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Il “caso Williamson” fu un complotto per screditare il pontificato di Benedetto XVI

di Francesco Lamendola - 29/07/2015

Fonte: Il Corriere delle regioni


 

 


 

Richard Williamson era un professore inglese di lettere, nato nel 1940, mentre le bombe tedesche cadevano su Londra, in una famiglia anglicana; dopo essersi laureato a Cambridge, scelse di trasferirsi in Africa e insegnò per un certo tempo nel Ghana. In Africa venne a contatto con il giornalista e scrittore Malcolm Muggeridge (1903-1990), che si era convertito al cristianesimo dopo una vita da scettico e agnostico e che, nel 1969, aveva fatto scalpore pubblicando il libro-manifesto: «Jesus Rediscovered» (di lui ci siamo già occupati in un precedente articolo: cfr. «Nell’ebbrezza dell’uomo di farsi Dio la nemesi d’una intelligenza senza amore», pubblicato sul sito di Arianna Editrice in data 20/03/2013). Questo incontro esercitò un’influenza decisiva sul giovane professore, che, trentenne, si convertì a sua volta al cattolicesimo e volle entrare nel seminario di Ecône, in Svizzera, che l’arcivescovo francese Marcel Lefebvre aveva aperto poco prima, nel 1969, come parte della sua battaglia contro quelli che riteneva gli errori e le deviazioni, anche dottrinali, del Concilio Vaticano II e della stagione immediatamente successiva.

Ordinato sacerdote nel 1976, Williamson aveva fatto una rapida carriera all’interno della Fraternità Sacerdotale San Pio X, la società tradizionalista fondata a Friburgo nel 1970, inizialmente con l’approvazione del vescovo di Losanna, François Carrière – riconoscimento poi ritirato dal vescovo Pierre Mamie, nel 1975 -, tanto da divenire rettore del seminario di Ridgefield, negli Stati Uniti (Connecticut), poi di quello di Winona (Minnesota) e infine, il 30 giugno 1988, da essere nominato vescovo, insieme ad altri tre sacerdoti, proprio da Lefebvre e dal vescovo tradizionalista brasiliano Antonio de Castro Mayer: atto che provocò immediatamente la scomunica “latae sententiae” sia di Lefebvre e Castro Mayer, sia dei quattro neo-eletti vescovi.

Ciascuno di essi era stato avvertito delle conseguenze del passo che stava per compiere, per cui il provvedimento non giunse affatto inaspettato: dal 1° luglio 1988, pertanto, si suole datare l’inizio della fase acuta dello scisma lefebvriano; anche se lo stesso Lefebvre era stato sospeso “a divinis” da Paolo VI fin dal 1976 Gli altri tre scomunicati erano lo svizzero di madrelingua francese Bernard Fellay, superiore della Fraternità; il francese Bernard Tissier de Mallerais; e l’argentino di origine spagnola Alfonso de Galarreta. La scomunica, emessa dalla Congregazione dei vescovi il 1° luglio, era stata subito dopo confermata da Giovanni Paolo II con un “motu proprio” del 2 luglio, intitolato “Ecclesia Dei”. Era stato un cardinale africano, il prefetto per la Congregazione dei vescovi, Bernard Gantin – primo africano nella storia a capeggiare un dicastero vaticano -, ad ammonire Williamson e gli altri che, se avessero accettato la consacrazione episcopale dalle mani di monsignor Lefebvre, sarebbero incorsi nella scomunica. Il neo-vescovo, tuttavia, respinse la validità della scomunica, affermando che la gravità della crisi esistente nella Chiesa cattolica rendeva necessaria la consacrazione di nuovi vescovi ligi alla sacra Tradizione. Più tardi, nel 2003, Williamson passò a dirigere il seminario “tradizionalista” di La Reja, in Argentina.

Lefebvre morì di cancro nel 1991, scomunicato; al suo funerale, tuttavia, erano presenti alcuni alti personaggi del clero cattolico, che benedissero la salma. Le cose stavano a questo punto allorché, dopo l’elezione al soglio pontificio di Benedetto XVI, una lettera di Monsignor Fellay, alla fine del 2008, aprì la strada a un tentativo di riconciliazione, cui Ratzinger teneva molto. Al principio del 2009 - erano passati diciotto anni dalla morte di monsignor Lefebvre e trentatré dall’inizio dello scisma, con la sospensione “a divinis” del fondatore della Fraternità Sacerdotale San Pio X - il papa rimise ufficialmente la scomunica ai vescovi scismatici, mediante un decreto della Congregazione per i vescovi, recante la data del 21 gennaio. «Questo dono di pace, al termine delle celebrazioni natalizie – affermava il documento – vuol essere anche un segno per promuovere l’unità nella carità della Chiesa universale e arrivare a togliere lo scandalo della divisione».

Tutto è bene quel che finisce bene, dunque? Niente affatto. Il gesto di Benedetto XVI venne immediatamente criticato come un cedimento gravissimo e come il segnale di un malcelato desiderio di “restaurazione” della Chiesa pre-conciliare: il capofila degli “indignati” era stato il teologo svizzero Hans Küng, che nel 1979 era stato espulso dalla facoltà cattolica e che si era segnalato quale acerrimo avversario del Primato pontificio, del culto mariano, dell’unicità salvifica di Cristo, nonché come possibilista sull’eutanasia e favorevole al sacerdozio femminile e ad una ulteriore “apertura” verso l’ebraismo e l’islamismo. Il Gran Rabbinato (la massima autorità religiosa dello Stato d’Israele), da parte sua, pochi giorni dopo, faceva sapere di voler interrompere qualsiasi colloquio con il Vaticano.

Che cos’era successo? Perché, per provocare una simile insurrezione generale, la sola remissione della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani non poteva essere sufficiente: non formalmente, almeno; anche se è molto probabile che la decisione di Benedetto XVI sia stata più che sufficiente a scatenare quanti lo consideravano un papa reazionario e quasi un avversario ideologico, bramoso di scardinare la teologia e la stessa liturgia post-conciliare (cercando di ripristinare la messa in latino) e, quindi, meritevole di essere combattuto senza esclusione di colpi da parte dell’ala “progressista” (e neo-modernista) del clero e del laicato cattolico. E si tenga presente che la remissione della scomunica non restituiva “ipso facto” ai quattro vescovi la pienezza delle loro funzioni, poiché rimaneva in vigore, nei loro confronti, la sospensione “a divinis”, vale a dire il divieto di celebrare i sacramenti, ivi compreso il Sacrificio della Messa. Eppure, anche quella modesta apertura era sembrata troppo grande ai “progressisti”: era parsa loro come un affronto, come una sfida insopportabile, cui bisognava reagire con la massima energia.

Ed ecco il complotto.

Monsignor Williamson, già da moltissimo tempo, era venuto all’attenzione dei media, e specialmente dei cattolici “progressisti”, non tanto per ragioni strettamente religiose o pastorali, ma per via delle sue opinioni personali riguardo al genocidio degli Ebrei durante la Seconda guerra mondiale, espresse fuori dell’ambito spirituale. Nel 1989 (e dunque appena un anno dopo la sua nomina a vescovo da parte di monsignor Lefebvre), Williamson, nel corso di un dibattito pubblico avvenuto a Sherbrooke, nel Québec, aveva sostenuto che, a suo parere, nessun Ebreo era morto nelle camere a gas. La Polizia canadese aveva aperto una inchiesta al riguardo, che però era stata archiviata. Ad ogni modo, l’arcivescovo cattolico di Halifax, James Maertin Hayes, si era affrettato a spedire un telegramma al Congresso ebraico canadese, per dissociarsi da quelle affermazioni. Tali erano le opinioni di Williamson, né egli era uomo da tenerle nascoste: eppure passarono quasi vent’anni prima che la “bomba” scoppiasse; e qualcuno fece in modo che scoppiasse a tempo debito, ossia quando il Vaticano aveva appena reso noto il provvedimento di revoca della scomunica.

Bisogna arrivare al 1° novembre 2008, infatti, perché Williamson, mentre si trovava in Germania, presso Ratisbona, nel corso di una intervista alla televisione di Stato svedese, ribadisse il suo punto di vista sulla questione dell’antisemitismo e del genocidio; dopo di che, la televisione svedese tenne la registrazione dell’intervista nel cassetto per quasi tre mesi, per mandarla in onda solo il 21 gennaio 2009: esattamente lo stesso giorno in cui la revoca della scomunica veniva notificata ai quattro vescovi lefebvriani e resa di pubblico dominio (con le reazioni che sappiamo). Due giorni prima (due giorni PRIMA), il settimanale tedesco «Der Spiegel», notoriamente anti-cattolico, aveva già pubblicato il contenuto dell’intervista stessa: un’altra coincidenza significativa.

Ma perché il giornalista svedese Ali Fegan volle che Williamson ritornasse sulle sue affermazioni di vent’anni prima, quelle che già avevano destato scalpore in Canada, ma che erano state ormai pressoché dimenticate? Fu forse un tranello, nel quale Williamson entrò con entrambi i piedi, senza rendersi conto delle reali intenzioni di colui che gli faceva quelle insidiose domande? Certo è che, dopo la registrazione dell’intervista, le notizie relative al suo contenuto cominciano a filtrare. Qualcuno già metteva le mani avanti, si cominciavano a fare dichiarazioni, smentite, prese di distanza.

Si è trattato di una tempistica eccezionalmente sincronizzata: e di una coincidenza davvero troppo sbalorditiva, perché sia possibile ritenerla solamente tale. Adesso tutto il mondo veniva a sapere che Benedetto XVI aveva tolto la scomunica a un vescovo negazionista, il quale sosteneva l’inesistenza delle camere a gas naziste; insomma, che il Papa aveva voluto incoraggiare l’antisemitismo, o quasi.

Riportiamo alcuni passaggi del libro-intervista del giornalista tedesco Petr Seewald «Luce del mondo. Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi. Una conversazione con Peter Seewald» (edizione italiana a cura di Pierluca Azzaro, Libreria Editrice Vaticana, 2010, pp. 173-179):

 

«D. Per quattro anni il Papa, mi si passi il termine, aveva fatto un buon lavoro.

D. Se avesse saputo che fra quei vescovi ve ne era uno che negava l’esistenza delle camere a gas naziste, avrebbe firmato la revoca della scomunica?

R. No. Si sarebbe innanzitutto dovuto separare il caso Williamson dagli altri, ma purtroppo nessuno di noi ha guardato su ”internet” e preso coscienza di chi si trattava.

D. Ma prima di revocare una scomunica non si dovrebbero passare alla lente di ingrandimento le persone e la loro condotta di vita, a maggior ragione se si tratta di una comunità che, a causa del suo isolamento, ha avuto uno sviluppo discutibile, sia dal punto di vista teologico sia da quello politico?

R. È giusto affermare che Williamson è una figura particolare in quanto non è mai stato cattolico nel senso proprio del termine. Era anglicano e dagli anglicani è passato direttamente a Lefebvre. Significa che non ha mai vissuto in comunione con tutta la Chiesa universale, in comunione con il Papa. Le autorità competenti spiegarono che i quattro vescovi desideravano riconoscere il Primato senza riserve. Certo, con il senno di poi si è sempre più intelligenti.

D. Oggi si fa strada il sospetto che si sia trattato di un complotto per danneggiare il Papa quanto più possibile. Anche la sequenza dei fatti sembra suffragare una simile ipotesi. [nota del testo: il decreto di scomunica reca la data del 21 gennaio 2009. Era già stato notificato il 20 gennaio. Proprio il 21 gennaio, quindi nello stesso momento in cui il decreto è nelle mani dei vescovi della Fraternità e quindi non si può più ritirare, la televisione svedese manda in onda per la prima volta la fatale intervista, nella quale Williamson nega che le camere a gas naziste siano mai esistite. L’intervista era però stata registrata nel novembre del 2008. Williamson aveva dichiarato in precedenza che la Fraternità era grata per la “protezione” che garantiva la scomunica. Essa metteva al sicuro dal pericolo del contagio da parte dei neo-modernisti in Vaticano. Poiché l’intervista fino ad allora non era mai stata mandata in onda, nessuno in Vaticano poteva conoscerne i contenuti. Solo la messa in onda proprio il 21 gennaio fece scoppiare la bomba. Affinché esplodesse ben bene, evidentemente alcuni giornalisti erano stati preparati all’esplosione.] In ogni caso il danno è enorme. Per settimane, sui giornali osi susseguono titoli negativi. […] Come è possibile che quel suo gesto sia stato interpretato come rifiuto della riconciliazione fra cristiani ed ebrei?

R. Come ho scritto nella mia lettera successiva a quegli avvenimenti, è evidente che esiste un’animosità già pronta a esplodere, che attende solo che queste cose accadano per poi colpire con precisione. Da parte nostra è stato un errore non studiare e non esaminare a sufficienza la questione. Dall’altra parte, diciamo, si era pronti ad aggredire, e si era soltanto in attesa della propria vittima.

D. Subito in Vaticano si levarono voci autorevoli per chiarire che chi nega l’Olocausto non ha nulla a che fare con la Chiesa cattolica. Proprio due mesi prima, il 9 novembre, a Roma, Lei aveva commemorato il settantesimo anniversario della “Notte dei cristalli”. […] Il Segretario generale del Consiglio centrale degli Ebrei in Germania tuttavia giunse ad affermare che il Papa voleva “riammettere in società un negazionista”. Un giornalista ebreo parlò di riabilitazione di “attivisti antisemiti”. E definì il papa “un ipocrita”. La Presidente del Comitato centrale degli ebrei in Germania dichiarò finito al’istante il dialogo con la Chiesa cattolica. Questo caso non mostra anche quanto sia sottile la lastra di ghiaccio sulla quale si muove il rapporto con gli ebrei?

R. In ogni caso, bisogna riconoscere che ci sono sempre grandi timori e tensioni, che facilmente si può arrecare danno al dialogo e che facilmente esso può essere minacciato. Nell’ebraismo a livello mondiale, però, ci sono stati molti che si sono immediatamente affrettati a testimoniare che mai avrei “riammesso in società” un negazionista. Sono persone che mi conoscono. Per questo un’interruzione dei dialogo non andava presa in seria considerazione. Questo pericolo si è corso soprattutto in Germania, dove tra gli ebrei tedeschi vi è una sensibilità particolarmente forte ed anche una sorta di vulnerabilità nei confronti del papa. È chiaro che anche l’immagine generale che i tedeschi hanno del papa  è stata in qualche misura estesa al mondo ebraico, cosicché in quelle dichiarazioni si rispecchia non solo la situazione degli ebrei, ma anche quella tedesca.  […]

D. Angela Merkel, cancelliere protestante  del paese responsabile dell’Olocausto,  chiese al Vaticano di assumere una posizione  più chiara contro l’antisemitismo,.  Le dichiarazioni fatte sino ad allora non sarebbero state sufficienti.

R. Non voglio ritornare sull’argomento. A quanto pare, la Merkel era informata in modo insufficiente su quanto la Chiesa cattolica aveva detto e fatto nel frattempo.

D. Con particolare tristezza, più tardi Lei constatò che “perfino i cattolici che dovrebbero saperne di più hanno ritenuto doveroso colpirmi”.

R. È un fatto, fa parte della realtà del Cattolicesimo del nostro tempo che nella Germania cattolica esista un numero considerevole di persone che, per così dire, aspetta solo di poter colpire il Papa. Quello per cui dobbiamo seriamente adoperarci è lottare perché rinasca un consenso di fondo.»

 

Ma che cosa aveva detto, esattamente, Williamson, nell’intervista del 1° novembre 2008? Perché, non dimentichiamolo, fu questa l’esca che permise ai nemici di Benedetto XVI – nemici che, duole dirlo, erano annidati soprattutto nel mondo cattolico tedesco, e non fuori – di scatenare la loro campagna di “indignazione a orologeria”, mirante a screditare il suo pontificato e a danneggiare il più possibile il dialogo della Chiesa cattolica con l’ebraismo. Aveva detto, fra le altre cose: «Io credo che le prove storiche siano fortemente in contrasto con l’idea che sei milioni di ebrei siano stati uccisi nelle camere a gas, a seguito di un’indicazione di Adolf Hitler. Io credo che non siano esistite le camere a gas». Inoltre, aveva precisato che le vittime erano state, a suo parere, dalle 200.000 alle 300.000.

In un’altra intervista, rilasciata al «Catholic Herald», aveva detto di non credere alla versione ufficiale degli attentati dell’11 settembre 2001, ma di ritenere che a far crollare le Torri Gemelle fossero stati gli stessi servizi segreti statunitensi, e ciò per giustificare le successive campagne militari in Afghanistan e in Iraq. Inoltre aveva affermato di ritenere autentici i famosi Protocolli dei Savi Anziani di Sion. Dell’antisemitismo, aveva detto di ritenerlo una cosa cattiva se fondato su argomenti falsi, ma non cattivo se fondato su argomenti veri: perché quello che conta è la verità. Aveva aggiunto di non amare i nemici di Nostro Signore Gesù e di credere all’esistenza di un complotto giudaico globale per il dominio del mondo.

Le reazioni alla vicenda del gennaio 2009 erano state caratterizzate da un estremo isterismo, sia contro di lui, sia contro la Chiesa cattolica e il Papa, responsabili, secondo i media, di non essere stati abbastanza duri nel condannarlo, benché una nota vaticana avesse chiarito sin dal 4 febbraio, e nella maniera più chiara e recisa, la posizione di Benedetto XVI e di tutta la Chiesa, di condanna di Williamson e di riconoscimento della realtà storica del genocidio degli Ebrei. La stessa Fraternità sacerdotale di San Pio X, per bocca di monsignor Fellay, aveva condannato le parole di Williamson e preso provvedimenti a suo carico, culminati, nel 2012, nell’espulsione. Il Ministro degli Interni della Repubblica argentina, da parte sua (ma su pressione del rabbino capo di Buenos Aires, Daniel Goldman), aveva deciso di notificargli un provvedimento di espulsione nel termine di dieci giorni, provvedimento in base al quale, alla fine di febbraio, Williamson aveva dovuto realmente lasciare il Paese sudamericano e fare ritorno a Londra.

Un tribunale tedesco, quello di Ratisbona, lo aveva condannato al pagamento di una multa per le sue tesi negazioniste, sentenza poi annullata da un altro tribunale, la Corte d’Appello di Norimberga; la diocesi di Ratisbona lo aveva messo al bando perpetuo (e il suo vescovo, Gerhard Ludwig Müller, aveva definito Wiliamson “inumano” e “blasfemo”); il governo tedesco aveva minacciato di arrestarlo e processarlo; cinquanta membri del Congresso americano (tutti cattolici, si badi) erano insorti, chiedendo spiegazioni al Vaticano; anche Simon Wiesenthal, il noto cacciatore di criminali nazisti, aveva unito la sua voce al coro generale, chiedendo al Papa di confermare la scomunica di Williamson; e Angela Merkel, con l’aria della prima della classe, aveva dichiarato di ritenere insufficienti le spiegazioni vaticane e di desiderare una presa di posizione più esplicita di condanna dell’antisemitismo.

In molti, in troppi, vollero dire la loro, facendo a gara nello scagliare i loro anatemi sia contro Williamson (che aveva finito per chiedere scusa per aver provocato dolore ai familiari delle vittime del genocidio, ma non aveva voluto ritrattare il senso delle sue dichiarazioni, e dunque rimaneva confinato nel lebbrosario del politicamente scorretto), sia contro la “deriva” conservatrice, anti-conciliare e anti-ecumenica del Vaticano e di Benedetto XVI. La stampa cattolica “progressista”, «Famiglia cristiana» in testa, mise in guardia contro le gravi conseguenze che la revoca della scomunica a Williamson avrebbe avuto; e la stampa non cattolica e anti-cattolica si scatenò in un’orgia di critiche, nelle quali si mescolarono accenti irriverenti e insultanti nei confronti non solo del Papato, ma anche di Gesù Cristo e di Maria Vergine. Questi attacchi, però, non fecero notizia; l’unica notizia era il negazionismo di Williamson e la supposta “connivenza” di Ratzinger. Anche se, forse, le prove non verranno mai fuori, è evidente che si trattò di un complotto per indebolire l’immagine e l’autorevolezza del papa tedesco; e, vista la piega che hanno preso le cose in seguito, con la sua solenne rinuncia al pontificato, il 28 febbraio del 2013, sembra difficile negare che i suoi nemici abbiano raggiunto lo scopo che si prefiggevano. Che tali nemici fossero soprattutto dei cattolici, in particolare suoi connazionali, è la cosa più triste di tutte.

Un’altra cosa assai triste, di quella vicenda, sono state la malizia e l’ipocrisia con la quale tutti vollero far finta di non capire che di un complotto si trattava, e il conformismo, per non dire il servilismo, con il quale fecero a gara nel rincarare la dose degli attacchi e delle dichiarazioni scandalizzate, stracciandosi le vesti come Caifa nei Sinedrio. Ora che sono passati diversi anni, sommessamente, vorremmo fare una domanda un po’ ingenua, ma - probabilmente - assai scomoda: che cosa c’entrano le opinioni personali di un vescovo riguardo al genocidio degli Ebrei (che bisogna chiamare, per forza, Olocausto, o meglio ancora Shoah), per quanto discutibili e, in buona sostanza, sbagliate, ma insomma attinenti alla sfera di libertà democratica garantita a qualsiasi cittadino, con la sfera religiosa, e, in particolare, con la Chiesa cattolica? Un vescovo, a titolo personale, non ha diritto alle proprie opinioni storiche, politiche, filosofiche sociali, e così via? Possibile che, se le sue opinioni personali non incontrano il gradimento della maggioranza, esse possano venire utilizzate impunemente per screditare e delegittimare l’istituzione religiosa cui egli appartiene, oltre che la sua stessa persona e il suo ufficio?

L’arcivescovo Antonio Franco, delegato apostolico a Gerusalemme e in Palestina, l’8 marzo del 2009 dichiarò che «non è possibile essere cattolici e negare l’Olocausto». Con tutto il rispetto per la delicatezza estrema della sua posizione diplomatica nei confronti di Israele, tale dichiarazione ci sembra aberrante. Ci piacerebbe sapere se la stessa impossibilità, lo stesso “divieto” a essere cattolici, vale anche per quanti negassero, ad esempio, lo sterminio dei molti milioni di “kulaki” voluto da Stalin, o dei molti milioni di cinesi “reazionari” voluto da Mao; oppure per il genocidio dei popoli amerindi, degli aborigeni australiani, dei tasmaniani. Francamente, crediamo di no; bisognerebbe chiederlo a monsignor Franco. Ma allora, perché solo il negazionismo di Auschwitz è incompatibile con l’essere cattolici?

Quanta ipocrisia si è manifestata, in tutta questa vicenda; quanto piatto, avvilente conformismo ideologico; e quale penoso spettacolo di perfidia, proprio all’interno del mondo cattolico, ai danni di un Papa giudicato retrogrado, da una parte dei suoi stessi fedeli…

Una cosa, peraltro, si è vista con estrema chiarezza: quali sono i poteri intoccabili, quali sono le verità indiscutibili, davanti a quali Tavole della legge bisogna genuflettersi, oggi, se non si vuol finire sul libro nero ed essere spazzati via, oppure sottoposti a una campagna di mistificazione e di distruzione morale vera e propria. Un Papa, appena due anni fa, è stato costretto a deporre la tiara...