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Eccentricità francescane

di Alberto Figliuzzi - 18/05/2017

Eccentricità francescane

Fonte: Italicum

 

   Probabilmente, se fosse stato più acuto lo spirito profetico di San Malachia, volto a scrutare nei tempi a venire i tratti dei romani pontefici, ognuno indicato con un enigmatico motto allegorico da decifrare, si sarebbe trovato anche, magari, De Minctione Mediolani, per alludere alla epocale esternazione del suo corporale bisogno, alle “case bianche” di Milano, da parte del “francescano” (benchè gesuita) Papa regnante.

   Niente affatto sorprendente, del resto, la suddetta mediatica esibizione, bensì in linea con tanti altri indovinati gesti, diretti, con grande disinvolta determinazione accom- pagnata da indubbia carica di simpatia, ad offrire del Papa e della Chiesa, in maniera sempre più pronunciata, una immagine in linea con il comune sentire e agire della gente, ovvero in sintonia col “mondo”.

   Una linea, questa, che ha subito procurato a Mario Bergoglio, gran furbacchione italiano (quale d’altronde per origine è) molto più che argentino, la più o meno sincera approvazione del composito universo laicista, fatto di atei (semplici o colti quali uno Scalfari o un Augias) e agnostici, cristiani alla lontana (fans dell’uomo Gesù più che del Cristo), ideatori di eccentriche ricette religiose in stile new age, buonisti di ogni genere, libertari e pacifisti (o pacifinti), radicali e pauperisti, abortisti, “genderisti” e “omosessualisti”, multiculturalisti e globalisti, e via dicendo; nonché, ovviamente, dell’ampio ventaglio del “sinistrismo” (effettivo o solo fasullo) che, orfano o vagamente nostalgico dell’impegno sociale ormai sparito col collasso delle ideologie novecentesche, crede di ritrovarlo in certe posizioni del Pontefice, in cui effettivamente riecheggiano, sebbene senza interna coerenza e conseguenzialità, motivi di trasfor- mazione sociale (in linea con la “teologia della liberazione” e con istanze rivoluzionarie sudamericane). Quale vibrante espressione di questo corale sentimento popolare, finanche il recente, pubblico apprezzamento (anzi l’endorsement, perché oggi così si dice) per bocca, è proprio il caso di rimarcarlo, di un’Alba Parietti. Tutta degnissima gente (senza alcuna ironia) quella menzionata, che evidentemente percepisce, in un cristianesimo quale quello alla Bergoglio, in cui sparisce ogni forma di deterrenza rispetto al “peccato” in favore di una incondizionata “misericordia”, non già la trascendenza, l’altro mondo o i rigorosi dettami del Padreterno, bensì, in sintonia con la propria fisionomia culturale, il lascito, adattato ai tempi e prêt-à-porter, della laicissima e molto terrena trinità di liberté, fraternité, egalité; mentre, coerentemente col suo sentire, tale illuminato mondo condanna (percependo un’analoga tacita posizione nel dire e nell’agire di Francesco) quello che considera l’oscurantismo cattolico e ciò che di esso resta pur nella Chiesa del lodato Papa riformatore.

   Ma qui il discorso, da leggero con qualche nota umoristica, si fa allora molto serio e pesantemente politico: perché il cattolicesimo romano (può piacere o non piacere), pur con le sue nicchie di vizi privati dietro pubbliche virtù, pur con la sua ingombrante e deleteria presenza nelle italiche vicende antiche e recenti, pur avversato (spesso con  fondate ragioni) dal sapere moderno, pur col suo spesso deplorato esteriore formalismo, contribuisce (contribuiva?...) a qualificare (in un’apertura culturale cronologicamente più ampia dello stesso cristianesimo) le radici della civiltà europea, capace di contrastare, sino a qualche decennio fa, un materialismo ed un edonismo non aristocraticamente e intellettualmente raffinati, ma di bassissima lega, insieme ad un esasperato economicismo che del nostro continente fa progressivamente scomparire la fisionomia storica. Pertanto, se è facilmente comprensibile, in un mondo in cui l’Europa diventa sempre più marginale, quello che probabilmente è l’interrogativo bergogliano, cioè se abbia ancora senso trasmettere il messaggio cristiano con ciò che resta, anche dopo il trambusto conciliare, della tradizione e della liturgia latina, è pure vero che appare altrettanto legittimo contestare (ritenendolo non solo gravemente autolesionistico per la Chiesa stessa, ma anche gravemente dannoso per l’identità europea) tale orientamento: non tanto, specie in questa sede, con argomenti teologici e dottrinali (un campo in cui interviene con grande competenza il tradizionalismo cattolico), quanto con argomenti schiettamente politici, considerando che la Chiesa, anche quella alquanto confusa di oggi, un soggetto politico pur sempre è, intervenendo con autorevolezza in tutte le questioni più scottanti sulla scena del mondo.

   Su questa linea, se si cercano dunque delle serie ragioni di carattere politico per opporsi a quello che sembra essere (con la scusa dell’ecumenismo) il progetto bergogliano di  “decattolicizzare” la Chiesa, intanto si può osservare come, inseguendo sul loro terreno, come sta succedendo, le varie espressioni del protestantesimo, si asseconda una visione privatistica e intimistica della religione che sancisce di fatto, in molte società, come quella italiana, la sua autorelegazione in un ruolo di completa marginalità, col risultato di una comunità cristiana fantasma, impossibilitata a testimoniare all’esterno alcunchè del suo modo di concepire la vita, i rapporti umani, l’assetto civile e sociale, l’ordine etico, e via dicendo, alla completa mercé, quindi, delle forme anche più superficiali e cieche di laicismo. In conseguenza di ciò, forse, il dato sconcertante di una Chiesa ormai quasi completamente muta (o soltanto impacciata suggeritrice di iniziative altrui) di fronte alla dilagante ideologia della fine dei generi e del superamento della famiglia naturale, in ritirata se non in completa rotta nel campo della bioetica, ormai più laicista dei laici nel rispetto della laicità (intesa come totale assenza etica) delle istituzioni, quasi in stato di soggezione psicologica e generosa di lusinghieri riconoscimenti verso qualsivoglia espressione culturale nemica, talora apertamente, della sua propria tradizione. Questo nonostante qualche occasio- nale adunata oceanica di presunti fedeli che, quand’anche genuina quale espressione di vicinanza alla Chiesa, in nessun modo può compensare la disintegrazione, non più contrastata, di una vita comunitaria segnata quotidianamente, una volta, da valori cristiani, e pubblicamente manifestata.

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   Un’altra preoccupante scelta bergogliana, anche questa tutt’altro che in sintonia con quello che ci si aspetterebbe da un ispirato romano pontefice, si esprime nella mar- tellante predica in merito alle migrazioni; a tal punto senza prudenza e senza senso di responsabilità da suonare come una vera e propria azione di favoreggiamento del fenomeno. Un indirizzo, questo, che, sul terreno religioso, si presenta come l’altra faccia di quello, più “laico”, che trasforma in “razzismo” ogni posizione diversa da quella “buonista” dell’accoglienza ad ogni costo e a prescindere da qualsiasi circo- stanza che suggerisca il contrario. Un dato di fatto incontestabile, quello che si sta evidenziando, non giustificabile con la banalissima osservazione che da un papa, chiamato ad affermare l’amore evangelico, non ci si può certo aspettare un messaggio diverso; dal momento che non è affatto difficile mostrare il carattere superficiale e ingenuo, o viceversa volutamente mistificatorio, di certe presunte manifestazioni di animo generoso (amante dei “ponti” e non dei “muri”), intento a praticare la virtù cristiana della carità. Si può esprimere, infatti, una condotta impeccabile sul piano morale e religioso di fronte alle dinamiche di vario genere che vedono coinvolte masse sempre più consistenti di migranti, dando tutto l’aiuto che sul momento serve (vero, e non strumentale a interessate torbide operazioni) e tuttavia essere convinti, gridandolo forte, del carattere gravemente patologico del fenomeno e quindi della necessità di una lucida e lungimirante azione politica, a tutti i livelli, che metta in pratica rimedi diversi da quelli che, sulla base del preliminare giudizio di considerarlo “epocale” e ineluttabile, non fanno che incentivare nuovi arrivi. Quella che sembra una neutrale diagnosi accompagnata da un’altrettanto scientifica prognosi si rivela spesso, infatti, viziata da complice accondiscendenza se non da vero e proprio compiacimento rispetto all’evento che si dovrebbe arginare, espressione di un’arrogante e intollerante idea mondialista che ora in buona fede ora in maniera deliberata asseconda i giganteschi interessi responsabili dello squilibrato assetto planetario.

   Non è affatto vero, perciò, che sia antievangelico sostenere che i problemi africani si debbano risolvere in Africa, o asserire la necessità, nel frattempo, di controllare e regolare i flussi migratori con regole certe e anche drastiche; non è assolutamente vero che sia anticristiano scoraggiare crudeli miraggi in gente destinata a condizioni di vita ben più miserabili e degradate di quelle lasciate alle spalle o comunque, quando invece soddisfacenti in termini materiali, funzionali alle più ciniche strategie dell’economia globalizzata: un contesto che Bergoglio, a sentire certe sue esternazioni più politiche, o alla luce dell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium e dell’enciclica  Laudato si’, dovrebbe ben considerare. Non si può perciò ignorare o mettere sotto silenzio che favorire un travaso così imponente di popolazione (per giunta oggettivamente “diversa” sotto tanti aspetti e poco disponibile all’integrazione) nel tempo di appena qualche decennio significa non già attuare con certezza il sogno di un’armonica società multietnica, ma creare le condizioni per problemi enormi, in cui il “male” in molteplici sue forme potrebbe in seguito di molto sopravanzare il “bene” (ovvero la totale disponibilità all’accoglienza, per giunta quasi sempre motivata in termini puramente sentimentali), misurato in un arco di tempo assai breve. In ordine a tutto questo, guardando in prospettiva, almeno il dubbio, da parte di una così alta istituzione, quale quella che Francesco rappresenta, sarebbe assolutamente doverosa.

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   Errore nell’errore, poi, da parte di Papa Bergoglio, la miope sottovalutazione della sempre più massiccia presenza islamica in Europa, un pericolo letale per la civiltà del continente, cristiana o laica che sia. Il fatto di voler ovviamente distinguere tra una popolazione musulmana pacifica e le violente minoranze “integraliste” non dovrebbe far chiudere gli occhi sulla maggiore pericolosità, paradossalmente, della prima, per la sua rapida crescita e diffusione demografica, rispetto alle pur orrende gesta delle seconde; tanto più che l’integralismo, come si sta vedendo, ha la sua genesi o attecchisce in ambienti, ritenuti tutt’al più difficili e comunque “moderati”, di uomini e donne presenti da gran tempo o addirittura nati nelle società ospitanti, titolari persino di cittadinanza, e tuttavia integrati solo molto superficialmente. Ha un bel dire, perciò, il Papa, come del resto tanta classe politica occidentale, nel volere nettamente separare l’Islam buono da quello deviato, addirittura sino al punto, come pure è accaduto, di sminuirne ostentatamente le responsabilità offrendo dello stesso mondo cristiano, di cui è il vertice, una rappresentazione analoga; come se i comportamenti aggressivi e violenti da parte di gente battezzata avessero anch’essi motivazioni religiose e fossero persino considerati, dagli autori, idonei per guadagnare il paradiso!

   Dichiarazioni e gesti maldestri, insomma, o dettati da chissà quale bizzarra “strategia”, che se con cristiana pazienza (è proprio il caso di dire) vengono sopportati dai fedeli più perspicaci pronti a notarli, non possono non suscitare allarme, sconcerto e indignazione presso quanti, pur non essendo praticanti o nemmeno credenti, non negano tuttavia l’importante ruolo svolto dalla chiesa cattolica nella società, assegnando ai suoi atti un grande rilievo politico. Il che non significa affatto desiderare che un Papa, al giorno d’oggi, esacerbando gli animi, diventi un attivo teorico del “conflitto di civiltà” ed il propugnatore di una guerra di religione, assecondando magari la dissennata politica di un Occidente a guida americana che non ha saputo fare altro che esportare, anche con le armi, la sua decrepita, malata, ma pur sempre affaristica democrazia, destabilizzando mezzo mondo e soffiando essa sul fuoco di quanti non desideravano altro che riscoprire il lato più aggressivo dell’Islam. Così pure, non si intende disconoscere il grande ruolo, nella rinascita culturale europea, ormai un millennio fa o giù di lì, di profonde e raffinate espressioni del mondo musulmano (ma nel corso di un confronto pur sempre in vario modo conflittuale); il che conviene precisare anche al fine di anticipare certe ricorrenti lezioni cattedratiche di eruditi islamofili. Ciò precisato, si ha il diritto di sperare in una politica amichevole nei confronti dell’Islam, sia esterno che interno alle nostre società, ma altrettanto ferma e determinata  nell’impedire la prospettiva di una presenza che non sia solo minoritaria e rispettosa delle nostre leggi e dei nostri costumi. La lotta contro il dilagante materialismo di casa nostra, certamente necessaria, non può essere però combattuta con l’antidoto della religione e della cultura islamica: una conclusione sulla quale si osa sperare sia d’accordo anche quell’eccentrico di Papa Francesco.