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Ma chi sono i più deboli, oggi, in Italia?

di Francesco Lamendola - 22/10/2017

Ma chi sono i più deboli, oggi, in Italia?

Fonte: Accademia nuova Italia

 

 

Una delle ragioni – una, non certo la sola – del deterioramento del servizio pubblico, nell’Italia dei nostri giorni, è l’avvento di una filosofia buonista, basata sui falsi dogmi dell’accoglienza indiscriminata e dell’inclusione  ogni costo di qualsiasi soggetto, per quanto difficile o problematico, la quale ha creato e crea ogni giorno situazioni assurde, insostenibili, costi altissimi per la comunità, non solo in termini economici, ma anche riguardo alla qualità della vita, del lavoro, dello studio, della sanità, dei trasporti, eccetera. Di fatto, e nel giro di due o tre decenni, si è operato un vero e proprio capovolgimento di prospettiva, che si riflette nell’offerta dei servizi sociali, ma che parte da molto più lontano e riguarda il nuovo orientamento dello Stato e della Chiesa nei confronti dei processi della globalizzazione. Detta in parole semplici: i problemi, la sicurezza e il benessere dei cittadini italiani non sono più la priorità dello Stato; e la cura e la salvezza delle anime dei cattolici non sono più la priorità della Chiesa. Entrambi, lo Stato e la Chiesa, hanno deciso che le loro priorità sono altre: che devono farsi carico di una integrazione a trecentosessanta gradi, la quale si trasformerà, nel giro d’un paio di generazioni – e questa è scienza statistica - in una sostituzione di popolazione e di religione: al posto degli italiani ci sarà una popolazione meticcia di numerose lingue, razze e culture, e al posto della religione cattolica ci saranno decine di culti, ma uno s’imporrà sicuramente su tutti, se non altro con il peso dei numeri: l’islamismo.

Contemporaneamente, anche le persone appartenenti a dei gruppi o a delle categorie minoritarie otterranno, come già sta accadendo, un ampliamento sempre maggiore dei loro diritti, a detrimento dei diritti altrui. Il diritto dei militanti omosessuali di celebrare i loro Gay Party, o quello delle organizzazioni LGBT d’insegnare l’ideologia gender negli asili e nelle scuole, configgerà con il diritto di chi non ritiene tollerabili simili spettacoli e iniziative; e la maggioranza degli italiani dovrà chinare la testa e tacere, sotto la minaccia di denuncie e di pesanti multe, o peggio, dato che il Parlamento si appresta a varare delle leggi in tal senso: leggi che non prevedono l’oggettività del “reato”, ma, cosa inaudita e totalmente antigiuridica, la soggettività della presunta parte lesa, ossia la “percezione” di una offesa da parte di chi intende sporgere denuncia contro un supposto reato di omofobia. Allo stesso modo, il “diritto allo studio” e, naturalmente, all’inclusione, di un bambino autistico, o caratteriale, magari anche violento, configge, evidentemente, con il diritto allo studio da parte dei suoi compagni di classe, costretti a frequentare un ambiente in cui vige il terrore: ma il legislatore ha deciso che, in tali situazioni, deve comunque prevalere la tutela della pare “più debole”, e dunque non si discute sull’inclusione di quel ragazzino. Anche se il ragazzino è cresciuto e ha terminato la scuola dell’obbligo, e vuol proseguire fino al diploma superiore: il suo diritto a frequentare la scuola - una scuola nella quale non impara nulla, non socializza, non fa altro che vegetare con la presenza, costosa per la comunità, di un apposito insegnante di sostegno. La scuola non può rifiutarsi di iscriverlo e di accoglierlo, i compagni (e gli insegnanti) devono accettare e tacere. Altrimenti sono “cattivi”, cioè non inclusivi, non solidali, non accoglienti.

Oppure prendiamo una famiglia di zingari (ma si può ancora dire “zingari”, o si rischia una denuncia?), la quale, individuato un appartamento sfitto, vi penetra e vi s’insedia come fosse roba sua: un giorno il legittimo proprietario gira la chiave e si trova la casa occupata. Ebbene: in un Paese normale, la legge sarebbe dalla sua e l’appartamento verrebbe immediatamente sgombrato  e restituito a colui al quale appartiene, e che, su di esso - cosa non certo trascurabile - paga fior di tasse, anche se non vi abita, perché, mettiamo, quella è la casa lasciatagli in eredità dai suoi genitori, che l‘hanno acquistata con una intera vita di lavoro; ma in Italia no, le cose non vanno così: da noi, bisogna tutelare il diritto del “più debole”. E così il disgraziato proprietario dovrà umiliarsi a pietire, come chiedesse un favore personale, ora dal sindaco, ora dal comandante dei Carabinieri, per vedersi trattato con crescente impazienza, quasi con fastidio, e manca poco che gli dicano chiaro e tondo: Ma se lei ha due case e una di esse è vuota, che cosa pretende? È logico, e in fondo è giusto, che ci vada ad abitare chi non ne ha neppure una. Il lavoro, il risparmio, il rispetto della legalità, il pagamento scrupoloso e puntuale delle tasse, tutto questo non conta nulla: l’unica cosa che conta è la priorità di tutelare il soggetto più debole. Già: solo che, a questo punto, bisognerebbe vedere chi sia davvero il più debole, fra i due.

Ma facciamo un caso più concreto e specifico, che meglio renda l’idea del clima di buonismo forsennato instaurato oggi Italia dalle nostre cosiddette classi dirigenti e dalla nostra cosiddetta classe intellettuale. Prendiamo il caso di una famiglia d’immigrati, non occorre precisare di quale provenienza, ciascuno s’immagini quel che vuole; l’unica cosa che interessa è che stiamo parlando di situazioni non solo reali, ma frequenti; non solo frequenti, ma divenute assolutamente normali, anche se, forse, a ben considerare, tanto normali non sono, né tali sarebbero considerate in altri Paesi, anche europei, a cominciare dalla Germania. Poniamo che quella famiglia sia formata da un padre, una madre e due o tre figli; e che, pur disponendo di regolari permessi di soggiorno, se non, addirittura, della cittadinanza, in quella famiglia nessuno si sia dato la pena d’imparare un minimo la lingua italiana, al punto che quando i genitori si presentano alla segreteria scolastica per iscrivere i loro figli, non riescono neppure a farsi capire. Alla fine, interviene un insegnante che parla l’inglese, e allora, per mezzo di questo interprete improvvisato, la comunicazione è possibile, e l’iscrizione viene espletata regolarmente. C’è un particolare, però: i due figli appena iscritti, oltre a non sapere una parola d’italiano, sono portatori di un ritardo mentale che il distretto sanitario ha classificato come di “media gravità”, il che significa, per i non addetti ai lavori, che non sono assolutamente in grado di seguire il programma scolastico, anzi, che non sono in grado neanche di capire le cose più semplici. E si aggiunga che non stiamo parlando di un asilo o di una scuola elementare, ma di un liceo. Proprio così: di un liceo, dove si studiano la filosofia, il latino, la storia dell’arte, eccetera. E si consideri inoltre che non stiamo parlando dell’età dell’obbligo scolastico, ma del triennio superiore, con un esame di Stato alla fine del percorso. In una scuola tedesca, la direzione si riserverebbe di dire a quei genitori: Spiacenti, ma i vostri figli non hanno i requisiti per frequentare la nostra scuola; iscriveteli alla scuola inferiore, di tipo professionale, oppure cercate di collocarli in un istituito specializzati per seguire i ragazzi con difficoltà cognitive. Da noi, questo linguaggio sarebbe impossibile; ma, soprattutto, sarebbe impossibile questa linea. Da noi, chiunque ha il diritto di iscrivere i suoi figli dove vuole e quando vuole. Ci vorrebbe un apposito insegnante di sostegno, ma la sua presenza è assicurata solo per poche ore alla settimana: per il resto, devono pensarci i professori ordinari. Anche se non hanno alcuna esperienza e alcuna competenza per fare un programma d’insegnamento differenziato; e anche se, quand’anche le avessero, non potrebbero permettersi di piantare in asso una classe di trenta ragazzi per seguirne uno che, in ogni caso, non può andare oltre un programma forse di prima elementare, più no che sì.

Ma non è ancora tutto. Supponiamo – ma stiamo parlando di situazioni estremamente reali e concrete – che i due ragazzi, iscritti a quella scuola, senza saper parlare l’italiano, senza saper fare due più due, senza saper leggere le ore sul quadrante di un orologio – non siano due ragazzi, ma due ragazze. In quella famiglia, proveniente da quella cultura, le donne non contano (e la madre, infatti, quando pure la si vede, fa scena muta; parla solo il padre, solo che parla un’altra lingua; e se un impiegato o un insegnante si permette di rivolgere la parola alla moglie, lui s’inalbera e gli dice, aggressivo, che è con lui che bisogna parlare). Pertanto, mentre il personale di quella scuola si fa letteralmente in quattro per trovare il modo di far apprendere qualcosa a quelle ragazze, di integrarle, di farle sentire a loro agio, il padre se ne infischia altamente, anzi, si mostra perfino meravigliato di tanta sollecitudine: quale spreco di tempo e di energie! Tanto, appena finita la scuola, per loro non ci sarà altro: andranno a lavare pavimenti o a spostare scatoloni in qualche magazzino, nel migliore dei casi; sposarsi, sarà difficile, visto il loro ritardo e il loro aspetto fisico, decisamente obeso e sgraziato. Dunque, mentre la famiglia non si preoccupa di quel che avviene a scuola, ma le basta aver parcheggiato le figlie, la scuola si preoccupa, eccome, e i professori si sentono in colpa per non poter fare abbastanza, date le circostanze: il tutto, quando milioni di italiani poveri sono praticamente abbandonati a se stessi e ai loro problemi.

Questa, che abbiamo descritto, è una situazione-tipo: ce ne sono a centinaia di migliaia, a milioni, nel nostro Paese, in ogni ambito della società, a tutti i livelli: è la filosofia del buonismo, dell’accoglienza illimitata, dell’inclusione indiscriminata, Se qualcuno avanza qualche obiezione, anche solo di carattere tecnico o pratico, invariabilmente si sente rispondere: Dobbiamo includere: queste sono le direttive che vengono dal ministerro. Non c’è niente da fare: inclusione  la nuova parola passe-partout, la nuova parola magica del neovangelo progressista e mondialista. E allora, dice la classe politica, armiamoci e partite!; mobilitate l’inventiva, l’intelligenza, la creatività: siamo o non siamo un popolo creativo, capace d’improvvisare qualsiasi cosa? Inventiamoci le soluzioni: anche se mancano i soldi, gli strumenti, i supporti, il tempo, le risorse: non importa! Non bisogna fare resistenza, non bisogna opporsi, remare contro: la parola d’ordine è una sola: includere. Tutti, maestre, infermieri, medici, autisti di mezzi pubblici, forze dell’ordine, impiegati delle poste o delle ferrovie, sindaci, assessori, guardia costiera, personale giudiziario: tutti costoro vengono sistematicamente distratti dai loro eri compiti istituzionali e si vedono sottrarre tempo e risorse per farsi carico di problemi pressoché insolubili, disperati, e, soprattutto, che non sarebbero di loro competenza, che esulano dai loro doveri e dalle loro responsabilità: qualcuno li ha gettati sulle loro spalle, qualcuno ha preso delle decisioni politiche che li obbligano a turni massacranti, a rotazioni vorticose, raschiando le risorse fino all’osso, sino al fondo del barile, devono lavorare sempre di più con sempre meno mezzi a disposizione, i poliziotti devono uscire più spesso di pattuglia per sorvegliar ei quartieri, ma perfino i soldi per la benzina delle auto sono sempre meno, bisogna far quadrare il cerchio, arrampicarsi sugli specchi, fare letteralmente i miracoli. E tutti questo per cose? Per mandare avanti un sistema assurdo, fatto di generosità all’ingrosso verso chi non se la merita, di solidarietà ideologica che si traduce in una selezione ala rovescia, e intanto i nostri giovani migliori, laureati e m talentuosi, hanno perso la speranza, vedono come vanno le cose e capiscono che un lavoro decente in Italia, non lo troveranno nemmeno fra vent’anni, ci sono troppi baroni che occupano le poltrone a vita, troppi furbi e troppi raccomandati, niente da fare, il merito non conta niente e la buona volontà nemmeno.

Il sistema buonista e assistenzialista, in verità, era stato creato nel corso del tempo, è una specialità italiana (si pensi alle 28.000 guardie forestali siciliane); l’immigrazione degli ultimi decenni gli ha dato nuova linfa e l’ha fatto espandere, fino a configurarsi come un totalitarismo democratico, fondato sulla dubbia categoria del politicamente corretto, formata, a sua volta, dai cascami di alcune ideologie morte degli ultimi due secoli: stranissimo miscuglio di marxismo, capitalismo di rapina, radicalismo, liberismo selvaggio, egualitarismo russoviano e giacobino, odio e rancore implacabile nei confronti del merito, del genio, del coraggio, del valore, dell’intelligenza, in nome di un appiattimento delle diversità, secondo i dettami di un catto-comunismo che è diventato la dottrina ufficiale - e non solo quella sociale, ma anche la dottrina teologica e dogmatica – della neochiesa massonica e gnostica dei nostri giorni, escrescenza parassitaria e abusiva della vera Chiesa cattolica, la Sposa di Gesù Cristo. Più passa il tempo e più ci si accorge di quanto coraggiosi, intrepidi e ammirevoli siano stati i papi del XIX secolo e della prima metà del XX: i tanto bistrattati (dai cattolici di sinistra) Pio IX, Poi X, Pio XII: degli autentici giganti, pieni di amore e timor di Dio, a confronto dei quali i Paglia, i Galantino, per non parlar dei Bianchi o dei Mancuso, rivelano la loro autentica statura di nani chiacchieroni e insignificanti, capaci solo di fare da mosche cocchiere ai mirti e ai riti (anticristiani)  della modernità. Parliamo della Chiesa perché essa era l’ultima istituzione tradizionale ad aver conservato la sua identità, la sua fierezza e  la sua capacità critica nei confronti del mondo moderno, sulla base di una tradizione due volte millenaria: ora anch’essa si è arresa, ha alzato bandiera bianca, ha contraffatto il marchio di fabbrica e smercia un prodotto falso, spacciandolo per quello buono. Lo Stato e le sue istituzioni, la scuola, l’università, la ricerca, le professioni, per non parlare delle imprese e delle banche, già da tempo avevano piegato le ginocchia alle nuove logiche del buonismo e del solidarismo truffaldino, che spaccia per “profugo” chiunque si presenti al largo delle coste italiane a bordo di un barcone, fosse pure il peggior delinquente.

Come andrà a finire? Male, naturalmente. Anche se ci resta una vaga, remotissima speranza: che gli italiani si destino da questo sonno incomprensibile e che reagiscano, cacciando a pedate i traditori…