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Questo governo? Si comporta come il precedente

di Ciro Cenatiempo - 25/09/2006

Fonte: ilmattino

Marco Bellocchio: «Le nomine nel cinema? Come, peggio di prima»

Ischia. «Questo governo? Si comporta come il precedente». Non smentisce la sua fama di polemista Marco Bellocchio, il regista che l’altra sera ha ricevuto alla Colombaia il Gattopardo d’oro (opera del maestro orafo Enrico Fiore) intitolato a Luchino Visconti. E attacca. «Speravo in scelte più coraggiose e innovative. Per il momento, però, vedo immobilismo e prassi lottizzatorie. Insomma, sono preoccupato». Bellocchio, a quali scelte del governo si riferisce? «Alle nomine al vertice dell’Istituto Luce e di Cinecittà Holding, dove hanno chiamato persone che non hanno una specifica competenza cinematografica: sono scelte di tipo politico. E, poi, al Centro sperimentale, che è stata la mia scuola, da cui sono usciti tanti registi, attori, direttori della fotografia, è stato confermato Alberoni, persona degnissima, che però credo non abbia una specificità. Per un’istituzione così importante mi sarei augurato la successione con un cineasta. Il ministro Rutelli è una persona intelligente, ma sono deluso. Nella divisione dei posti hanno pensato più ad accontentare magari i delusi dalle elezioni che a fare scelte giuste». Non vi sono eccezioni? «L’unica riguarda la conferma di Luciano Sovena, già designato dal governo di centro destra, ad amministratore delegato del luce. Gli è stata, infatti, riconosciuta competenza, passione ed entusiasmo per il cinema. Comunque, il panorama è complesso e le scelte politiche mi sembrano sbagliate. Eppure il centrodestra scelse Pupi Avati, un collega, per Cinecittà Holding!». La competenza è vitale anche per il lavoro di regista? «I continui cambiamenti tecnologici rimescolano il discorso. Un regista deve avere immaginazione, fantasia, qualità specifiche. Però è indubbio che da un punto di vista puramente tecnico, quasi tutti sarebbero in grado di fare un film. Quando cominciai a fare cinema, c’era una complessità tecnologica che imponeva un lungo tirocinio. Adesso ci sono tanti che si improvvisano registi, direttori della fotografia, montatori, scenografi, costumisti. Questo è anche un bene, in qualche modo. Ci sono cinque milioni di poeti, in Italia, e si potrebbe dire che ci sono altrettanti registi. La differenza, poi, la fa l’incasso». Ma come cambia il ruolo dell’autore? «Con il digitale la fantasia si adegua. Proprio alla Festa di Roma presenterò un piccolo film in digitale, “Sorelle”, che ho girato durante il corso di cinema che tengo a Bobbio. Resta il problema del sostanziale monopolio della produzione e della distribuzione, che incide sul pubblico... un pubblico sempre più ristretto, ma che esiste ancora». Si spieghi meglio. «Ci sono pochi soldi e tre o quattro compagnie americane, o la Zerouno, Medusa, De Laurentiis: se riesci a farti produrre da loro, allora il tuo lavoro circolerà nelle sale. Per il resto, ci sono tanti film che restano invisibili. Da autore, e faccio un cinema non facile, sarei però un masochista se fossi contrario ai finanziamenti pubblici». Quanto conta per lei la lezione di Visconti? «Molto, moltissimo, soprattutto il primo Visconti, quello della “Terra Trema”, di “Bellissima”, “Ossessione”, “Senso”. Ho ammirato moltissimo il suo rigore realistico, che non era neorealismo, nel suo cinema non c’era nulla di gratuito, di approssimativo. Noi cineasti dobbiamo difendere questo spirito di ribellione, questo non essere riconciliati con la realtà, perché il cinema è un’arte oggettivamente contraria al conformismo, e guai a dimenticarlo».