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Gioventù strafatta

di Luca Pani - 13/04/2014

Fonte: Il sole 24 ore


I Lupi di Wall Street adesso si aggirano in Africa centrale, dove ancora si spaccia una versione moderna del diabolico Quaalude. Dalla nostra parte del mondo non si trova neppure nei vicoli più bui e, se si esclude una minoranza di aficionados che appartengono alla psiconautica degli eccessi, nessuno ha la minima idea di quali effetti davvero abbia quello di nuova sintesi, così come per centinaia di psicostimolanti che popolano il commercio illegale su scala planetaria. La produzione e il consumo delle sostanze d'abuso rappresentano uno dei massimi esempi di divergenza evoluzionistica di cui abbiamo riscontro e di cui ci stiamo occupando negli ultimi mesi nella chiave di lettura che proponiamo da queste pagine. Nell'etologia psichiatrica tutto ciò è riassunto nella teoria del cosiddetto evolutionary mismatch. Non v'ha dubbio, infatti, che in pochi altri campi dell'interazione uomo-ambiente si assiste a così cospicue differenze tra quello che ci circonda oggi, rispetto a quello che avevamo intorno sino a poche decine di anni fa, come nel campo delle sostanze d'abuso. In un momento in cui ferve il dibattito politico sulla depenalizzazione dei derivati della Canapa e dell'uso terapeutico degli stessi vale la pena ricordare, dal punto di vista tecnico, che il contenuto dei prodotti psicoattivi della cannabis si è spostato dal 3-5% dei primi anni '70 ad almeno il 25-30% e oltre che si può rilevare in alcuni estratti attuali, ed è in costante crescita con modificazioni dei contenuti relativi dei principi attivi di cui non sappiamo prevedere quasi niente. Lungi dall'esprimere un giudizio politico sull'opportunità o meno di approvare simili leggi non si può fare a meno di riportare i dati a nostra disposizione che, appunto, raccontano come le droghe che hanno accompagnato l'uomo per tutta la sua storia stanno diventano altro e mutano sempre più velocemente. Più rapidamente almeno della nostra capacità di comprendere che cosa fanno davvero, perché quello che producevano anche in un recente passato conta sempre meno e non esiste quasi più. Nella proposta di legge non si trova, ad esempio, nessun cenno alla precisa misurazione dei principi attivi che è invece – opportunamente – prevista per la prescrizione di farmaci contenenti derivati naturali o sintetici della cannabis. Sarebbe come classificare nella stessa categoria bevande al 4% di alcol (birre), al 12% (vino), al 18% (liquori), al 36% (distillati), al 52% (super-distillati), e soprattutto berne la stessa quantità ogni volta attendendosi lo stesso effetto. È farmacologicamente impossibile per una sigaretta che brucia almeno il 25% di Delta-9 cannabinolo insieme all'1% di cannabidiolo produrre gli stessi effetti di una in cui le percentuali sono la metà o addirittura opposte. Non esistono queste percentuali nelle piante analizzate sinora? Non importa, basta aspettare, neppure tanto tempo, e arriveranno. Senza un controllo della cultivar si avrebbero delle significative differenze tra produzioni anche provenienti dalle stesse piantagioni perché soggette – come è giusto che sia – alle variabilità meteorologiche e del terreno. Il risultato sarebbe un ulteriore aumento dell'incertezza e una maggiore tendenza dei consumatori a sperimentare. 
Questi aspetti dell'auto-sperimentazione umana stanno, in effetti, emergendo negli ultimi anni e rivestono particolare interesse per la psichiatria evoluzionista che si è arricchita, anche in questo caso, dei risultati prodotti da anni di sperimentazioni animali, le stesse sperimentazioni che altre proposte di legge vorrebbero cancellare proprio quando invece ne avremo più bisogno per comprendere le alterazioni dei meccanismi cerebrali che sottendono alla dipendenza dalle nuove sostanze che si affacciano all'orizzonte. Per decenni abbiamo, per esempio, letto e insegnato che la dopamina di una precisa sottoregione del nucleus accumbens ha un ruolo importante nel mediare l'impatto edonistico delle sostanze d'abuso e di molte altre condizioni fisiologiche (cibo e sesso ad esempio, ma anche cooperazione sociale) eppure vi sono ormai altrettante e sostanziali evidenze che dimostrano come anche stimoli fastidiosi se non francamente dolorosi producano un rilascio della medesima dopamina nelle stesse aree cerebrali. Ed è ancora più interessante annotare come l'anticipazione del piacere rilasci più dopamina del momento in cui il piacere viene consumato. Si prefigura dunque un ruolo di questo neurotrasmettitore come mediatore delle procedure di apprendimento e come segnalatore di "errori" nell'interazione corpo-ambiente che motivano l'apprendimento. Altre aree, come lo striato dorsale ad esempio, sono reclutate per imparare ad eseguire sequenze comportamentali che permettono di rispondere in modo adeguato a stimoli che producono piacere o cercano di evitare il dolore. 
La domanda che sorge spontanea è che cosa succederà di questi antichissimi meccanismi cerebrali una volta "parassitati" da sostanze d'abuso che non si sono evolute con noi ma che sono state prodotte negli ultimi anni da manipolazioni chimiche in grado di alterare i livelli dei neurotrasmettitori di centinaia di volte? La forza plasmante di questi segnali porta delle informazioni dettagliatissime sul rapporto tra il contesto interno ed esterno ed ha la capacità di modificare la plasticità delle cellule nervose per rinforzare comportamenti volitivi, appetitivi e consumatori delle droghe a discapito di tutto il resto. Questo potente controllo della nostra "centrale di comando" deriva dall'incapacità del meccanismo genetico-molecolare evolutivamente selezionatosi di distinguere il piacere che proviene – ad esempio – dal cibo o dalla cocaina o da un contesto di cooperazione sociale. Una volta che gli psicostimolanti hanno prodotto i loro effetti lo fanno con una potenza, una risposta temporale e una consistenza che è impossibile da eguagliare per qualunque altro stimolo naturale. A quel punto una sorta di pilota automatico viene bloccato su "droghe" ed è molto impegnativo rimpadronirsi dei piaceri (o dispiaceri) naturali della vita. 
Dal punto di vista clinico vediamo, frequentemente purtroppo, dei pazienti sempre più giovani che presentano gravissime depressioni cliniche conseguenti ad anni (in alcuni individui predisposti bastano pochi mesi) di abuso di psicostimolanti, alcol e antidepressivi. Le caratteristiche di queste depressioni sono uniche perché si presentano come delle sindromi amotivazionali, con grande irritabilità, disforia e improvvisi scatti di rabbia seguiti da profonde e dolorose malinconie. I pazienti, tra i vari sintomi, sembrano incapaci di "leggere" i segnali ambientali che rinforzano i comportamenti positivi e non li distinguono da quelli che hanno delle conseguenze negative a medio e lungo termine, queste forme depressive risultano resistenti alla maggior parte dei trattamenti a disposizione comprese le psicoterapie. 
Si tratta di un'emergenza mondiale proprio perché, come altri beni e consumi, le sostanze d'abuso hanno un mercato globale che non dorme mai al pari di coloro che ne sono dipendenti. Sono le nuove droghe che consumano la vita e il futuro di intere generazioni, spesso nella irresponsabile assenza o a causa di discutibili decisioni di quelle precedenti.