L’intervento in Siria a difesa del governo di Bashar al Assad contro i terroristi dello Stato Islamico e i cosiddetti “ribelli” appoggiati dall’Occidente ha definitivamente consacrato Vladimir Putin come uno dei principali dirigenti mondiali e la Russia come il (ritrovato) attore della politica internazionale. Dal 2012, anno della sua terza rielezione, ad oggi, il presidente Putin è riuscito a riportare il suo Paese in quella dimensione di grande superpotenza che si era persa nel ventennio successivo al disastroso scioglimento dell’Unione Sovietica, quando le “riforme” eltsiniane l’avevano quasi ridotta, con l’appoggio attivo dell’Occidente, al rango di una potenza regionale, lasciando a Putin il compito di ricostruire le strutture statali dal 2000 in poi. Dal 1991 la Russia si era vista privata di quasi tutti gli alleati dell’ex Patto di Varsavia, fatti entrare precipitosamente nella NATO, e accerchiata da un’imponente dislocamento di basi, mentre la stessa NATO infiammava intere regioni con gli interventi militari contro la Repubblica Federale di Jugoslavia, l’Afghanistan e con le due guerre contro l’Iraq. Inoltre una serie di “rivoluzioni colorate”, orchestrate dai centri occidentali, provvedeva a sovvertire i governi nei Paesi ex sovietici e a metterli contro Mosca, come avvenuto in Georgia e in Ucraina. Negli ultimi anni però, la Russia di Putin non è rimasta più a guardare ma ha iniziato a ribattere colpo su colpo alle strategie aggressive degli Stati Uniti, senza per questo cadere nell’errore di proporre una politica imperialista: Mosca, infatti a differenza del blocco atlantico, non dispone dell’enorme rete di basi militari disseminate in tutto il globo, conservando solo alcune basi in Paesi limitrofi ex sovietici e l’unica base navale nel Mar Mediterraneo nel porto di Tartous in Siria. Proprio in Siria la Russia è intervenuta forte della richiesta fattale dal legittimo governo di Bashar al Assad, in lotta contro i “ribelli” fomentati in cinque anni dagli Stati Uniti, dalla Turchia e dalle monarchie del Golfo e contro lo Stato Islamico che ha conquistato vaste porzioni del territorio siriano e iracheno grazie alla misteriosa e a dir poco sospetta abbondanza di risorse di cui può disporre.
Intervenendo in Siria, nel contesto di un conflitto che si è ormai “internazionalizzato”, Putin ha conseguito due risultati. Il primo è stato quello di riportare saldamente la Russia al centro della politica medio-orientale, dopo almeno venticinque anni di assenza, riuscendo a ricreare alleanza perdute (per esempio con l’Egitto) e a mettere insieme un arco di Paesi che va dall’Iran alla Siria passando per l’Iraq intenzionati seriamente a combattere il terrorismo e a stabilizzare la regione. Senza dimenticare che anche Israele, curiosamente ai margini nella lotta all’ISIS, ha dovuto accettare la presenza russa a sostegno di Assad che a sua volta conta tra i suoi più grandi alleati, oltre all’Iran, il movimento di Hezbollah, uno dei principali nemici di Tel Aviv. Il secondo successo di Putin è stato quello di smascherare la fallace e ambigua politica estera statunitense, mai impegnata seriamente nella lotta al terrorismo, essendo quest’ultimo il fattore che potrebbe indebolire il governo di Assad. Come osservato da molti, in pochi giorni gli aerei russi sono riusciti a colpire obiettivi terroristici ben più di quanto la coalizione occidentale abbia fatto in un intero anno. La linea ufficiale della NATO si è appigliata alla difesa dei ribelli “moderati” anti-Assad (forse al-Qaeda o al-Nusra?), attaccando Mosca che non fa nessuna “distinzione” tra terroristi. Dietro a queste affermazioni in realtà c’è il timore di rivedere la Russia nel ruolo geopolitico che gli spetta.
La crisi in Ucraina e il conseguente ritorno della Crimea in Russia, la crisi siriana, la diplomazia russa attiva nell’ambito dei BRICS, in Africa e in America Latina, hanno costretto i fautori dell’unipolarismo statunitense a confrontarsi con un nuovo argine alle loro ambizioni, che ormai non sono più sostenibili. In effetti il prestigio e la consistenza internazionali che sta acquisendo la Russia di Putin non si vedeva da vari decenni, almeno da quando negli anni Settanta l’URSS di Leonid Breznev era capace di intervenire in tutti i continenti a sostegno dei movimenti anti-imperialisti e progressisti, portando alla massima espansione l’influenza sovietica.
A differenza degli Stati Uniti, la Russia propone di stabilizzare le principali regioni problematiche del mondo, usando la forza solo in ultima analisi, e nel pieno rispetto delle diversità politiche, economiche, sociali dei vari popoli e governi. Nel mondo globalizzato, la politica estera di Putin ripropone la collaborazione tra Stati sovrani per un mondo multipolare più equilibrato, laddove altri pretendono ancora di instaurare ovunque il loro dominio universale non solo militare ed economico ma anche culturale. In questo la lungimiranza di Putin, di Sergej Lavrov, di Maria Zakharova e di tutto il corpo diplomatico russo, improntato al realismo geopolitico ma al contempo al rispetto e all’equilibrio, si contrappone all’aggressività e ai vaneggiamenti di Obama, – che ancora all’ONU rivendica la superiorità degli USA su tutti – di John Kerry, Victoria Nuland e John McCain.
Né si può negare che quella dello stesso Putin sia una figura che si stagli come uno statista non comune. Una figura che raccoglie sempre più consensi, non solo in patria, dove si può dire che non abbia rivali, ma anche all’estero, diventando il punto di riferimento per molti. E’ uno dei protagonisti del BRICS e dell’Unione Eurasiatica da lui promossa; è un interlocutore importante dei governi sovranisti in America Centrale e Meridionale, in Africa e in Asia; è persino un’icona per partiti e movimenti europei, quelli che combattono da destra l’euro e l’immigrazione, ma anche per quella sinistra che cerca un contrappeso all’imperialismo occidentale. Le Pen, Farage, Salvini, Grillo, parte della sinistra tedesca, Melenchon, partiti di estrema destra e sinistra, partiti indipendentisti e nazionalisti, hanno espresso a vario titolo simpatia per il leader russo, insieme a ex primi ministri e capi di governo, come Silvio Berlusconi, l’ex cancelliere tedesco Schroeder, persino Nicolas Sarkozy, non si sa se per calcolo politico o per sincerità. Sta di fatto che, nonostante le sanzioni e il clima da guerra fredda che l’UE ha voluto instaurare seguendo a ruota gli USA, sempre più politici e dirigenti più o meno importanti sostengono la necessità, perlomeno, di collaborare con la Russia e in alcuni casi di guardare con attenzione al “modello Putin”. Anche la Crimea, checchè ne dica la propaganda anti-russa, non può essere a lungo il pomo della discordia in Europa: infatti una delegazione di parlamentari francesi si è recata in visita nella penisola russa sul Mar Nero, oltre al segretario della Lega Nord Matteo Salvini e a Silvio Berlusconi, contestatissimo dal governo di Kiev, mentre è stata annunciata anche una missione del Movimento 5 Stelle.
Insomma Putin non è e non può essere lo spauracchio agitato da certa propaganda, che tende a dipingerlo come un autocrate (uno “zar”, espressione per la verità usata dai suoi sostenitori), un mandante di omicidi politici, un omofobo e, a seconda dei casi, un restauratore dell’URSS o un dittatore dai tratti fascisti. Così, come è variegato l’insieme di persone e partiti che lo sostengono, l’antipatia per il presidente russo attecchisce sia nella destra neo-conservatrice, d’ispirazione statunitense, che lo presenta come il classico nemico anti-occidentale, sia nella sinistra libertaria tanto moderata quanto estrema, che ne denuncia il presunto calpestamento dei diritti civili e la politica estera “espansionistica”. In realtà Putin è un leader piuttosto post-ideologico, non inquadrabile nella dicotomia destra-sinistra occidentale: egli si è fatto portavoce di un patriottismo e di un conservatorismo illuminato che vede la Federazione Russa all’interno della sua storia come la naturale continuatrice dell’Impero zarista e dell’Unione Sovietica, i cui simboli infatti, l’aquila bicefala e la falce e martello, vengono quasi sempre affiancati nelle parate e nelle celebrazioni ufficiali. La politica estera di Putin è nettamente sovranista e per il rafforzamento della potenza russa, la politica interna si muove all’interno della cornice sostanzialmente liberale e assolutamente capitalistica (sebbene si sia affermato il capitalismo di Stato a scapito degli oligarchi protagonisti della stagione eltsiniana che non detengono più il potere politico di una volta) della nuova Russia, un Paese che soffre di grandi diseguaglianze, ma archiviando gli eccessi che caratterizzarono le svendite e l’instabilità negli anni Novanta e l’occidentalizzazione forzata. Infatti le sanzioni economiche varate dagli USA e dall’UE hanno portato alla ribalta temi come l’autarchia e la discussione di modelli politici e culturali diversi da quello liberale anglo-americano. Inoltre vengono restaurate alcune usanze sovietiche e non si ha paura di celebrare la figura di Stalin come l’artefice della vittoria nella Seconda guerra mondiale (la “grande guerra patriottica” per i russi) e quella di Breznev i cui anni di governo sono rivalutati come il periodo più prospero per la popolazione sovietica. Tutto ciò è stato possibile grazie all’opera di Putin che si è presentato come un conciliatore e come un patriota non sciovinista (la Russia è un Paese multietnico con numerose minoranze interne) che ha riportato ordine e stabilità. Questo spiega perché le opposizioni liberali tanto sostenute dall’Occidente abbiano ormai pochissimo seguito popolare in Russia, non certo per una fantomatica repressione politica, ma perché il restante spazio è occupato da partiti anti-liberisti e nazionalisti che incalzano su questo terreno Putin e il suo partito Russia Unita, come il Partito Comunista della Federazione Russa, secondo partito nazionale (che meno di un mese fa ha battuto il partito di Putin e Medvedev vincendo le elezioni regionali nell’importante oblast siberiano di Irkutsk), il Partito Liberal Democratico (ultra-nazionalista) e Russia Giusta. Questi partiti, collocati all’opposizione sul piano interno, ultimamente hanno sostenuto con vigore la politica estera putiniana. Infine il ritorno della Crimea ha generato una grande ondata di orgoglio nazionale, tanto da far diventare Putin quasi un’icona pop e nazional-popolare con il suo volto che compare su magliette, gadget e oggetti di ogni tipo, alimentando una vera e propria mitologia. E anche in Europa una buona parte dell’opinione pubblica, anche quella meno attenta alle vicende politiche, vede in Putin l’uomo forte ma giusto in antitesi alla disaffezione e alla sfiducia cui sono andati incontro i tanti politici e burocrati dei vari Stati europei. Questo è accaduto soprattutto in seguito alla crisi in Ucraina, quando i media russi diffusi nel mondo, a partire dalla televisione Russia Today, hanno contribuito a fornire una versione diversa da quella propagandata dai media che hanno prima sostenuto e poi fatto calare il silenzio sull’ennesima destabilizzazione e “rivoluzione colorata” che però stavolta è degenerata in una guerra civile. Sono state smascherate anche le ingiuste critiche alla figura di Putin, che negli ultimi anni è stato quasi demonizzato dalla propaganda occidentale, alla stregua dei classici “dittatori” che la NATO propone di abbattere… Vladimir Putin, che piaccia o no, è l’artefice della nuova Russia, ed oggi è uno statista stimato e rispettato in tutto il mondo e il suo Paese è una pedina di cui nessuno può più fare a meno nello scacchiere internazionale: per fortuna, bisognerebbe dire, visti i disastri, in termini politici, ma anche e soprattutto di vite umane, a cui è andato incontro il modello unipolare che i presunti vincitori della Guerra Fredda hanno cercato di imporre. Un contrappeso a questo nefasto modello è e sarà sempre più necessario: la Russia è tornata ad esserlo.