cognitive generali e di una lunga storia di contatti sociali.
Tale tesi si scontra con molti dati fondamentali. Soggetti quasi completamente privi di movimenti volontari acquisiscono e usano il linguaggio senza problemi. L’ipotesi che il linguaggio sia un derivato della motricità in generale, tesi già sostenuta dal celebre psicologo svizzero Jean Piaget molti anni addietro, è del tutto infondata. Quanto poi alla modularità della mente e del cervello, si tratta di uno dei dati centrali meglio comprovati delle moderne scienze cognitive. Nel settore del linguaggio, molteplici patologie molto specifiche mostrano come una singola componente cognitiva possa essere compromessa senza intaccarne altre. Da un lato, si sono studiati soggetti con limitatissime capacità cognitive generali, ma competenza linguistica intatta. All’opposto, deficit linguistici assai specifici in soggetti che godono di competenze cognitive extra-linguistiche intatte.
Sul fronte della sintassi vera propria, innumerevoli dati su svariate lingue e dialetti mostrano che le esigenze della comunicazione tra parlanti non possono nemmeno cominciare a spiegare la natura fondamentale delle strutture sintattiche. Oltre agli esempi offerti da Chomsky nel suo testo qui a fronte, molti altri dello stesso tenore possono essere citati. Perché la frase «Ogni uomo ama sua madre» può benissimo significare che ciascun uomo ama la propria madre, mentre la frase «Sua madre ama ogni uomo» vuol dire tutt’altro? Perché è sintatticamente impeccabile chiedere «Con quale collega non sai mai come comportarti?». Ma orribile chiedere: «Come non sai mai con quale collega comportarti?». Perché il tipico afasico di Broca e i bimbi piccoli capiscono senza problema «Mostrami l’elefante che sta innaffiando il leone», ma hanno seri problemi a comprendere la frase «Mostrami il leone che l’elefante sta innaffiando?». Perché in espressioni come «far ridere i polli», «far divertire i bambini», «far cuocere il brodo» è il soggetto stesso che compie l’azione, mentre in espressioni come «far licenziare gli operai», «far tagliare il bosco» si danno istruzioni a qualcun altro?
Niente di tutto ciò è misterioso per la grammatica generativa . Impossibile, invece, spiegare questi fenomeni invocando le regole della conversazione, la cognizione generale del mondo e l’impatto delle emozioni sui parlanti. Quindi, la sintassi è una sfera cognitiva specifica e non proviene dalle pressioni selettive della comunicazione, degli scambi sociali e nemmeno del pensiero in generale. «Lo ritengo intelligente», «lo sospetto colpevole» vanno benissimo, ma «lo nego intelligente» oppure «lo escludo colpevole» vanno malissimo, anche se i pensieri corrispondenti sono chiarissimi.
Bisogna ammettere che è molto difficile far passare l’idea che la sintassi non sia il prodotto evolutivo del movimento, della comunicazione e della generica conoscenza del mondo. Un mio studente americano, dopo aver seguito con attenzione tre lezioni nelle quali avevo spiegato in dettaglio perché la tesi di continuità tra linguaggio e altre sfere cognitive è insostenibile, mi disse candidamente: «Niente potrà mai persuadermi che il linguaggio non è il prodotto evolutivo della comunicazione e del pensiero in genere». Ne rimasi piuttosto scandalizzato, dato che si tratta di scienza e non di fede ideologica, ma almeno era più sincero di molti oppositori della grammatica generativa .