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Ecco perché ero contro Oriana (intervista a Massimo Fini)

di Carlo Passera - 21/09/2006

Massimo Fini, tu sei sempre stato molto critico con l’Oriana Fallaci degli ultimi anni, quella che si ergeva a denunciare il pericolo islamico. In molti sono però convinti che cogliesse un problema reale e molti fatti sembrano darle ragione.
«Secondo me la Fallaci migliore è quella che abbiamo avuto fino alla metà degli anni Settanta, ricordo i suoi straordinari ritratti di personaggi dello spettacolo e della letteratura. Poi è cambiata».
Cosa l’avrebbe fatta cambiare?
«Credo la morte di Alekos Panagulis (l’eroe greco che si battè contro il regime militare dei colonnelli, nda). Lei era stata la sua compagna, per breve tempo ma in modo molto intenso e importante; lui limitava un poco questa “ipertrofia dell’io” alla quale Oriana era soggetta, così alla sua scomparsa lei perse un poco la sindèresi, tanto è vero che già le famose interviste a Khomeyni e a Gheddafi furono tecnicamente sbagliate, emergeva più l’intervistatrice che l’intervistato, la Fallaci interpretava la parte di se stessa, il che in termini giornalistici è errato».
Ma a caratterizzare l’ultima Fallaci sono state, soprattutto, le invettive contro il fondamentalismo islamico. Non si può dire che quest’ultimo non esista e non sia un pericolo avvertito da tutti...
«L’ultima Fallaci, quella che interessa maggiormente l’opinione pubblica, la giudico poco valida perché denuncia, lancia invettive, si basa sull’ipse dixit ma argomenta poco e ragiona anche meno. La rabbia non è un argomento, l’orgoglio neanche; diciamo che non era più la grande giornalista di un tempo, che sapeva coniugare in modo magistrale ragione e passione. Capisco che abbia potuto affascinare i lettori meno raffinati, ma la Fallaci di un tempo sapeva rivolgersi a un pubblico di tutti i tipi».
Non serviva però una Fallaci che lanciasse l’allarme sui pericoli che corre l’Occidente nel confronto-scontro col mondo islamico? Nessun altro intellettuale l’ha fatto con ugual forza.
«Diciamo intanto che la Fallaci non è mai stata un’intellettuale, tanto è vero che quando ha preso posizioni ideologiche ha fallito. Lo fece anche all’epoca della guerra del Vietnam, schierandosi contro gli americani e accodandosi così in modo acritico e scioccamente fazioso alla canea dominante, scrisse pezzi sbagliati dei quali infatti in seguito si pentì.
Erano i tempi di “Nixon boia”, tanto per intenderci. Allo stesso modo ultimamente lei, con il solito intuitaccio molto gradito dal pubblico, offriva ciò che il pubblico stesso voleva sentirsi dire; ma questa non è un’operazione intellettuale, proprio per tali ragioni la Fallaci migliore è quella non ideologica, quella che fa la giornalista. Scriveva benissimo ma non era una donna profonda, “trafficava” con la Storia essendo però incapace di sintesi; infatti come intellettuale non è mai stata presa sul serio da nessuno».
Non sarà stata raffinata intellettuale, ma certamente grande comunicatrice... Passami la metafora: nel momento in cui un palazzo brucia, più che un filosofo che rifletta sulle cause scatenanti le fiamme, serve forse qualcuno che dia l’allarme.
«Lei non dava l’allarme, piuttosto gettava benzina sul fuoco, facendo ulteriormente divampare l’incendio. In questo senso secondo me ha svolto una funzione assolutamente deleteria, era diventata una sorta di Bin Laden al contrario, l’esponente di una sorta di “fondamentalismo occidentale” che cresce in un humus reale, ma è l’esatto pendant dell’estremismo islamico. Intendiamoci: si può anche cercare lo scontro: ma allora non servono gli intellettuali, bastano i soldati».
Ma insisto: il suo grido non ha comunque risvegliato l’Occidente facendogli prendere coscienza di un pericolo?
«Molta gente che appartiene a questo humus si è sentita certamente rappresentata dalle parole della Fallaci, che sono dunque state “liberatorie”. Ma probabilmente anche Mein Kampf è stato liberatorio, pure Hitler lo è stato perché davvero gli ebrei avevano in mano l’economia tedesca, e a sua volta Ahmadinejad lo è quando dice che l’Olocausto non esiste. Ma ciò non toglie che siano posizioni radicalmente sbagliate. Non tutto ciò che è liberatorio è anche utile».
Spieghi così lo straordinario consenso che l’ultima Fallaci ha incontrato un po’ ovunque?
«Sono tutti capaci di essere democratici e tolleranti quando non ci sono occasioni di scontro; il caso Fallaci spiega perché nascano fenomeni di fanatismo come è stato ad esempio il nazismo. Gli uomini si fanno trascinare dalle fazioni e non dalla ragione, se c’è dell’esplosivo basta una scintilla per provocare lo scoppio. Noi non possiamo pensare che tutti i nostri progenitori, italiani e tedeschi, fossero dei criminali: eppure diedero il consenso a fascismi e nazismi. Giocando con le esasperazioni che esistono si arriva ai fondamentalismi; abbiamo quello della Fallaci, abbiamo quello di Bin Laden... Sono dinamiche che portano alle guerre mondiali; qualcuno le vorrà anche far scatenare, il problema è che questi conflitti coinvolgono però anche coloro che non hanno queste intenzioni».
Non esageri mettendo sullo stesso piano la Fallaci...
«...e il nazismo? Mi sono servito dell’abusato paragone hitleriano solo per farmi capire».
No, mi riferivo al fondamentalismo della Fallaci e quello di Bin Laden. Non sono proprio la stessa cosa.
«Il fondamentalismo della Fallaci è certamente solo fatto di parole, ma nasce in un Occidente estremamente aggressivo e che va all’attacco del mondo islamico. Bin Laden, ammesso che esista come tale, non ha buttato giù personalmente le Torri Gemelle, ma ha fomentato il terrorismo con la sua predicazione».
Mi vengono in mente alcuni episodi: le vignette danesi su Maometto, il recente dietrofront di papa Ratzinger dopo le polemiche di questi giorni, la stessa maglietta di Calderoli. Sono tutte testimonianze di un Occidente che non mi sembra particolarmente aggressivo, semmai intimidito. È il mondo islamico a mostrare intolleranza.
«Davvero c’è questo insopportabile eccesso di suscettibilità musulmana, che è intollerabile, per usare un’espressione a sua volta intollerante. Abbiamo a che fare senza dubbio con un mondo privo di ironia ed autoironia, incapace di autocritica. Tra l’altro quello che ha detto Benedetto XVI è assolutamente vero: è fuori discussione che l’Islam si sia imposto a colpi di spada, non è storicamente contestabile in alcun modo. Piuttosto si potrebbe replicare che anche il Cristianesimo ha avuto lo stesso sviluppo, penso ai cattolicissimi spagnoli che hanno compiuto massacri inenarrabili nell’America india e andina, e lo facevano in nome di Dio. Gli stessi missionari si son fatti largo in Africa a seguito dei conquistatori. Comunque, proprio non si può dire che l’Occidente sia timido; forse lo è a parole, ma nient’affatto nei fatti, perché mi risulta che i soldati occidentali siano in molti Paesi musulmani, dall’Iraq all’Afghanistan all’Arabia Saudita, e non accade il contrario. All’attacco è l’Occidente: è nostra tutta la propaganda ideologica in base alla quale i musulmani devono omologarsi e diventare come noi. Ecco perché ho molti sospetti su questi comunicati di Al Qaida che minacciano: “Vogliamo radere al suolo Roma”. Questo non è il desiderio nemmeno dei musulmani più radicali; tutti loro vogliono, piuttosto, rimanere islamici nel loro mondo, anche nei modi che a noi magari non piacciono. Detto in altre parole: non vengono attaccate le Torri Gemelle per convertire l’America all’islamismo, mentre noi abbiamo invaso Afghanistan e Iraq per convertire quei popoli alla democrazia».
Ma come sciogliere il nodo dell’intolleranza islamica e - a tuo giudizio - quello dell’aggressività cristiana occidentale?
«Premessa: il nostro non è un fondamentalismo cristiano, perché nessuno in Occidente è più cristiano e se nel mondo islamico qualcuno pensa questo, semplicemente si sbaglia. Comunque il nodo non si scioglie. C’è il nostro fondamentalismo laico, ideologico ed economico, che si contrappone a quello religioso del mondo islamico. È uno scontro che non terminerà se non sconfiggendo gli estremismi da entrambe le parti, ma la storia dimostra che sarà difficilissimo perché sono molto più facili la rabbia e l’orgoglio, piuttosto del ragionamento. Anche un musulmano ha motivi di rabbia e orgoglio. Abbiamo da una parte una religione monoteista, in questo caso l’islam, dall’altra un sistema liberale come il nostro, ideologicamente totalitario e monoculturale, che pretende che tutti siano democratici, così non essendo più tale esso stesso».
E nasce lo scontro. Oriana Fallaci si sentiva in guerra e s’era arruolata.
«A mio avviso smettendo in tal modo di essere una scrittrice; infatti nei suoi ultimi libri perde anche lo stile che pure era stato la sua grande forza».
Abbiamo prima accennato alla questione delle “scuse” di Ratzinger. Tu condividi la sua retromarcia dopo le polemiche suscitate nel mondo islamico dalle sue parole?
«Non mi permetto di insegnare al papa il suo mestiere, ma comunque non condivido questa retromarcia, perché ciò che ha detto è l’assoluta verità. Islamismo e Cristianesimo si sono sviluppati anche attraverso la spada; anche Gesù Cristo è molto ambiguo, perché dice “porgi l’altra guancia”, ma nel Vangelo secondo Matteo aggiunge: “non crediate che sia venuto sulla terra a portare pace, sono venuto a portare la spada”. Questi profeti sono sempre bivalenti: lo è Maometto, lo è Cristo, così come lo sono Corano e Vangelo. Almeno fino al Cinquecento la Chiesa elaborò teorie sulla guerra giusta, tanto è vero che Erasmo da Rotterdam in uno straordinario passo fa del sarcasmo su questo e spiega: quando mai manca il pretesto per una guerra giusta? Ecco, il problema è che non abbiamo più gli Erasmo, abbiamo le Fallaci».
Tu ritieni che sia condivisibile l’atteggiamento generale della Chiesa cattolica nei confronti dello scontro tra civiltà al quale, comunque lo si voglia giudicare, stiamo assistendo?
«Io penso di sì. A differenza dei tradizionali monoteismi musulmano e cristiano, mi sembra che la Chiesa cattolica di oggi faccia opera di moderazione; purtroppo non ottiene udienza da nessuna parte. Non dalla nostra, perché è inserita in un Occidente totalmente scristianizzato e sul quale non esercita alcuna reale autorità, tanto è vero che quando papa Giovanni Paolo II tuonò contro la guerra in Iraq neanche riuscì a convincere il cattolicissimo Aznar, che pure non aveva alcuna ragione particolare per prendervi parte. Non ha udienza neanche nel mondo islamico, perché quello è rimasto un monoteismo e dunque non vuol ascoltare parole di moderazione. Aggiungiamo però che le religioni sono molto strumentalizzate: lo scontro vero è politico, economico e ideologico, ma dal punto di vista laico».
Le religioni sono dunque “comprimarie”?
«Assolutamente sì».
Anche nel caso dell’Islam, che sembra invece protagonista?
«Diciamo che in Oriente la religione è meno comprimaria, ma là non esiste un papa; c’è un fortissimo sentimento anti-occidentale che passa anche attraverso la religione, per loro una realtà ancora molto importante. Prevale insomma l’ostilità, declinata in senso religioso. Se fossi uno di quel mondo, sarei fortissimamente anti-occidentale, ma senza essere religioso».
Tra l’altro in quelle zone la religione ha anche una forte penetrazione sociale, penso al sistema delle madrasse.
«Certo. Nel mondo islamico c’è quel che noi stessi abbiamo avuto fino a ieri, ma oggi contestiamo agli altri: la compenetrazione tra Stato e religione. Dove noi sbagliamo è dunque pretendere che loro si laicizzino; anche il nostro mondo ha vissuto per secoli sotto forma di teocrazia, o giù di lì. È un’esperienza tutta da buttare? Non credo. Poi abbiamo imboccato un’altra strada, loro scelgano liberamente il loro futuro. È paradossale che proprio mentre l’Occidente tenta disperatamente di recuperare valori religiosi, voglia impedire agli altri di vivere i loro. Noi dobbiamo usare cannone e spingarde solo nel momento in cui l’Islam pretendesse di espandersi e di insegnarci come dobbiamo vivere».
Cambiamo argomento e chiudiamo col caso Telecom. Ti sei fatto un’idea sull’argomento?
«Ci ho capito poco. Un’azienda privata non può fare quello che vuole senza dover risponderne al governo? E allora non capisco Romano Prodi quando si indigna perché non è stato avvertito da Marco Tronchetti Provera riguardo quanto quest’ultimo aveva in mente di fare. Perché mai doveva essere avvertito?».
Beh, alcuni dicono che il settore delle telecomunicazioni è troppo importante e strategico per il Paese perché un governo se ne disinteressi.
«Io sono d’accordo, c’è tutta una serie di settori che andrebbero addirittura nazionalizzati di nuovo. Ma allora non si sta dentro la globalizzazione e la si deve contrastare. Se stai nel sistema poi è inutile scandalizzarsi se qualcuno vende allo straniero. È una contraddizione: da una parte agli oppositori della globalizzazione si replica che “non si può fermare la storia”; dall’altra si diventa isterici di fronte a fenomeni globalizzanti come il boom della Cina o la decisione di vendere Tim ai malgasci o non so a chi. Io sono per le nazionalizzazioni, per il protezionismo, per la chiusura delle frontiere: ma questo è un altro mondo, non si chiama libero mercato».
Quindi sei anche critico nei confronti delle frettolose privatizzazioni operate negli anni Novanta?
«L’Iri, una grandissima creazione del fascismo, era stata trasformata in affare per gli amici e gli amici degli amici. Le partecipazioni statali sono diventate un carrozzone infame perché sono state distrutte dalla partitocrazia. Il principio era e rimane giusto: ma gli italiani hanno visto le Asl divise per corrente partitica, le aziende pubbliche assegnate in base al manuale Cancelli... È ovvio che abbiano dato il loro sostegno a chi diceva: che schifo, liberalizziamo tutto. Mi sarei sorpreso del contrario».