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Palestinesi come l’Isis, lo slogan per vincere le elezioni israeliane

di Michele Giorgio - 10/03/2015

Fonte: Il Manifesto


Gli ultranazionalisti accostano strumentalmente i palestinesi allo Stato Islamico pur di uscire vittoriosi dal voto del 17 marzo. Ieri a Gerusalemme un palestinese ha ferito cinque soldatesse a una fermata del tram. Ma nella campagna elettorale dominano anche i problemi sociali ed economici di tante famiglie israeliane che restano irrisolti.

  

Anat Roth fino a qual­che anno fa si dichia­rava una “colomba”. Poi per lei, come per tanti, è arri­vata la svolta a destra e ben pre­sto è finita nei ran­ghi di “Casa Ebraica”, Bayit Yehudi, il par­tito del mini­stro ultra­na­zio­na­li­sta dell’economia Naf­tali Ben­nett. Can­di­data alle legi­sla­tive del 17 marzo, Roth, l’altro giorno, in occa­sione della festi­vità ebraica del Purim, ha scelto un tra­ve­sti­mento agghiac­ciante. Una foto la mostra in ginoc­chio e con una tuta di colore aran­cione come gli ostaggi dell’Isis. Alle spalle una donna tra­ve­stita da pale­sti­nese, con una kufiyeh a scac­chi bianca e rossa, ostenta lungo col­tello. Sotto l’immagine la scritta «Ecco cosa avremo senza una grande Casa Ebraica». Alcuni hanno con­dan­nato, altri invece hanno appro­vato con calore quella messa in scena raccapricciante. E’ que­sto solo un esem­pio della cam­pa­gna elet­to­rale che la destra israe­liana sta por­tando avanti, dal Likud del pre­mier Neta­nyahu a Bayit Yehudi fino a Israel Bei­tenu del mini­stro degli esteri Lie­ber­man. Un’offensiva media­tica che acco­stando i pale­sti­nesi ai taglia­gole dello Stato Isla­mico, punta a gene­rare panico tra gli israe­liani e avverte che se dal voto del 17 marzo non uscirà un governo di destra, forte, in grado di garan­tire la sicu­rezza, Israele rischierà grosso. Vin­cere le ele­zioni pun­tando sulla paura. Neta­nyahu mar­tedì al Con­gresso degli Stati Uniti ha annun­ciato sce­nari apo­ca­lit­tici per Israele se sarà rag­giunto un accordo sul pro­gramma nucleare ira­niano. L’abilità ora­to­ria messa in mostra in terra ame­ri­cana e l’immagine di Mr Sicu­rezza che sfida Barack Obama, hanno dato al primo mini­stro lo slan­cio per ten­tare di vin­cere le ele­zioni dopo che per set­ti­mane i son­daggi hanno posi­zio­nato il suo par­tito, il Likud, die­tro Schie­ra­mento Sio­ni­sta, la lista cen­tri­sta gui­data dal labu­ri­sta Isaac Her­zog e dalla ex mini­stra Tzipi Livni. Un son­dag­gio della tv Canale 10 due giorni fa dava il Likud a 23 seggi (sui com­ples­sivi 120 della Knes­set), due in più rispetto al rile­va­mento pre­ce­dente. Fermi, anche loro a 23 seggi, i rivali di Schie­ra­mento Sionista.

In que­sto clima, l’attentato com­piuto ieri a Geru­sa­lemme da un pale­sti­nese che si è lan­ciato con la sua auto­mo­bile con­tro una fer­mata del tram ferendo cin­que sol­da­tesse – l’uomo è stato poi col­pito da una guar­dia di sicu­rezza e arre­stato – fini­sce indi­ret­ta­mente per avvan­tag­giare la stra­te­gia elet­to­rale della destra. Per i nazio­na­li­sti israe­liani più accesi l’accaduto non sarebbe, come spie­gano i pale­sti­nesi, una rea­zione a decenni di occu­pa­zione mili­tare e alla nega­zione di diritti fon­da­men­tali, piut­to­sto è la prova della costante minac­cia ter­ro­ri­stica che gra­ve­rebbe sul Paese. Da qui la neces­sità di ria­vere al governo una coa­li­zione dal pugno di ferro. Usato in modo stru­men­tale è anche il voto, gio­vedì sera, del Con­si­glio Cen­trale del’Olp che chiede la fine della coo­pe­ra­zione di sicu­rezza tra l’Anp e Israele. Si tratta di una “rac­co­man­da­zione” e tutti sanno che il pre­si­dente Abu Mazen non sospen­derà anche que­sta volta il coor­di­na­mento con i ser­vizi di sicu­rezza israe­liani. Per la destra invece quella deci­sione sarebbe il primo passo verso una nuova Inti­fada pale­sti­nese e la presa del potere di Hamas anche in Cisgior­da­nia, insomma una “catastrofe”. La stra­te­gia della paura sta dando i suoi frutti. Tut­ta­via man­cano ancora 10 giorni al voto e gli ana­li­sti pre­ve­dono che la pro­te­sta dei tanti israe­liani in dif­fi­coltà eco­no­mica, che non pos­sono per­met­tersi di com­prare o solo di pren­dere in affitto una casa, farà tre­mare le ambi­zioni di Neta­nyahu. Al rien­tro mer­co­ledì a Tel Aviv, il pre­mier ha tro­vato ad atten­derlo in Via Roth­schild un nuovo accam­pa­mento di indi­gna­dos senza casa. «Non posso per­met­termi un’abitazione, vivo da squat­ter – ci rac­con­tava un cin­quan­tenne, Yoav Kami­ner — chiedo solo un tetto e il rispetto per la mia sto­ria per­so­nale, sono stato un sol­dato per cin­que anni e ho com­bat­tuto per que­sto paese, oggi non mi rico­no­sco più in Israele». La casa resta uno pro­blemi prin­ci­pali per gli israe­liani, a quat­tro anni di distanza dalle mani­fe­sta­zioni che videro scen­dere in strada a Tel Aviv cen­ti­naia di migliaia di indi­gna­dos a recla­mare una nuova poli­tica eco­no­mica. Neta­nyahu in que­sti anni ha costruito case, ma non in Israele. Le ha fatte sor­gere soprat­tutto nelle colo­nie ebrai­che nei Ter­ri­tori pale­sti­nesi occu­pati. Se ricon­fer­mato dal voto del 17 marzo, il governo di destra conta di costruire 279 mila nuovi alloggi, 63 mila dei quali però ancora per i coloni (48mila in Cisgior­da­nia e 15mila a Geru­sa­lemme Est). Non pochi israe­liani ora chie­dono un primo mini­stro più attento ai pro­blemi sociali e meno alle colo­nie, al nucleare ira­niano e via dicendo, ci spiega Baruch Cohen, anch’egli accam­pato in via Roth­schild. «Una vita digni­tosa per tutti deve essere il vero tema della cam­pa­gna elet­to­rale e non l’Iran, Hez­bol­lah o se Neta­nyahu se va o non va a par­lare al Con­gresso. Dob­biamo con­cen­trarci su chi non ha una casa».