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Epidemie mediatiche

di Miguel Martinez - 20/09/2006

 

La storia delle parole del Papa che avrebbero offeso i musulmani.

Come tutto ciò che avviene nella società dello spettacolo e dell'accelerazione dei tempi, è un fuoco di paglia.

Cioè qualcosa che si esaurisce quasi subito, ma che lascia dietro di sé case bruciate. Tra due mesi, nessuno si ricorderà più dell'episodio. Però rimarrà un vago ricordo che qualcuno - gli arabi? Ahmadinejad? i senegalesi che vendono gli accendini? - voleva distruggere Roma.

E quel ricordo confuso, quella sensazione di paura che genera odio, lascerà il suo segno.

Secondo, tutto l'episodio è una creazione puramente mediatica.

Ratzinger ha tenuto un discorso altamente filosofico, in un ambiente chiuso e usando riferimenti accademici noti a pochissimi. 

 Invito tutti a leggere il testo originale, ma mi permetto una banalizzazione estrema e discutibile dei concetti che ha espresso.

Dice Benedetto XVI, il cattolicesimo è superiore al protestantesimo e all'islam, perché concilia perfettamente fede e ragione. Ne consegue una conclusione importante: il cattolicesimo non deve limitarsi a innestare il Vangelo sulle culture autoctone, ma deve portare con sé questa conciliazione, che deve molto ai greci. E questo vuol dire che il cattolicesimo avrà sempre un'impronta culturale europea.

E' un discorso perfettamente legittimo, anche per chi, come me, non lo condivide. Gli unici che si dovrebbero arrabbiare sono i cattolici indigenisti di Africa e America Latina.

La giornalista cattolica, Hilary White, ha analizzato la maniera in cui i media hanno seguito il discorso che il Papa fece il 12 settembre a Ratisbona.

Né il giorno stesso, né il giorno dopo, i media hanno dato importanza al discorso, peraltro perfettamente incomprensibile al giornalista medio.

Il Catholic World Report del 13 settembre aveva come principale titolo, "Il Papa trascorre un tranquillo fine settimana a casa assieme al fratello". Il New York Times parlava di un "attacco al laicismo, con una nota sul jihad".

Il 14 settembre, la BBC, seguitissima in tutto l'ex-impero britannico, ha improvvisamente lanciato con grande enfasi una notizia assolutamente irrilevante: la polizia indiana, nel Kashmir, che ha fatto migliaia di morti negli ultimi anni, avrebbe sequestrato alcuni sconosciuti giornali che avrebbero criticato il discorso del Papa, con il titolo esplicito: "il discorso del Papa suscita l'ira islamica".

Questa notizia viene trasmessa in tutto il mondo, non solo in inglese, ma anche in arabo, turco, farsi, urdu e malesiano.

Poche ore dopo, il parlamento pachistano, che subisce senza particolari ribellioni il governo di un dittatore golpista legato agli interessi statunitensi, si sveglia, esigendo le scuse del Papa. E questa diventa la prima notizia reale.

Le epidemie mediatiche di questo genere operano secondo tre leggi ferree, che è bene memorizzare.

Devono essere gradite ai dominanti.

Devono essere utili a molti piccoli interessi.

Devono essere facilmente comprensibili alle masse.

La cosa più gradita ai dominanti è, ovviamente, vedere i dominati che si scannano tra di loro.

In Iraq, il controllo statunitense è stato messo seriamente a rischio l'unica volta che sciiti e sunniti hanno smesso, troppo brevemente, di litigare tra di loro.

In Libano, i filosauditi e i filoamericani temono l'alleanza tra Hezbollah e i cristiani e laici di Michel Aoun.

In Israele/Palestina, cattolici, ortodossi e protestanti hanno appena condannato il cristiano-sionismo, cioè il culto diffuso tra gli evangelici americani, secondo cui l'appoggio militare a Israele giocherebbe un ruolo decisivo nel ritorno di Gesù in terra.

Quindi, in linea di massima, ogni cosa che esasperi lo scontro tra "cristiani" e "musulmani" è gradita ai dominanti (la cosa ha qualche eccezione quando rischia di avere ricadute in Occidente).

Ma le epidemie mediatiche, per attecchire, devono fare comodo a molti, per le ragioni più svariate.

Prendiamo il caso della Lega Nord, che ha cercato di far passare una mozione di "solidarietà con il Papa" in senato (accantonata grazie al voto di Andreotti, personaggio discutibile ma indubbiamente saggio). Vivendo in Italia, capiamo benissimo che ci hanno provato per fare un dispetto a Prodi, o per farsi vedere più agguerriti di Forza Italia. Ma se la mozione fosse passata, cosa avrebbero potuto pensare i cittadini, che so, del Kuwait? L'Italia intera condivide l'insulto all'Islam?

In Turchia, la "suprema autorità islamica" ha chiesto l'arresto di Benedetto XVI se dovesse mettere piede nel paese. Notizia scioccante. Ma chi è questa "autorità"? E' il direttore della Diyanet, che è l'apparato con cui l'oligarchia militare cerca - per fortuna in vano - di imbrigliare l'Islam turco. E quella oligarchia, composta sin dalle origini da atei che hanno messo generazioni intere di islamisti in carcere, collabora strettamente da quasi mezzo secolo con Israele e ha costruito un impero economico immenso grazie alla NATO. Insomma, sono i migliori amici dell'"Occidente".

Semplicemente, in questo momento, l'oligarchia, già costretta a scendere a compromessi, teme di perdere tutto nel caso in cui la Turchia fosse costretta a liberalizzarsi entrando in Europa. Ed ecco non solo l'attacco al Papa, ma gli improbabili processi agli scrittori che parlano del genocidio armeno: i turchi sanno benissimo che si tratta di un pretesto per rendere difficile l'adeguamento al diritto europeo.

Altrove, gli attacchi più forti sono venuti da chi è stato complice della recente aggressione israeliana al Libano, o comunque non ha alzato un dito. Dagli ambienti wahhabiti (che attraverso l'alleanza con gli USA cercano di controllare il Libano) al re del Marocco. Per non parlare dei loro emissari e agenti in Europa.

Oppure dalla tragicomica dirigenza di al-Fatah in Palestina, un movimento nato laico e di sinistra, che sta cercando di riconquistare i propri corrotti privilegi, riprendendo il ruolo di controllore dei palestinesi per conto di Israele e degli Stati Uniti.

Per tutta questa gente, il discorso del Papa rappresenta una scusa straordinaria per non sembrare i venduti che sono, scavalcando i movimenti popolari e islamici.

La controprova sta nel fatto che i primi a cercare una riconciliazione sono stati proprio i "nemici dell'Occidente": il presidente dell'Iran, Hamas, Hezbollah, le Corti Islamiche somale.

Il terzo presupposto perché si diffonda un'epidemia mediatica è che affermazioni come "il Papa insulta l'Islam", oppure "i musulmani dichiarano guerra al Papa", per quanto infantili, sono comprensibili più o meno a chiunque. Qui da noi la grande maggioranza della popolazione, agnostici e peccatori gaudenti compresi, è terrorizzata dalla bufala che "i musulmani vogliono toglierci il crocifisso dalle scuole". E quindi è naturale che una maggioranza più o meno uguale della popolazione dei paesi islamici sia pronta a reagire "perché il Papa ha insultato la nostra religione".

Perciò i fotografi troveranno sempre qualche pittoresco barbuto pronto a bruciare in effige il Papa.

David Warren, commentatore canadese, ha scritto che la BBC, manipolando l'evento, ha fatto un "piccolo dispetto [having a little mischief]. Il tipo di dispetto che probabilmente finirà con il massacro di preti cattolici e fedeli in tutto il mondo islamico".

Da ora in poi, aggiunge, nessuno si chiederà più che cosa abbia detto davvero il Papa. "I giornalisti parleranno solo dell'ira islamica, o se il Vaticano abbia chiesto o no scusa. Questo è il dramma che i media cercheranno di catturare, il dramma del combattimento di galli, perché non ne conoscono di migliori".

Per fortuna, la violenza è stata minima: nel continente islamico, ci sono state due o tre chiese danneggiate e una suora uccisa in Somalia (anche se non conosciamo il movente), un omicidio condannato subito e senza esitazioni da parte delle Corti Islamiche.