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Il dialogo con l'Islam: chi sono i "moderati"?

di Roberto Zavaglia - 14/10/2006

 

A proposito dei rapporti con l’Islam le parole d’ordine abituali sono dialogo e apertura ai musulmani “moderati”. In merito alla prima, siamo sicuri che questa ossessione del dialogo sia fruttifera? A giudicare da come vanno le cose, sembrerebbe di no. Forse è ora di comprendere che il confronto può anche essere nocivo. Sarà scandaloso, ma crediamo che, talvolta, la mancanza di comunicazione, a livello di massa, tra culture diverse possa evitare guai. Distanza non significa conflitto. Può essere una condizione salutare se il contesto sociale e politico è incandescente e vanifica la ricerca di un confronto sereno.

  L’esigenza del dialogo viene giustificata dal fatto che noi, nel senso di occidentali, siamo a casa loro e, nel contempo, molti islamici vivono nei nostri Paesi.  Questa situazione non è però frutto di un’evoluzione naturale, ma discende da due eventi traumatici: la guerra e l’immigrazione di massa. Gli Stati Uniti e i propri alleati occupano due Stati musulmani, mentre l’alto numero di islamici nei nostri Paesi è la conseguenza di un certo tipo di sviluppo del capitalismo. E’pur vero che, se si invade una anzione, bisogna prima o poi comunicare con la sua popolazione, ma non ci pare che ciò possa produrre un dialogo culturale positivo. Ugualmente, le masse di musulmani che varcano le nostre frontiere non sono composte da intellettuali e preclari uomini di fede, ma da persone le quali  cercano disperatamente di guadagnarsi da vivere. E’ normale che la popolazione autoctona non senta tutta questa curiosità intellettuale per le tradizioni e gli stili di vita di una moltitudine di estranei che, improvvisamente, si è trovata a fianco. Come è scontato che i nuovi arrivati, avendo ben altre preoccupazioni, non ardano dal desiderio di “prolungare le presentazioni”.

  Lo scontro tra Islam e Occidente sarebbe incominciato con l’11 settembre. Da ciò, appunto, la necessità del dialogo per isolare i terroristi. In realtà, la nuova e conflittuale fase di questi rapporti ha avuto inizio con la Prima guerra del Golfo, quando gli occidentali hanno portato le proprie armi in territorio islamico. Immaginiamo cosa sarebbe successo se, per un conflitto causato da una disputa di frontiera tra Usa e Messico, l’Egitto avesse occupato il territorio conteso, imponendo la “sua” pace. Senza la guerra degli occidentali per il Kuwait, la cui occupazione era un fatto interno al mondo arabo, di problemi con i musulmani ne avremmo avuti molti meno e non sentiremmo il bisogno di comprendere loro diversità. Se non si fosse invaso l’Iraq, forse Saddam avrebbe avuto la voglia e la capacità di portarci una reale minaccia? I cittadini occidentali avrebbero continuato a ignorare felicemente pressoché tutto del Paese mesopotamico e il terrorismo non avrebbe trovato nuova linfa.

  Adesso, invece, l’opinione pubblica viene assillata con la fissazione di conoscere il mondo islamico. L’opinione comune è che si tratti di una realtà in cui la religione domina incontrastata su tutti gli aspetti della vita. Chi ha viaggiato in quei Paesi, soprattutto in quelli laici come Iraq e Siria, sa che si tratta di una risibile semplificazione. Certo, il processo di secolarizzazione non è paragonabile al nostro, ma la maggioranza dei cittadini, anche credenti, non sta tutto il giorno a glorificare Allah. Gli arabi spesso pregano, ma anche lavorano, si divertono, gioiscono e si disperano per i fatti della vita in modo un po’ peculiare ma neanche così distante dal nostro. Noi, invece, li immaginiamo tutti un po’ fanatici, a passare l’intera giornata prostrati in moschea e perciò invochiamo il dialogo con il fantomatico musulmano moderato, il quale avrà le sue “stranezze”, ma non è poi così diverso da noi. E’ buffa questa caccia all’islamico moderato. E’ come se, per noi, il cristiano migliore fosse quello moderato. Invece, anche per i non credenti, il fascino della follia della croce è proprio la “smoderatezza”. Sono stati fatti santi i tiepidi o chi, come Francesco, al buon senso comune, oppone lo “scandalo” di una vita cristiana integrale?

  C’è poi la questione dell’ “islam interno”, col quale, una volta di più, sarebbe necessario un fitto dialogo. Da tale convinzione discendono iniziative assurde come la “Carta dei valori” che tutti gli immigrati musulmani dovrebbero sottoscrivere, quando molti fra gli stessi italiani non lo farebbero. Perché, per esempio, per essere accettato, devo riconoscere l’ “unicità dell’Olocausto”? Mi sembra che il nostro Stato laico possieda già una via maestra verso la cittadinanza: il rispetto delle leggi. Accetta le nostre regole e poi prega chi vuoi e mangia ciò che ti pare. Mentre si pongono richieste senza senso, si esercita pure una “tolleranza” fuori luogo, come è accaduto in quelle scuole nelle quali è stato abolito il festeggiamento del Natale per “rispetto” ai bambini di altre religioni. Questo genere di “privilegio” non può essere una concessione altrui, ma si conquista passo per passo. Quando gli islamici saranno più numerosi e capaci di esprimere delle peculiari istanze culturali nel nostro contesto sociale, allora ne parleremo. Per adesso teniamoci il Natale e tutto il resto.

  Il dialogo vero con l’islam era quello di un Federico Secondo, il quale proponeva argomenti scientifici a tutti i dotti del bacino del Mediterraneo, per ottenere risposte che facessero progredire una cultura sentita come universale. Quello di oggi è solo il prodotto di un bombardamento massmediatico che ci spinge a riconoscere e ad accettare nell’altro solo ciò che, pur con una superficie diversa, è identico a noi.