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La logica dell’annientamento e il diritto internazionale che non c’è

di Danilo Zolo - 03/08/2006


Le distruzioni e le stragi di innocenti continuano in Libano (e a Gaza). E non ci sono più dubbi: il massacro continuerà senza tregua finché i potentissimi comandi militari di Israele e i suoi vertici politici lo vorranno. Nessuno può fermare la furia distruttiva che è stata scatenata da una delle massime potenze militari e nucleari del pianeta. Gli Hezbollah, nonostante la loro sorprendente resistenza, verranno rapidamente annientati.

Probabilmente neppure gli Stati Uniti, posto che lo volessero, sarebbero in questo momento in grado di fermare Israele. Gli sforzi del governo italiano di interferire per ragioni umanitarie con i piani della guerra sono pateticamente falliti, come era facile prevedere. E stanno fallendo ancora una volta i tentativi di Kofi Annan di attribuire alle Nazioni Unite una funzione che non sia di pura legittimazione della volontà delle grandi potenze. E ciò ha paradossalmente esposto la massima istituzione internazionale sia al sanguinoso dileggio di Israele - che in Libano ha bombardato i suoi edifici -, sia alla collera dei libanesi, che hanno completato l’opera devastando ciò che i missili israeliani avevano risparmiato.

L’obiettivo di Ehud Olmert è perfettamente chiaro: occorre eliminare con la forza qualsiasi attuale o potenziale nemico nell’area mediorientale. Per questo è un imperativo inderogabile fare terra bruciata di Hamas in Palestina e di Hezbollah in Libano. La strategia israeliana coincide con quella statunitense e in qualche misura la anticipa. Il progetto del “Grande Medio Oriente” (Broad Middle East) , elaborato dalla Casa Bianca, esige che l’universo arabo-islamico, dal Marocco e dalla Mauritania fino all’Afghanistan e al Pakistan, passando ovviamente per i paesi del Golfo, sia sottoposto all’egemonia delle grandi potenze occidentali, in primis degli Stati Uniti. E’ la condizione politica, militare ed economica perché possa essere contenuta, se non vinta, la grande sfida che avanza sempre più minacciosa dall’Oriente estremo: dalla Cina, anzitutto.

Israele è il cardine di questa strategia. Solo grazie al contributo militare e di intelligence di Israele - poi verrà anche quello politico ed economico - sarà possibile ridurre alla ragione i soli paesi islamici che ancora resistono ostinatamente a questo progetto. Iran e Siria, se non chineranno il capo come hanno fatto l’Egitto, la Giordania e gli altri governi arabi “moderati”, faranno esattamente la fine che hanno fatto l’Afghanistan e l’Iraq (e, nei Balcani, la Serbia).

Nel contesto di questo scenario globale che impegna le grandi potenze del pianeta secondo ferree logiche sistemiche, è ovvio che il diritto internazionale - assieme ai suoi cultori accademici - non svolga alcuna funzione significativa, salvo una sorta di collateralismo normativo che asseconda la “volontà dei vincitori”. Nel suo intervento su “La Repubblica” (31 luglio) Antonio Cassese, uno dei più illustri giuristi europei, ha offerto una caratteristica testimonianza di questo collateralismo.

Cassese ha sostenuto che entrambi i contendenti nella guerra fra Israele e il Libano sono andati «oltre ogni regola del diritto». Cassese ritiene che sarebbe pura trivialità ideologica prendere posizione contro uno dei due contendenti, perché entrambi sono responsabili di crimini internazionali. Cassese sottace che la violentissima replica di Israele ad una modesta azione di guerriglia lungo il confine israelo-libanese non può che essere qualificata sulla base della Carta delle Nazioni Unite come un crimine di aggressione. E si tratta di un “crimine internazionale supremo”, secondo la sentenza del Tribunale di Norimberga, che avrebbe meritato l’immediato intervento militare del Consiglio di Sicurezza. Cassese giustifica invece pienamente questo crimine e si limita a giudicare non consentita dal diritto umanitario solo la strage di Cana.

D’altra parte Cassese arriva a sostenere che gli Hezbollah si sono macchiati di un gravissimo crimine internazionale replicando all’imponente azione militare di Israele con l’uso di razzi di tipo non evoluto e tali quindi da non colpire con precisione i loro bersagli, con il rischio di produrre effetti collaterali. Gli Hezbollah, scrive Cassese, sono dei criminali come lo erano i nazisti che durante la seconda guerra mondiale sparavano le V2 su Londra.

Cassese ne conclude che la sola funzione che il governo italiano dovrebbe svolgere sarebbe quella di «premere sui belligeranti perché si attengano ai principi del diritto umanitario». D’Alema dovrebbe ricordare alle autorità israeliane, a quelle statunitensi e ai capi Hezbollah che «tutti i tribunali del mondo li potranno processare per i crimini commessi». Bush, ‘Condy’, Olmert, Peretz, e non solo Nasrallah, sono avvertiti!

Tutto questo prova ancora una volta, a mio parere, l’impotenza del diritto internazionale vigente del tutto incapace com’è di regolare e umanizzare l’uso della forza internazionale. E misura l’ingenuità dei giuristi accademici di fronte al fenomeno della guerra e alla sua logica spietata. E prova soprattutto che dietro la pedante pretesa di oggettività del formalismo giuridico si annida molto spesso un ostinato pregiudizio politico.