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L’ottimismo di un filosofo pessimista

di Franca Bartolini - 15/09/2006

“L'arte di essere felici" di Arthur Schopenhauer recentemente pubblicata da Adelphi
 


Dopo “L’arte di conoscere se stessi”, l’editore Adelphi pubblica, sempre di Arthur Schopenhauer, “L’arte di essere felici” (Piccola Biblioteca, gennaio 2006, a cura di Franco Volpi e con la traduzione di Giovanni Gurisatti). Nello sterminato fascio di carte che costituisce gli scritti inediti di Schopenhauer, si cela un abbozzo di eudemonologia o eudemonica (dottrina della felicità): il filosofo di Danzica, nel suo periodo berlinese, raccolse una serie di appunti sull’argomento, cioè 50 massime, o regole di vita, che insegnano a vivere felici. L’edizione dell’Adelphi è una ricostruzione di questo materiale sparso e si basa essenzialmente sul testo degli scritti postumi stabilito da Arthur Hubscher e già pubblicato a Francoforte fra il 1966 e il 1975. Sembra un paradosso che il maestro del pessimismo ci parli della felicità e infatti più che indicarci le vie per conquistarla, Schopenhauer ci spiega come vivere meno infelici possibile. L’eudemonica si divide in due parti: massime per il nostro comportamento verso noi stessi e massime per il nostro comportamento verso gli altri. La prima regola indicata nel libro è non cercare la felicità, che è illusoria, ma piuttosto sfuggire i dolori, che sono evidenti e reali; è anche importante evitare l’invidia, cioè non tormentarsi perché qualcuno è più felice di noi. Già nella terza regola, viene però proposto il tema fondamentale dell’opera: essere felici dipende soprattutto dalla conoscenza di sè stessi. La scontentezza di ciò che siamo ci rende infelici: spesso desideriamo troppo, oppure vogliamo ciò che il nostro carattere non ci farà mai ottenere. Chi conosce le proprie reali forze e le sue buone qualità, ma anche i suoi limiti e le sue debolezze, non pretende ciò che gli è impossibile e non è vittima delle conseguenti delusioni. In ogni individuo - prosegue Schopenhauer - la quantità di dolore a lui essenziale è stabilita dalla sua natura; gioia e malinconia sono quindi determinate più dalla nostra interiorità, che non dalle circostanze esterne, come dimostra il fatto che ci sono altrettante persone liete tra i poveri come tra i ricchi. La pazienza, la calma, la moderazione e la riflessione sono doti che aiutano a vivere bene. Non bisogna autopunirsi per gli errori del passato ed essere ottimisti circa il futuro; quello che conta veramente è il presente. Tenere a freno la fantasia evita di prefigurarsi dei mali futuri; la fantasia è ingannevole, i concetti invece sono chiari e affidabili, per cui è bene agire secondo ragione. Quanto ai nostri rapporti con gli altri, secondo il filosofo, bisogna limitare la propria cerchia di amicizie e parlare poco con gli altri, perché quando si confida qualcosa a qualcuno, presto la notizia diventerà di pubblico dominio. Nelle varie età della vita i nostri problemi cambiano: da giovani cerchiamo la felicità, convinti che esista, e quindi subiamo le frustrazioni; nella seconda metà della vita cerchiamo la quiete e la maggiore assenza di dolori e questo stato è notevolmente migliore. Non è vero che la vecchiaia è un’età infelice: i bisogni principali della terza età sono la comodità e la sicurezza, si cercano il denaro e i piaceri della tavola, si placa il desiderio delle donne e dei viaggi, ma emerge il piacere di insegnare e di parlare. Per i 9 decimi la felicità, però, dipende dalla salute, mentre dolore e noia sono nemici della felicità. Alla noia bisogna opporre l’ingegno, al dolore la serenità. In conclusione Schopenhauer ribadisce che la personalità è la nostra felicità più alta: ciò che noi siamo è immutabile, le realtà esterne sono contingenti e mutevoli. Quando siamo noi ad essere ammalati, anche la realtà esterna diventa penosa, come un bel paesaggio con il brutto tempo. Schopenhauer mutua questo concetto da Goethe (Divano occidentale-orientale, VIII, 7, Libro di Suleika). Altre fonti di ispirazione di questa opera sono i classici greci e latini (come Aristotele, Epicuro, Orazio, Seneca, Lucrezio), i grandi moralisti (Rabelais), la sapienza indiana. In particolare nella genesi dell’eudemonologia, sarebbe stata essenziale la scoperta dell’ “Oràculo manual y arte de prudencia” del gesuita spagnolo Baltasar Graciàn, maestro del concettismo; avendo studiato lo spagnolo, Schopenhauer infatti tradusse in tedesco 50 massime dell’Oraculo. Da Gracian il filosofo trasse la lezione fondamentale, quella di un pessimismo senza illusioni, su cui costruire tuttavia una saggezza di vita, le cui regole ci siano da orientamento nel tempestoso mare dell’umana precarietà.