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Delta del Niger, Obasanjo fa la guerra per procura

di Sabina Morandi - 13/10/2006

 
Per rassicurare le multinazionali del petrolio - preoccupate dai numerosi sequestri nelle piattaforme della regione - il presidente distrugge i villaggi. Ormai anche l’esercito comincia a dubitare dell’efficacia della politica di repressione delle popolazioni locali


C’era una volta il Delta del Niger: 70 mila chilometri quadrati di territorio incontaminato dove decine di gruppi etnici diversi vivevano coltivando la terra o pescando.

Oggi questi 70 mila chilometri quadrati sono un incubo per il presidente uscente del più popoloso paese africano, la Nigeria, che non ha alcuna speranza di controllare militarmente una regione così estesa ma che non sa trovare altra risposta che la repressione per rassicurare le compagnie petrolifere in fuga. Anche due giorni fa, alla notizia dell’ennesimo raid in un’istallazione della Shell - dal quale i guerriglieri sono fuggiti portandosi dietro una sessantina di ostaggi - Obasanjo ha promesso la mano pesante che consiste in sostanza nella distruzione dei villaggi che si presume abbiano appoggiato i “banditi”.

Così, mentre, lo sconosciuto gruppo di guerriglieri appartenenti all’etnia Oporoma libera i dipendenti locali e trattiene solo gli stranieri, secondo una prassi divenuta comune nell’ultimo anno, e mentre la Shell annuncia la chiusura dell’istallazione che produceva 12 mila barili al giorno, il Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger (Mend) schiera i propri uomini in difesa dei villaggi.

La nuova stagione degli attacchi è stata ufficialmente aperta il 3 ottobre scorso quando un gruppo di militanti ha invaso per la prima volta il complesso residenziale della Exxon Mobil a Ektet - fino a questo momento erano state attaccate solo le piattaforme petrolifere - portandosi via gli stranieri: quattro britannici, un romeno, un malese e un indonesiano. Il 4 ottobre uno scontro fra alcuni uomini del Mend e l’esercito ha lasciato sul terreno 17 soldati dopo un assalto ad alcune istallazioni della zona del Cawthorne Channel condotto con barche veloci - ben 35, secondo fonti governative. Secondo il portavoce del Mend l’esercito ha risposto sparando dagli elicotteri con proiettili di grosso calibro che avrebbero danneggiato gli oleodotti causato pericolose fuoriuscite. Ma il Mend è la struttura più organizzata e politicizzata della regione, e non sempre riesce a controllare una miriade di gruppi che spesso agiscono per proprio conto mossi più dalla disperazione che da un reale progetto politico, ma che riescono comunque a fare parecchi danni anche dal punto di vista economico. Dal febbraio scorso la Nigeria, ottavo produttore del mondo, ha registrato un calo consistente della produzione: 500 mila barili al giorno sono andati perduti fra furti, attacchi, impianti smobilitati e blocchi della produzione.

Il presidente Obasanjo continua ad abbaiare minacce a beneficio degli investitori internazionali ma stavolta perfino l’esercito comincia a frenare. In privato alcuni alti ufficiali esprimono malumore per la mancanza di una soluzione politica alla crisi: «L’esercito deve proteggere le risorse nazionali ma non al prezzo di dichiarare guerra alla propria stessa gente» ha detto al Financial Times un alto ufficiale dei corpi speciali. Ma per parlare di soluzione politica bisogna prestare ascolto alle richieste di una popolazione che, dopo dieci anni di lotta non violenta, sembra avere imboccato la strada della lotta armata.

La scoperta dei giacimenti nigeriani sarebbe potuta essere una grande occasione di sviluppo per un paese prevalentemente composto di contadini e di pescatori che raccoglie, da solo, un sesto della popolazione africana. Dopo quarant’anni, però, la situazione non ha fatto che peggiorare. Secondo una stima di massima lo sfruttamento intensivo del Delta ha fruttato almeno trecento miliardi di dollari ma ben poco è finito nelle tasche dei nigeriani. Il petrolio è invece stato utilissimo per alimentare - e arricchire - la sanguinosa dittatura del generale Abachi, oltre che per finanziare la repressione degli ogoni, la prima popolazione del Delta che ha tentato di resistere all’avanzata dei pozzi. La resistenza pacifica degli ogoni, che riuscì a conquistarsi le simpatie degli ambientalisti e degli attivisti locali, divenne nota in tutto il mondo quando, nel 1995, il governo militare giustiziò nove militanti, fra i quali c’era un famoso scrittore, Ken Saro-Wiwa. Motivo: avevano sostenuto la resistenza delle popolazioni locali all’avanzata delle corporation petrolifere.

Da allora qualcosa è cambiato, almeno in apparenza. Ora la Shell è ufficialmente operatrice di una società controllata dal governo che tira fuori circa la metà del petrolio esportato dalla Nigeria. Dell’altra metà si occupano compagnie come la francese Total e l’italiana Eni (che, come la Shell, ha prestato le auto della compagnia ai paramilitari che mitragliavano i manifestanti), alle quali si sono aggiunte le americane Chevron Texaco e Exxon Mobil, accompagnate da un esercito di mercenari e di agenti dei servizi. E’ noto infatti l’interesse di Bush nei confronti del petrolio africano, apparentemente più sicuro di quello mediorientale. I soldi di Washington sono stati ben spesi: oggi la Nigeria fornisce un quinto del petrolio statunitense ed è candidata a sostituire l’irrequieto Venezuela nella hit parade dei principali fornitori Usa. E i nigeriani?

La fine della dittatura non ha portato grandi benefici. Il paese continua a essere poverissimo e il Delta viene ormai regolarmente battuto da bande armate che sopravvivono contrabbandando il petrolio rubato dai pozzi - nel 2003 la sola Shell ha perso in questo modo ben 9 milioni di barili. Nel frattempo la lotta popolare contro i pozzi continuava. Con azioni non violente come quelle delle donne di Ugborodo e di Amukpe che nel 2002 e nel 2003 occuparono alcune piattaforme, o come il blocco pacifico ma impenetrabile messo in atto dalle comunità Opherin nel 2004. Poi, grazie alla repressione e al deteriorarsi della situazione sociale, il conflitto ha cominciato a diventare sempre più violento. Prima sono arrivati i sabotaggi che, insieme ai furti, dissanguano le compagnie, e poi gli attacchi armati, gli omicidi e i rapimenti dei contractors stranieri, un’escalation che sta rendendo sempre più costoso operare nel Delta.

Milioni di dollari che se ne vanno in armi, eserciti privati, mazzette per corrompere i leader locali e spaccare le comunità e tutto l’armamentario delle costosissime misure che servono per pagare l’irachizzazione del paese. Una sola domanda: ma non sarebbe più economico accettare di ridistribuire una parte degli ingenti profitti petroliferi per bonificare la regione e dare una speranza alle comunità del Delta, esattamente come chiedeva Ken Saro-Wiwa più di dieci anni fa?