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Il Tao della Biologia. Giuseppe Sermonti e la favola evoluzionista

di Giovanni Sessa - 05/10/2015

Fonte: Centro Studi La Runa


il-tao-della-biologiaGiuseppe Sermonti è sicuramente uno scienziato scomodo. Lo è diventato a partire dagli anni Ottanta, periodo nel quale ha maturato in termini definitivi la sua critica all’evoluzionismo darwiniano. Genetista di valore, fin dagli anni Cinquanta ha lavorato presso l’Istituto Superiore di Sanità di Roma ma, a causa delle posizioni anti-darwiniane, ha patito l’isolamento intellettuale ed esistenziale nel mondo accademico nostrano. Destino condiviso con suo fratello Rutilio, nobile figura e firma di prestigio della Destra italiana, da poco scomparso. Proprio al fratello, il biologo ha dedicato la sua ultima, significativa fatica Il tao della biologia. Saggio sulla comparsa dell’uomo, nelle librerie per Lindau editore (per ordini: ufficostampa@lindau.it; 011/5175324, euro 16,50). Si tratta della rielaborazione e dell’ampliamento di un’opera uscita vent’anni fa con il titolo, La luna nel bosco. Va rilevato, a benefico del lettore, che l’autore ha aggiunto un capitolo, Il Tao della biologia, chiave di volta dell’intero volume, che rende la nuova edizione imperdibile per quanti si pongano al di là dei confini dello scientificamente corretto, oggi dominante.

Le pagine di Sermonti sono, sotto il profilo formale, affabulatorie ed aurali e testimoniano un’erudizione non comune, che spazia dal sapere scientifico, al mito, fino a toccare le più stimolanti correnti della psicologia del profondo. La lettura del libro risulta davvero piacevole, in quanto l’autore ci conduce per mano all’ re-incontro con il Bello della natura, in un frangente storico nel quale tutti, ahimè, siamo costretti a sopportare (ma non per troppo tempo, ci auguriamo) il trionfo dell’orrido. Il testo vuole essere “un omaggio alla bellezza solare dell’uomo (e della donna) e un atto di riguardo per l’allegria della scimmia lunare” (p. 6). La teoria dell’evoluzione delle specie riveste essenzialmente il valore di segno dei tempi: indica tangibilmente, nell’individuare l’origine dell’uomo nei primati, la tensione catagogica che guida la nostra epoca. Ciò che è Alto e superiore viene di fatto ridotto, riportato al Basso, all’inferiore, immiserito. Tale spinta spirituale regressiva vige in ogni campo. Per quel che riguarda l’evoluzionismo, si può asserire, senza timore di smentita, che sia divenuto uno dei tratti salienti del senso comune contemporaneo, anzi uno dei suoi dogmi irrinunciabili.

Sermonti, fin dall’incipit del suo argomentare, rammenta come tale teoria, negli statuti interni, non risponda affatto al criterio falsificazionista individuato da Popper quale conditio sine qua non della scienza. Ciò ha indotto i “mandarini” dello scientismo a difenderla a spada tratta, e a non tenere in alcun conto le smentite sperimentali. Più volte gli evoluzionisti hanno presentato ritrovamenti paleontologici, come l’anello intermedio del passaggio dalla scimmia all’uomo. Finora sono stati sempre smentiti. A volte, il tanto atteso anello intermedio è stato costruito ad hoc: il cranio dell’uomo-scimmia scoperto a Piltdown in Inghilterra nel 1906, si rivelò un falso creato montando un calotta cranica di uomo medievale e una mascella di orango femmina. Pertanto, ai seguaci contemporanei di Darwin non è restato altro da fare che “rappresentare tutti i grandi scienziati, che non avevano accettato la lapalissiana idea dell’evoluzione come fissati, pieni di preconcetti e di sciocche o interessate reverenze” (p. 21). L’autore ricorda come a tale sorte sia andato incontro anche Roberto Fondi, paleontologo senese, assieme al quale per Rusconi pubblicò un libro che suscitò polemiche a non finire, Dopo Darwin.

Uno degli aspetti più rilevanti del testo sta nella prossimità, colta da Sermonti, tra le tesi evoluzioniste e quelle gnostiche: ciò rende il darwinismo momento centrale del neo-gnosticismo, per dirla con Eric Voegelin. In cosa consiste tale parentela? Ponendo l’Animalità pura all’origine dell’uomo, come sostenne Francis Galton, cugino di Darwin, il biologo inglese faceva dell’uomo razionale un demone redento, sorte condivisa con l’iniziato gnostico che, attraverso la “conoscenza”, si liberava dalla negatività di un mondo creato da un demiurgo “cattivo”. Non è difficile constatare come, alla sommità del processo di liberazione razionale dalla scimmia, gli evoluzionisti pongano le sorti progressive dell’umanità, naturalmente rette dal dominio dell’uomo anglosassone. Perciò, il darwinismo sociale è già implicito in tale dottrina.

Sotto il profilo scientifico, Sermonti ci dice che la tesi dell’origine di una specie per aggiunte terminali ai caratteri di un’altra è ormai superata. Le cosiddette specie “sorelle” sono il risultato di irradiazioni da un “nodo comune” e determinano le “esplosioni o radiazioni evolutive”. Con Grassé, l’autore ritiene che una specie differenziata non darà mai luogo ad un’altra specie “Quella che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla”, questa la lezione di Lao-Tse (p. 105). Per comprendere il tema delle “specie sorelle” è necessario far riferimento alle posizioni dell’ittiologo Balon, che lesse una risonanza mistica tra “l’idea degli opposti complementari dello I’Ching taoista e il raffronto tra le cosiddette specie sorelle in biologia” (p. 107). Le specie sorelle, nate da una biforcazione di una “madre arcana” (il nodo comune), hanno tra loro un rapporto simile a quello di Yin e Yang. I contrari non si oppongono ma si complementano anche in biologia. L’uomo, con Pico della Mirandola, è il generalizzato, il giovanile Yin, la scimmia il senile YangL’uomo è l’essere incompiuto, disadattato, dall’orizzonte più vasto, la scimmia è prigioniera della foresta…Ognuno ha la sua anima, la sua dignità” (p. 110).

Sermonti ci rammenta la grande antichità della nostra specie, ma al contempo la sua eterna fanciullezza. La nostra specificità non è quella di essere gli ultimi e più perfezionati esseri viventi, ma di essere custodi di una natura remota e primaria. Mentre il darwinismo disumanizza l’uomo e riduce alla mera materialità indistinta l’animale, la posizione dell’autore concede dignità ad entrambi, sia pure su piani diversi. L’uomo risulta liberato dall’odore di “giardino zoologico” e viene ricondotto nel regno del mito, da cui è misteriosamente emerso. La scimmia-Pan (Hillman) è la nostra sorella lunare che simbolizza la dimensione emotiva e passionale della vita, rinunciando alla quale perderemmo, come sta accadendo, la nostra anima. Insomma, questo libro ci invita, in sintonia con il pensiero di Tradizione, a ricostruire l’unità imprescindibile di Apollo e Dioniso per uscire dal dis-astro moderno.