La recente tragedia degli ostaggi nel Mali, che ha avuto il suo impatto su sette frontiere (molte ex colonie della Francia) è un segnale di destabilizzazione del Sahel e del Nord Africa – che rifornisce di idrocarburi il sud dell’Europa -, assieme all’eco degli attacchi terorristici di Parigi/Saint-Denis, concretizza lo scenario di Michael Maloof, descrittto già da quasi tre anni.
Maloof era un esperto del Pentagono, statunitense di origine libanese, ex segretario di Donald Rumsfeld, uno dei pianificatori delle guerre fallite in Afghanistan ed in Iraq. Lo stesso Maloof aveva pronosticato l’avvento di una guerra globale che sarebbe stata portata verso l’Europa per mezzo del Jihadismo e di Al Qaeda nell’ambito dello scontro sulle rotte del petrolio e gas che coinvolge gli USA, l’Arabia Saudita e la Russia.
Il pronostico di Maloof mette in luce lo scenario dei principali fili conduttori in gioco: il controllo degli idrocarburi con i loro oleodotti/gasdotti ed il riindirizzamento dell’agenda globale in concomitanza con la evoluzione geopolitica nella fase di alta tensione strategica fra gli USA e la recente alleanza di Russia e Cina.
Sono state molto brutali le due confessioni rivelate, tanto quella della DIA (The Defense Intelligence Agency), nel suo storico documento del 2012, riesumato il 19 di Maggio scorso, dal nome “West will facilitate rise of Islamic State “in order to isolate the Syrian regime” (L’Occidente faciliterà l’ascesa dello Stato Islamico per isolare il regime siriano), come anche quello del tenente generale Michael Flynn, precedente direttore della DIA – “Rise of Islamic State was a willful decision” (l’ascesa dello Stato Islamico fu una decisione deliberata) – rapporti che i menzogneri media occidentali si sono guardati bene dal pubblicare o dal diffondere ma piuttosto hanno voluto occultare dietro precisa raccomandazione o direttiva esterna. (Rapporti che non saranno mai pubblicati in Italia da giornali come “Il Corriere della Sera” o “La Stampa” o “Repubblica” perchè smentirebbero il castello di menzogne costruito sulla guerra in Siria e sulla nascita dello Stato Islamico).
Come mai il Pentagono rende pubblici i suoi scaltri piani come strumento di dissuasione al fine di sottomettere i suoi recalcitranti alleati e/o consumare a fuoco lento i suoi rivali geostrategici pieni di popolazioni islamiche nel loro interno?
Sorprende l’estrema durezza del boicottaggio e delle sanzioni dell’Occidente contro l’Iran – che asfissiarono lo stato persiano prima di arrivare ai negoziati del P5+1 (accordi sul nucleare), in confronto alla flagrante inerzia e permissività di cui gode lo Stato Islamico nel suo irridentismo che la coalizione dei 62 paesi, diretta dagli USA non ha potuto frenare, durante un anno “coreografico” nel corso del quale ha avuto una espansione il colore nero della monade jihadista e dei suoi molteplici affiliati nell’Eurasia ed in Africa che adesso colpiscono anche la Francia ed il Belgio, quando già si sapeva che operavano nei Balcani, dove furono individuati un anno dopo l’11 Settembre. Vedi: Al Qaeda’s links in the Balcans
Io stesso avevo esposto che l’ISIS doveva essere combattuto nei suoi quattro filoni originari che alimentano il Moinotaiuro jihadista globale:
1. la vendita di armi fatta dall’Occidente; 2. la vendita del suo petrolio all’Occidente; 3. il finanziamenti ed i movimenti bancari; 4. le telecomunicazioni ed le reti social criptate che utilizza.
Blanco Moro riesuma “una delle principali vie di finanziamento dello Stato Islamico consiste nella produzione e vendita dell’oro nero” e starebbe producendo tra i 1,5 e 2 MBD che lo collocherebbe nel nono posto come produttore di petrolio, superando la produzione congiunta di Qatar, Libia ed Ecuador. Vedi: El ISIS estaría entre los 9 productores de petróleo más grandes de la OPEP
Per quanto riguarda il filone principale degli idrocarburi, tralasciando gli altri tre:
In una forma insolita, l’ISIS produce poco meno petrolio del Messico – 2,31 milioni di barili al giorno (MBD) – e del Venezuela (2,37 MBD) e si troverebbe” tra i nove produttori più grandi dell’OPEC” in quanto le “sue operazioni di vendita del crudo sono similari a quelle di una società statale”, lo rileva l’analista Blanco Moro, del El Economista /Spagna.
Ovviamente lo Stato Islamico non appartiene all’OPEC nè sarebbe ammesso nella sua organizzazione, ma l’ingegnosa classificazione virtuale fatta da Blanco Moro illustra la sua importanza nella geopolitica degli idrocarburi.
Blanco Moro commenta che ” Gli operatori stazionano i loro camion cisterna in lunghe code, nell’attesa di poter riempire i loro serbatoi e acquistano il crudo sottoprezzo intorno ai 25/30 dollari al barile, per poi venderlo a raffinerie o internediari a prezzo di mercato, i cui informatori “sospettano che tra gli acquirenti del petrolio dell’organizzazione terroristica possano trovarsi alcune delle multinazionali statunitensi che operano nella regione”.
Secondo il Financial Times (FT), l’ISIS mimetizza il modo di operare delle petroliere statali quando gli jihadisti sanno che il crudo è la loro carta vincente visto che nel territorio che controllano, con 10 milioni di abitanti sequestrati, tutti hanno necessità del diesel: per l’acqua, per l’agricoltura, per gli ospedali, gli uffici e se i taglia il diesel non cisarà più vita nella regione.
La vigilanza sui pozzi petroliferi viene effettuata dalla “Amniyat”, la polizia segreta dell’ISIS e il suo principale giacimento petrolifero è quello di Al-Omar (zona di Deir al-Zor).
Il Financial Times aggiunge che il petrolio è l’oro nero che finanzia la bandiera nera in quanto alimenta la sua macchina da guerra, assicura l’elettricità e fornisce ai fanatici jihadisti una influenza cruciale di fronte ai propri vicini.
Il FT sostiene che il petrolio è l’arma strategica in gioco per la sopravvivenza degli insorgenti per finanziare l’ambizione di creare un Califfato – assieme alle sue operazioni militari e le misure di sicurezza, oltre ai sofisticati multimedia – e che si trova sotto il controllo centrale dai suoi leaders del gruppo che è stato ben organizzato nella sua gestione dell’oro nero.
Ci si domanda se lo Stato Islamico arriverà a privatizzare il petrolio e il gas sottratto illegalmente per arricchire i profitti delle multinazionali anglossassoni. Non srebbe un avvenimento ecezionale e questo influirebbe anche sull’andamento dei derivati speculativi dei petroldollari che si trattano nelle megabanche di Wall Street.
Mike Harris, editore del feroce portale statunitense Veterans Today, ha tratto indizi circa gli affari fatti dalle multinazionali anglosassoni Exxon Mobil y BP tra gli altri acquirenti del petrolio illegale degli jihadisti e fustiga la condotta degli Stati Uniti accusati di avere un atteggiamento di politica estera bivalente o schizofrenica, quando in forma ufficiale condannano il terrorismo ma in forma non ufficiale appoggiano il terrorismo. Sono i ricavi petroliferi dell’industria del terrorismo jihadista globale.
Nessuna sorpresa e nessun segreto: la guerra dello Stato Islamico, tanto in Iraq quanto in Siria, è di fatto anche una guerra per il possesso delle sue risorse petrolifere e dell’attraversamento di quattro progetti di gas dotti/oleodotti dalla costa Mediterranea con destinazione al ricco mercato europeo:
1. gas dotto/oleodotto dalla regione Curda- Sunnita– non araba- del Kirkuk (verso Israele?); 2. L’oleodotto/gasdotto sciita dall’Iran/Iraq (ubicato nella parte sciita) collegando la Siria (zona alawita); 3 Il gasdotto sunnita dal Qatar alla Turchia; 4. L’oleodotto sunnita dell’Arabai Saudita alla Giordania ed alle regioni sunnite dell’Iraq e della Siria.
Gli idrocarburi costituiscono la risorsa del Jihadismo: se il combustibile infiamma il terrorismo globale, l’assenza del diesel potrebbe occasionare il suo decesso.
Il petrolio rappresenta la quarta parte delle entrate dell’ISIS: costituisce la sua forza ma nello stesso tempo rappresenta la sua alta vulnerabilità derivata dalla sua illegalità giuridica internazionale.
Fonte: La Jornada
Traduzione: Luciano Lago