Il destino dell’Europa è già segnato
di Mauro Indelicato - 27/04/2016
Fonte: L'intellettuale dissidente
C’è chi ancora parla di ‘prime fessure’ che iniziano ad aprirsi nell’architrave del progetto dell’Unione Europea, in realtà quanto sta accadendo negli ultimi anni appare come una vera e propria voragine che nonostante i tentativi di Bruxelles (e di Washington) di rattoppo e contenimento, appare sempre più imponente. Ogni qualvolta una votazione od un referendum colpisce con sonori schiaffi l’Europa e le sue sempre meno rappresentative istituzioni, si tende a parlare di ‘primi segnali di preoccupazione’ oppure di ‘populismi alimentati dalla crisi’, con conseguente promessa di ‘attuare tutto il possibile’ per rimettere le istituzioni comunitarie nuovamente al fianco dei cittadini, con la retorica mediatica pronta ad intervenire in soccorso di burocrati ed europeisti ‘dal lato giusto della storia’.
L’Unione Europea inizia ad essere mal digerita dagli europei già almeno da undici anni; nel 2005 in realtà, non si è aperta una piccola maglia all’interno dell’ordine europeista, ma è accaduto un vero cataclisma: Francia e Paesi Bassi, due Stati fondatori, hanno bocciato sonoramente in due rispettivi referendum la ‘Costituzione Europea’, firmata con molta enfasi e con una copertura mediatica degna di un’Olimpiade appena 12 mesi prima a Roma. E’ apparso chiaro in quel caso che le popolazioni del vecchio continente, a tre anni appena dall’introduzione dell’Euro, hanno iniziato a vedere con non poca preoccupazione il processo di ulteriore integrazione delle istituzioni comunitarie; non solo la moneta unica, ma anche le preoccupazioni legate alla funzione stessa dell’UE, al suo ruolo all’interno degli stati membri ed all’esterno, con negli occhi ancora le magre figure rimediate in ambito internazionale sul caso dell’avventura americana in Iraq del 2003. A suo tempo, il dibattito successivo al fallimento della Costituzione Europea è stato volutamente legato a come poter ‘rispondere’ a delle ‘semplici esigenze’ richieste dai cittadini, cercando di far apparire l’euroscetticismo come ‘anacronistico’ ed al contempo incanalando le discussioni su come poter ‘riformare l’Europa’; l’obiettivo di presentare quei due referendum francesi ed olandesi come meri incidenti di percorso, è riuscito per diversi anni anche perché i problemi legati al terrorismo (proprio nell’estate 2005 si sono verificati gli attentati nella Tube di Londra) e lo scoppio della crisi economica, hanno preso il sopravvento ed i dibattiti in merito l’Europa sono di fatto andati in soffitta.
Ma proprio la crisi, la speculazione sui debiti sovrani, il repentino rovesciamento di governo nei paesi più esposti, hanno progressivamente allargato quelle prime fessure interne all’architrave europea; se tra il 2012 ed il 2013 parlare di uscita dall’Euro non è più roba da ‘politicamente scorretto’ ma punto focale di diverse formazioni politiche in tutto il continente, nel 2014 nelle elezioni parlamentari europee i deputati un tempo etichettati come ‘semplici anacronistici euroscettici’ sono più che raddoppiati e la valanga è diventata molto più estesa all’indomani dell’esito del referendum greco del luglio 2015 (anche se poi disatteso dal governo di Atene) ed adesso si assiste ad altri ed importanti smottamenti. L’avanzata dei movimenti euroscettici non è più solo nei sondaggi, le presidenziali di domenica in Austria lo hanno dimostrato ed ora si guarda con molto interesse al referendum britannico sull’uscita di Londra dall’UE; la ‘Brexit’ è molto più che una semplice ipotesi: il semplice fatto che il prossimo 23 giugno verrà posta in essere la consultazione, è già un qualcosa di significativo e che dimostra le spinte alla chiusura dell’esperienza comunitaria per una fetta sempre più crescente dell’opinione pubblica del vecchio continente. Il fatto stesso che Barack Obama, nel corso del suo ultimo viaggio a Londra, abbia pubblicamente ‘pregato’ i britannici di rimanere nell’Unione Europea, fa sì che dalla Casa Bianca arrivi un implicito riconoscimento dell’importanza della tornata referendaria e che nessuno dà per scontata la vittoria di chi vuol rimanere nell’orbita di Bruxelles; anche le azioni messe in atto dalla stessa commissione europea, benevola nel concedere in una trattativa con il premier Cameron uno ‘status’ speciale a Londra nel caso di permanenza all’interno dell’UE, mostrano una crescente preoccupazione per l’eventualità della Brexit.
Mai nessun paese, dal 1957 ad oggi, è uscito dalla comunità europea, la Gran Bretagna sarebbe il primo; un precedente importante, per uno Stato che anche se non figura tra i fondatori e non ha mai adottato l’Euro, risulta indubbiamente essere tra quelli che dona più ‘prestigio’ all’UE ed è quindi tra quelli di maggior peso politico ed economico. Non solo quindi il timore per un effetto domino, ma anche per l’indebolimento del progetto comunitario nella sua interezza ed una presa di coscienza maggiore tanto dell’opinione pubblica europea quanti di molti partiti anti UE. Il fatto che oggi si parli di Brexit, indica come la volontà popolare in tutto il continente è ben lontana dalla retorica mandata avanti dalle istituzioni comunitarie e dai suoi 28 governi; più si andrà avanti e più sarà impossibile nascondere il fatto che i 60 anni di storia dell’Europa pseudo unita sono fallimentari: politicamente si è creata un’istituzione ibrida che non è né federazione e né confederazione, la quale assolve alla mera funzione di imporre il più becero capitalismo liberale, a danno del principio di sovranità ed autodeterminazione dei popoli, con economie sempre più distrutte e politiche sociali sempre più ridotte all’osso. Di questo e di tanto altro ancora, i popoli europei ne hanno ormai preso cognizione; l’antieuropeismo non è più fenomeno di nicchia e populistico/nazionalistico, alimentato dalla crisi: esso piuttosto nel corso di questi undici anni si è trasformato in un movimento trasversale e sempre più crescente, in cui si rivendicano principi inderogabili messi in discussione dall’ordine-disordine europeo. Il prossimo 23 giugno in Gran Bretagna, in occasione del referendum sulla Brexit, non si deciderà se l’Unione Europea si sfalderà o meno, ma solo la velocità con la quale essa andrà verso l’inevitabile fallimento ed archiviazione nei libri di storia: se quel giorno Londra decide di uscire, tale processo subirà una brusca accelerazione, diversamente la consultazione sarà usata comunque come base ed esempio da un elettorato sempre più diffidente verso Bruxelles.