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Esiste un mondo “là fuori”?

di Ippolito Emanuele Pingitore - 18/02/2014

Fonte: lintellettualedissidente


Certamente esiste il fuoco "con la sua proprietà di bruciare" o "l’acqua con la sua proprietà di bagnare", ma il fuoco e l’acqua non si rivelerebbero tali se non ci fosse l’uomo, quell’Esserci, al di fuori del quale non si dà alcun senso d’essere.

Martin-Heidegger


Due anni fa Maurizio Ferraris, noto filosofo italiano, pubblicava il Manifesto del Nuovo Realismo. Esso non voleva essere una corrente di pensiero né tantomeno essere motore primo di questa presunta corrente; semplicemente si prefiggeva il compito di svegliare le coscienze cadute nell’<<oblio>> della realtà di cui il post-moderno si era reso portavoce. Ferraris scriveva che il post-moderno, o il costruttivismo, raggiunse il suo apogeo con la famosissima frase di Nietzsche secondo cui non esistono fatti ma solo interpretazioni. <<Il nuovo realismo – scrive Ferraris – è la presa d’atto di una svolta>>, svolta che rende conto della crisi in nucedel costruttivismo che finisce per negare la possibilità di una verità assoluta: il mondo vero è diventato una favola.

Il nuovo realismo, questa rinascita di un senso comune non riguarda solo Ferraris, anzi, diversi sono i pensatori che si sono resi conto di questo scarto nei confronti del reale. Pensiamo per esempio a Quentin Meilassoux che propone una concezione molto più radicale del realismo minimo o moderato di Ferraris.

 <<Per me il richiamo al realismo non ha dunque significato vantare un risibile monopolio filosofico del reale, non troppo diverso dalla pretesa di privatizzare l’acqua. E’ stato piuttosto sostenere che l’acqua non è socialmente costruita; che la sacrosanta vocazione decostruttiva che sta al cuore di ogni filosofia degna di questo nome deve misurarsi con la realtà, altrimenti è un gioco futile; e che ogni decostruzione senza ricostruzione è irresponsabilità>>. E’ questo il motivo per cui il filosofo ha deciso di abbandonare l’ermeneutica e il pensiero debole della scuola di Gianni Vattimo che fu tra l’altro suo maestro. Concentriamoci sulla precedente affermazione poiché essa ci conduce a compiere una breve riflessione. Ci limitiamo a questi aspetti poiché una discussione troppo approfondita richiederebbe ben altre analisi specialistiche particolari.

Uno dei nuclei tematici più importanti dell’intera trattazione consiste nella divisione ontologica tra oggetti naturali e oggetti sociali. Esistono certamente oggetti sociali, ossia costruzioni dell’uomo che dipendono dagli schemi concettuali, quali per esempio l’IVA o qualsiasi altro oggetto che fa parte di quella sfera sociale e che risponde all’utilizzo e agli schemi concettuali umani. Questo non significa – secondo Ferraris – privare la realtà della sua inemendabilità, della sua indipendenza dai nostri stessi schemi. L’acqua è un oggetto sociale – argomenta il filosofo – ? No, poiché l’acqua bagna indipendentemente dall’uomo, così come ilfuoco brucia indipendentemente dall’uomo.<<Il postmoderno segna l’ingresso delle virgolette in filosofia: la realtà diventa “realtà”, la verità “verità”, l’oggettività “oggettività”, la giustizia “giustizia, il sesso “sesso, ecc.>>[il codicillo, Meilassoux].

Un’argomentazione che non fa una piega, che però è assunta a sostegno critico nei confronti del costruttivismo. Già, perché pare che in tutto questo discorso sia sfuggito un particolare. Quale costruttivista (il riferimento qui è ovviamente l’ermeneutica heideggeriana, così come altre correnti post-moderne) si sognerebbe di negare la realtà? Certamente esiste il fuoco <<con la sua proprietà di bruciare>> o <<l’acqua con la sua proprietà di bagnare>>, ma il fuoco e l’acqua non si rivelerebbero tali se non ci fosse l’uomo, quell’Esserci, al di fuori del quale non si dà alcun senso d’essere. Se l’acqua bagna è solo perché essa si rapporta all’uomo e l’uomo coglie la proprietà stessa dell’acqua di bagnare: siamo di fronte a quella <<scoperta immensa e insuperabile dell’intenzionalità>> come scrive Ricoeur, ossia nel linguaggio husserliano, la priori universale della correlazione. Al di là delle astrusità espressive filosofiche il concetto risulta semplice: nessuno nega l’esistenza di una realtà esterna, ma questa realtà esterna, in sé, non rimane altro che un qualcosa di meramente indefinito, senza l’ente a cui necessariamente deve rapportarsi, e cioè l’uomo (questo termine risulta filosoficamente poco corretto, ma vogliamo riuscire a rendere più comprensibile il concetto). Esiste in sé una montagna alta quattromila metri? Certo che esiste come puro ente indefinito, non certamente come montagna alta quattromila metri, poiché dire così significa già frequentare un rapporto. Non si tratta di costruire la realtà, quanto piuttosto di affermare che – come scrive Heidegger in Essere e Tempo – <<certamente solo fintanto che l’Esserci è [ist], cioè fintanto che è la possibilità ontica della comprensione dell’essere, <<c’è>> [gibt es] essere. Se l’Esserci non esiste, allora non <<è>> né l’<<indipendenza>>, né l’<<in-sé>>. Allora queste espressioni non sono né comprensibili né incomprensibili; e l’ente intramondano non è né scopribile né tale da poter esser-nascosto. Allora non si può dire né che l’ente ci sia né che non ci sia. Invece ora, ossia fintanto che c’è la comprensione dell’essere e quindi la comprensione della semplice-presenza, si può dire che l’ente vi sarà anche allora>>. E l’analisi heideggeriana nel paragrafo 43 della monumentale opera affronta proprio il problema del <<mondo esterno>> e della sua dimostrabilità, espressione che significa poco.

 E’ necessario liberarsi della correlazione, del rapporto di atto e contenuto, noetico-noematico, per come lo descrive Husserl nella sua analisi fenomenologica? Non si tratta di negare il realismo; era questo in fondo il tentativo della fenomenologia: liberare il realismo dalla sua ingenuità. Per l’appunto si tratta di restituire alla realtà il suo senso d’essere, un senso d’essere che nell’analisi huesserliana e in quella più radicale di Heidegger, critica nei confronti del suo stesso maestro, non può astrarre da una coscienza, da quel residuo fenomenologico che è ciò per mezzo del quale la realtà <<acquisisce>> un senso. Chi nega dunque la realtà? Questo è il quesito a cui non siamo riusciti a dare risposta.