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L’Italia agli italiani, la Corsica ai corsi

di Ippolito Emanuele Pingitore - 04/01/2016

Fonte: L'intellettuale dissidente


Corsica, Francia e Italia: considerazioni sulla vittoria dei nazionalisti. Intervista a Urelianu Colombani.

  

Il 13 dicembre scorso per la Corsica è stata una giornata storica: il secondo turno delle elezioni regionali ha infatti consacrato i nazionalisti di Pè a Corsica alla guida della regione con il 35,35% dei voti, circa 50.000. Un risultato eccezionale, che segna ovviamente un traguardo per il movimento nazionalista, nato dalla fusione di Femu a Corsica (nazionalisti) e Corsica Libera (indipendentisti). Di fatto si impone come primo partito in Corsica, superando con un margine notevole gli altri tre partiti avversari. Il risultato di queste elezioni sta certamente in un clima politico resosi asfissiante: l’antipatia della Corsica nei confronti di Parigi è sempre stata manifesta, ma la situazione economica generale ha contribuito certo a determinare più di ogni altra cosa l’esito della competizione. Una vittoria che arriva dopo quaranta anni di lotta armata, di richieste inascoltate e di una marginalizzazione politica e sociale che ha relegato l’isola fuori dalla sfera di interesse della Francia. Così il riscatto è iniziato da poco più di due settimane, quando Jean Guy Talamoni, neo presidente dell’Assemblea di Corsica, ha inaugurato la nuova legislatura con un discorso proclamato interamente nella lingua tradizionale: il corso. Ci siamo così messi in contatto con la redazione di Corsica Oggi, un sito di approfondimento politico-culturale, che da circa un anno, cioè da quando è nato il progetto, cerca di instaurare un dialogo costruttivo e serio tra corsi e italiani nel tentativo di superare pregiudizi di carattere ideologico, ed abbiamo intervistato Urelianu Colombani, 24 anni, giovane studente corso (non provate a definirlo francese) che parla perfettamente l’italiano con accento romanesco. Urelianu vive e studia a Roma, dove si è laureato all’Università Roma Tre in Scienze Storiche. Due ore di conversazione su Corsica, Francia e Italia. Chi si avvicina per la prima volta a tematiche simili non può che restarne affascinato.

La differenza grossa tra Francia e Italia – incalza subito – è questa: il gioco democratico, la possibilità di partecipare alla vita del paese, è molto meno inquadrata in Italia. Il che, da un lato, crea dei pericoli all’unità del paese, dall’altro apre maggiormente il campo del dibattito. In Francia non è consentito proprio parlarne ad un livello pubblico: non puoi mettere sul tavolo l’indipendenza di qualsiasi regione, perché ciò lederebbe la Repubblica una e indivisibile. C’è una differenza di concessione della democrazia: è proprio la Francia che ha questa deformazione democratica. Al di fuori dei suoi confini non c’è repubblica o democrazia. Intanto confondono i due termini: anche la Corea del Nord è una democrazia.

E’ questo un retaggio dell’Illuminismo e della Rivoluzione Francese: un giacobinismo “egualitario” da difendere e, magari, imporre strenuamente. Il che sembra paradossale, almeno nei termini posti da un paese europeo, e dunque occidentale. Che uno Stato possa considerare l’utilizzo ufficiale di una lingua diversa dal francese come discriminatorio, in quanto negazione del principio di uguaglianza nei confronti di chi non la conosce, fa quasi ridere.

Esattamente. Nel dibattito che si è scatenato ci sono due aspetti: c’è il fatto che i francesi hanno bisogno di dire qualcosa sulla Corsica perché hanno esaurito gli argomenti. Quindi un gioco mediatico, anche ricercato e voluto da Talamoni quando ha presentato il suo discorso [in lingua corsa]: sapeva che ci sarebbero state delle reazioni, forse non così forti, da parte di tutto il panorama politico, perché, dall’estrema sinistra fino a Philippot, che è il braccio destro di Marine Le Pen, praticamente hanno reagito tutti e la maggior parte mantenendo la stessa linea. Serviva in qualche modo una cosa per rimetterli insieme dopo i battibecchi in campagna elettorale e la Corsica è sempre un buon pretesto, perché alla fine essa non può rispondere, né ha la forza per farlo.

Come vi vede il Front National?

Ci vede esattamente come gli altri. Fino a dieci o quindici anni fa non aveva neanche il diritto di candidarsi in Corsica, poiché gli era stato praticamente impedito dai corsi stessi. Jean Marie Le Pen aveva già provato a venire qui un po’ di anni fa e se n’era dovuto andare. Marine Le Pen ha fatto cadere molti tabù ma in generale il Front National sta facendo un doppio gioco: da un lato, non riconosce minimamente le specificità della Corsica – all’interno della Repubblica chiaramente non può rinnegare il succo del suo discorso, che è quello dell’unità della Francia e della francesità -, dall’altro, sta tentando di sedurre una  schiera un po’ intollerante degli elettori corsi (diciamo indipendentista, ma non ci rappresenta) che già non tollera i francesi, figuriamoci i migranti.
Tra l’altro in campagna elettorale si è parlato di cose di cui le regioni non hanno competenza: questa è stata la grande ipocrisia del Fronte Nazionale, il quale ha provato a farsi eleggere con argomenti che non gli competevano. Sì, può essere un banco di prova per il 2017: Marine Le Pen potrebbe anche passare al primo turno, ma al secondo avrà poche speranze. Come è stato col padre nel 2002: alla fine Chirac ha preso l’80% dei voti.

Va bene, ma il Front National ha comunque cercato di ritagliarsi un abito diverso: lo dimostra anche la rottura di Marine Le Pen col padre, al di là delle posizioni personali. Certo, ci sono questioni ancora poco chiare – quella, per esempio, riguardante la questione islamica -, ma, tutto sommato, ha assunto una consapevolezza politica davvero peculiare. Marine Le Pen ragiona politicamente, si chiede cosa sia importante fare oggi. Qualcuno può anche accusarla di razzismo, ma sono questioni infondate e che possono passare in secondo piano. Noi notiamo la differenza tra lei e Salvini: ad avercela una Marine Le Pen! Certo, voi siete corsi, e dunque in un certo senso, “antifrancesi”, almeno politicamente…

Esatto. Ma io non me lo auguro che arrivi una Marine Le Pen in Italia, per un motivo: ci sono abbastanza rivendicazioni di chiusura. Poi in Italia ci sono tante Marine, pensa a Giorgia Meloni.

Per carità, non è col presepe e con i marò che si fa politica…

Beh, questo potrebbe essere dovuto al fatto che, in assenza di uno Stato monolitico, quale italianità può rivendicare una Marine Le Pen italiana? Non può dare una risposta univoca come può dare in Francia.

Non sono d’accordo: Alleanza Nazionale oscillava tra il 10 e il 16%, Fratelli d’Italia ha il 2-3%. Significa che non c’è progettualità politica.

Certo… Marine Le Pen è formata politicamente, non è stupida, anche se, da corso, non posso accettare alcune posizioni. E’ riuscita a svecchiare il partito. Effettivamente parlare di xenofobia a proposito del Front National è sbagliato: sono per una esclusività francese all’interno della Francia e per la difesa di valori francesi. Il punto è che questi valori con l’aumentare dell’islam radicale si sono trasformati in valori cristiani, cosa quasi inesistente fino a qualche anno fa. E’ come se di colpo ci fosse stato il bisogno di difendere la cristianità della Francia e dei suoi valori – che sembravano acquisiti -  e questo negli ultimi 4-5 anni.

La parabola è la stessa in Italia. Più che valori cristiani, si rivendicano i valori occidentali. Il punto è: quali? Quelli della Coca Cola e del McDonald’s? La Lega Nord poi è un caso paradossale. Ma ora ritorniamo a parlare di Corsica e veniamo al 1768, data importante per la storia corsa.

Esatto, nel 1768 francesi e genovesi stipulavano il Trattato di Versailles con cui Genova cedeva la Corsica alla Francia. In realtà il Trattato prevedeva che Genova potesse riprendersi la Corsica. Alla base della situazione vi erano dei debiti da pagare: la Francia si sarebbe presa la Corsica per un periodo di tempo limitato per poi cederla di nuovo. Genova cadde nei guai più neri, non poté riprendersela, anche se andava meglio a livello finanziario, e la Corsica rimase francese. I Francesi hanno dovuto fare una guerra per conquistare la Corsica, ammazzando anche tanta gente. Hanno perso più uomini durante la guerra in Corsica che in Algeria due secoli dopo – questo ha rilevato in un importante discorso Michel Rocard, noto politico francese di tradizione socialista, uno dei più lucidi uomini francesi, che ha fortemente contribuito allo Statuto di autonomia della Corsica.
Lo Stato Francese negli anni ’70 stava pensando ad uno sviluppo della regione, ma non per mano dei corsi. Lo fece distribuendo a pioggia molti soldi, da cui le accuse infondate di assistenzialismo. Lo fece anche nell’ottica di appropriarsela ancora di più, dopo che negli anni ‘60 si era parlato di un centro di sperimentazione nucleare (poi trasferito nei Caraibi) che causò innumerevoli proteste da parte dei corsi. Quando la Francia diede la sua dipendenza all’Algeria, un milione di algerini, cioè francesi residenti in Algeria, ritornarono in patria (molti di più rispetto alla popolazione corsa), e furono mandati in Corsica. In quel periodo si stava sperimentando un progetto di bonifica delle terre agricole della Corsica (La SOMIVAC:Société d’aménagement pour la mise en valeur de la Corse) le quali dovevano essere destinate ai contadini corsi, ed invece furono destinate ai francesi di ritorno dall’Algeria: parliamo del 90% circa delle terre. Ciò creò un malcontento generale, anche perché i piedi neri, cioè coloro che avevano metaforicamente un piede in Africa, iniziarono la monocoltura dell’uva, rovinando la viticoltura corsa, la quale dovette riprendersi dopo parecchi anni.
Non è solo l’unico caso: all’inizio degli anni ’70 la Montedison riversava con l’autorizzazione dello Stato Italiano degli scarti industriali nel Canale di Corsica. Dicevano che tali rifiuti sarebbero dovuti rimanere in profondità, mentre in realtà i corsi se li ritrovavano sulle proprie spiagge. Ciò si concluse con un attentato alla nave che riversava i fanghi rossi in mare. Fu uno dei primi atti violenti. E’ chiaro che questa situazione portò direttamente ad Aléria (nel 1975), episodio che si concluse con l’intervento delle forze di polizia francese.

Quindi si può dire che il nazionalismo corso moderno nasce negli anni ’70, con questi atti rivoluzionari violenti?

Esatto. I fatti di Aléria si conclusero con un ferito grave tra la popolazione civile e due morti tra i militari.

Quale fu la conseguenza a livello politico?

In realtà nessuna, nel senso che la Regione Corsica (che allora era un dipartimento, in quanto faceva parte della Regione di Marsiglia), non ha mai conosciuto rivendicazioni di questo tipo, è sempre stata legata alla Francia. Le autorità corse sono monopolizzate da famiglie antiche che hanno sempre creato rapporti di clientela, dominando la politica locale attraverso un doppio gioco. Il trasformismo in Corsica è una sorta di tradizione secolare.

Si vede che siete italiani…

Beh, la nostra italianità la rivendichiamo con quello che troviamo… dicevo: facevano discorsi in Corsica, che potevano riguardare promesse varie al loro elettorato, mentre a Parigi si muovevano a seconda di ciò che faceva loro comodo. Sto parlando delle stesse famiglie: i Roccaserra, i Giacobbi, e così via. Sono i nipotini dei nipotini dei nipotini… si va avanti così sin dall’annessione alla Francia. Anzi, ancora prima, giacché i francesi si basarono su strutture di potere preesistenti, finanziando famiglie e gruppi a sostegno della propria azione politica.
Parlo anche dei Bonaparte, i quali, da indipendentisti quali erano, finirono per appoggiare l’autorità francese.

Che ne pensate di Napoleone?

E’ un personaggio importante che si sta tentando di rivalutare. Anche Talamoni mi diceva tempo fa che il dovere della Corsica sarà quello di inserire Napoleone nel paolismo, bisognerà farlo ridiventare corso. Sostanzialmente viene celebrato ad Ajaccio (credo che non ci sia una via ad Ajaccio che non abbia un rapporto con Napoleone), nel resto della Corsica c’è nei suoi confronti un’indifferenza generale. Sulla piazza centrale di Bastia c’è una statua di marmo, che originariamente venne pensata per restare in Italia, che lo raffigura da imperatore: è l’unica statua di Napoleone in Corsica al di fuori di Ajaccio.

Torniamo alla storia più recente. Il 2013 è un anno importante per la politica corsa: il presidente dell’Assemblea Corsa, Dominique Bucchini, grazie al lavoro della Commissione per lo sviluppo sociale e culturale, redige un documento scritto in corso ed in francese. Si intitola “Proposition de statut pour la coofficialité et la revitalisation de la langue corse”. Fu un atto di sfida molto importante, anche se le richieste avanzate da tale rapporto furono subito ritenute anticostituzionali dalla Francia. Quindi, dal punto di vista pratico, le conseguenze furono nulle…

Sì, praticamente questo documento fu votato quasi all’unanimità dall’Assemblea Corsa. Una vera e propria convergenza di idee. E’ ovviamente anticostituzionale, perché per la Francia esiste solo il francese. Ma l’insegnamento del corso è già realtà, sebbene non sia obbligatorio. La Francia ha chiuso le porte, com’è suo solito fare. L’unica apertura si è verificata sulla nuova collettività territoriale, che è il motivo per cui voteremo fra due anni. In Corsica non è però cambiato nulla: l’Assemblea Corsa non ha il potere di prendere nessuna decisione di questo genere senza l’avallo del governo francese.

Ma aver preso il 35% alle recenti elezioni vorrà pur significare qualcosa. L’indipendentismo resta la vostra linea politica. Ma in concreto come si configurerebbe il vostro progetto? Si tratta di un “indipendentismo culturale” o di una vera e propria separazione dalla Francia con la conseguente formazione di uno stato sovrano? Se sì, quali sono i margini di possibilità della vostra azione?

C’è da dire intanto che l’unica differenza tra i due movimenti (indipendentistae nazionalista sono distinzioni recenti) era il sostegno alla lotta armata, che ora non esiste più. Corsica libera era la faccia pubblica del Fronte di Liberazione Nazionale della Corsica, Femu a Corsica se ne era staccato, manifestando un atteggiamento di opposizione nei confronti della lotta armata. Un anno fa il Fronte ha deciso di deporre le armi e quindi questa differenza ideologica è caduta. Durante le amministrative di Bastia Femu a Corsica si è rifiutata di allearsi al secondo turno con Corsica Libera e ha deciso di stringere un’alleanza un po’ strana con un pezzo di destra e un pezzo di sinistra, più che altro per far cadere la famiglia che gestiva Bastia da più di un secolo. Venendo al punto: i corsi hanno giustamente paura della parola indipendenza. C’è stata la necessità di far sparire proprio questo termine e di insistere sull’idea di una identità corsa, cioè del popolo corso. Le differenze tra i due partiti sono cadute, per questo è riuscita l’alleanza.

Quindi si tratterebbe di rivendicare una sorta di identità culturale e politica pur restando all’interno della Francia: una una regione a statuto speciale con concessioni particolari.

Per ora.

In sintesi, ciò potrebbe costituire un preludio all’indipendenza vera e propria.
Ora, uno Stato si costruisce sull’identità che un popolo sente propria: la vostra tradizione è, se non italiana, quantomeno italica. La storia non si fa con i “se” e con i “ma”, però è molto probabile che, se non ci fosse stato il Trattato di Versailles, la Corsica oggi sarebbe la ventunesima regione d’Italia. Però se uno vuole ragionare sull’identità del popolo corso non può fare a meno di ragionare sull’identità del popolo italiano e sulla storia italiana. Tra Corsica e Italia c’è un filo strettissimo. Ma c’è anche una grossa parte di popolazione che non desidera l’indipendenza né l’avvicinamento alla tradizione italiana. Come si mettono le carte in tavola?

Certo, ma bisognerà far capire che votare per i nazionalisti non significa, almeno per ora, rifiutare l’appartenenza alla Francia. Io non credo che oggi ci sia uno stretto legame con la Francia, principalmente per una motivazione economica: il disimpegno nei confronti della Corsica è evidente. Molte persone che hanno votato per Femu a Corsica non hanno necessariamente la volontà di diventare indipendenti. Il discorso dell’indipendenza arriverà a suo tempo, quando finalmente la Corsica avrà la possibilità di gestire alcuni aspetti della sua economia e della sua politica.

Ti rifaccio la domanda: vi sentite italiani o no? Nel senso di appartenenza spirituale, mettiamola così.

Per quanto riguarda l’italianità, no.

E allora le frasi di Pasquale Paoli che circolano sulla rete?

Vorrei tanto vedere la fonte originale di queste frasi. I corsi non si sentono italiani, ma sentono una vicinanza con l’Italia. Molti corsi – un buon numero, anche se di certo non una percentuale sufficiente ad evocare l’avvicinamento politico tra i due paesi -, sentendo questa vicinanza con l’Italia, e, avendo questa necessità un po’ più estrema di separarsi dalla Francia, si sentirebbero italiani. Io sono parte di questi, mi sento molto italiano più della maggior parte dei corsi e, forse, della maggior parte degli italiani. Però bisogna sempre diffidare da queste frasi di Pasquale Paoli. La frase che si trova sulla sua pagina italiana di Wikipedia in Corsica non la conosce nessuno, non è mai pervenuta. L’ho sentita sempre pronunciata da italiani. Molti corsi pensano che l’Italia (o Genova) avesse storicamente lo stesso ruolo della Francia, quello, cioè, di un colonizzatore. Pensano che fosse stata imposta una lingua che non era la propria e una cultura che non era propria, il che non è storicamente vero, perché la Corsica faceva parte di quel grande sistema italico ed era molto più integrata rispetto ad altre regioni italiane.
Bisogna sempre diffidare intanto dagli italiani che parlano di Corsica. Spesso il loro discorso è inquinato da queste fonti che sono utilissime, ma che vanno lette con la dovuta cautela, perché caricano eccessivamente l’italianità della Corsica.
Le frasi di Pasquale Paoli possono essere verissime, ma vanno riposte nel giusto contesto: egli parlava in assenza di uno stato italiano.

Beh, una volta che ci si definisca italiani “di spirito”, il passo per sentirci italiani anche politicamente è molto breve. La Patria è una questione spirituale.

Ma indubbiamente Paoli si sentiva più italiano che francese: è probabile che si sentisse italiano. Studiò a Napoli ed era comunque legato a Genova. Si mise a capo di una coalizione di persone che capirono che forse la cosa più interessante per la Corsica era restare indipendenti piuttosto che restare legati ad uno stato moribondo come Genova.

Com’è vista la spinta irredentista degli italiani in Corsica?

Intanto i corsi all’epoca non avevano nessuno interesse a stare con l’Italia: questo lo sostenevano solo i fascisti. Ad alcuni era proprio indifferente la questione. Dall’altra parte ci fu una propaganda francese per affermare lafrancesità dei corsi. Bisognava destreggiarsi tra questi due aspetti.

Da italiano – permettimi l’affermazione – mi viene da giustificare l’iniziativa dei fascisti all’epoca, date le strette radici che legano l’Italia alla Corsica. Mi viene da pensare che il tentativo di recuperare – ma posso anche sbagliarmi – l’identità corsa sia dovuto al cattivo rapporto che i corsi hanno con i francesi. Il discorso potrebbe suonare in questi termini: dal momento che non ci sentiamo francesi allora è opportuno rivendicare una nostra peculiare identità. Se la Calabria – che è la mia regione – fosse costretta a vivere sotto Inghilterra, i calabresi inizierebbero molto probabilmente a rivendicare la loro calabresità rispetto – credo – alla loro italianità.
Insomma, gli italiani che pensano che la Corsica sia italiana, non sono sono poi da biasimare.

Sì, ma non solo gli italiani, anche i corsi che la pensano in questi termini. Sarebbe stato del tutto naturale che la Corsica fosse italiana.

Garibaldi, più che andare nelle Americhe, doveva andare in Corsica.

Sì, doveva fermarsi in Corsica…

Confessione! Bene, veniamo, per concludere, a Corsica Oggi, che è il sito di approfondimento per il quale tu collabori e che – in maniera molto diplomatica – non ha nessuno scopo politico, almeno così si legge sul sito.

E’ un progetto molto “democristiano”, di centro, che cerca di conciliare un po’ tutti. Nasce da un’idea di Giorgio Cantoni, italiano di Milano, che dal nulla si è interessato alla questione, non influenzato da nessuna ideologia politica. Ha visto questa italianità latente –  molti corsi lo dicono chiaramente che con gli italiani si potrebbe far qualcosa. Riteniamo che, prima di parlare di italianità della Corsica, sia necessario riallacciare i rapporti culturali: bisogna studiare l’italiano, l’Italia ci è vicina. Anche solo economicamente è controproducente pensare di stare lontano da essa ed essere legati a Marsiglia che, invece, è molto più distante. Più ci saranno italiani che si interesseranno alla Corsica, più ci saranno corsi che si interesseranno all’Italia, più il rapporto potrà farsi più stretto. Certo, dopo più di due secoli di dominazione francese, non ha senso dire che la Corsica è italiana. Ma dal punto di vista culturale si può fare molto. Si può anche inserire l’italiano come supporto fondamentale della lingua corsa, e questo è uno degli obiettivi diCorsica Oggi.

Bene, direi che abbiamo detto molto. Anzi, hai detto molto.

E così, dopo due ore di piacevole conversazione, si conclude la nostra intervista. Conoscere la Corsica a questo punto dovrebbe essere il primo passo per capire la sua italianità. Intanto, sul fronte politico, staremo a vedere cosa i nazionalisti riusciranno ad ottenere.