Petraeus ottenne un ruolo attivo nel comando delle truppe durante l’ultima guerra in Iraq in particolare nelle zone di Badgad (dove partecipò all’offensiva per la conquista della città) e a Mossul, che pacifico con le sue truppe in breve tempo. La scalata di Petraeus ai vertici militari americani è quasi sbalorditiva; in breve tempo viene nominato da George W. Bush a comandante Comandante in Capo delle Forze Armate Statunitensi nel paese arabo e nello stesso anno viene inserito nella lista dei cento leader più influenti stilata dalla rivista Time. L’ascesa di Petraeus non terminò con la fine del governo Bush, ma continuò sotto l’amministrazione Obama che nel 2011 lo nominò a Direttore della Cia, incaricò che ricoprì fino al settembre 2012 quando fu costretto alle dimissioni da uno scandalo di natura sessuale (intrattenne una relazione extra matrimoniale con la sua biografa).
Nell’ultimo anno venne condannato per aver rivelato documenti coperti dal segreto alla sua biografa e solo per decisione dell’attuale comandante in capo delle forze armate non è stato rimosso dalla lista di pensionati dell’esercito (cosa che era stata chiesta dall’accusa e contemplata in casi come questi). Petraeus era considerato in carriera come uno dei militari più “intellettuali” presenti all’interno dell’esercito statunitense, qualcuno in grado di ottenere risultati malgrado l’utilizzo di metodi meno duri sulle popolazioni locali.
Il 26 aprile scorso, Petraeus pubblicamente comunicò di sostenere la candidatura di Hilary al The Wall Street Journal. I due si conoscono, hanno lavorato assieme durante il periodo in cui Clinton era Segretario di Stato e Petraeus ricordò alla stampa come Clinton fosse risoluta e durante l’attacco a Bengasi e ad altre zone della Libia, qualità che ritiene fondamentali per il prossimo presidente degli Stati Uniti d’America. Nel gennaio scorso l’ex direttore della Cia era tornato all’onor delle cronache per una sua interessante e controversa teoria su come fermare l’Isis in Siria: armare Al Qaeda. Si, l’ex capo dei servizi segreti che propone apertamente di risolvere la situazione armando l’associazione terroristica che meno di 15 anni fa ha attaccato per la prima volta il territorio americano scatenando quell’ondata di guerre che ancora oggi continua.
La stessa Al Qaeda che George W. Bush si poropose di fermare, che Barack Obama ha dichiarato d’aver smantellato dopo l’uccisione dei capi. Chiaro, Al Qaeda è nemica non solo dell’Isis, ma anche di Assad e conseguentemente della Russia che lo sostiene. Armando Al Qaeda prenderebbero due piccioni con una fava, magari non dovendo intervenire direttamente come invece Clinton ha intenzione di fare (la sua politica sulla Siria prevede l’instaurazione di una No Fly Zone, il che vorrebbe dire una vera e propria invasione di soldati americani nel territori siriano). Il punto focale è che Al Qaeda non è solo nemica dei sopracitati, ma anche degli Stati Uniti d’America, e riarmarla vorrebbe dire dare la possibilità a questa organizzazione di poter realmente colpire il territorio americano come ha già fatto in passato. Due sono le considerazioni da fare dopo questo endorsement e rivelano molto su quella che è l’attuale candidata democratica e su chi le sta in torno.
La prima è che Clinton, come hanno rivelato le mail e come sostengono i suoi avversari, gioca a scacchi con il mondo. Clinton è interessata solo al raggiungimento del massimo guadagno in termine di potere ed influenza, ed è disposta a tutto pur di ottenerlo; anche a discapito del consenso del parlamento o dell’opinione pubblica (e qui i suoi interventi in merito alla guerra in Iraq e sulla deregolamentazione del sistema finanziario americano sono emblematici). La seconda, e probabilmente più importante, è che gli strati conservatori della popolazione americana stanno abbandonando il partito repubblicano che negli ultimi quarant’anni è stato il suo referente politico principale. Sempre più figure di spicco del conservatorismo targato Usa stanno salendo sul carro di Clinton spaventate dalla prospettiva di mandare al governo Donald Trump (che sta per raggiungere il numero di delegati necessari per la candidatura automatica).
Allo stesso tempo, però, grosse fasce dell’elettorato democratico non sono molto felici di vedere una persona come Clinton diventare presidente e al momento di scegliere tra lei e Trump si troverebbero indecisi finendo anche per votare per il miliardario newyorkese. Stiamo assistendo a un cambio epocale nelle preferenze di voto, basterà questo per mandare al governo il male minore?