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Test coreano

di Roberto Zavaglia - 15/10/2006

 

Di Kim Jong Il e del suo regime tutti vorrebbero la scomparsa e, insieme, la temono. Ci riferiamo, in particolare, agli Stati Uniti, alla Cina e alla Corea del Sud, i Paesi più coinvolti dalla potenziale minaccia nucleare di Pyongyang. Gli Usa si preoccupano che, davanti alla prospettiva di un crollo imminente, i dirigenti della Corea del Nord possano giocare un’ultima carta disperata, attaccando il Sud e causando centinaia di migliaia di morti, fra cui anche moltissimi soldati statunitensi. Nel caso di una riunificazione della nazione è vero che i militari Usa potrebbero spingersi fino alla frontiera con la Cina, ma è altrettanto certo che la loro presenza, una volta scomparso il regime comunista, perderebbe la propria giustificazione e verrebbe ancora più contestata di quanto già lo sia oggi. I coreani del Sud, oltre alla minaccia militare, sono terrorizzati dal doversi prendere carico di un Paese economicamente in ginocchio, con 23 milioni di persone quasi alla fame. La Cina, infine, con la scomparsa di Kim Jong Il perderebbe un vicino sul quale può esercitare una certa influenza, anche in funzione delle proprie strategie in Asia Orientale.

  E’ anche per tutti questi motivi che il regime ha potuto intraprendere il suo cammino verso l’atomica senza subire pressioni dirompenti o, addirittura, attacchi militari. Quando Pyongyang ha effettuato esperimenti balistici e perfino quando, nel febbraio dello scorso anno, ha annunciato di possedere ordigni nucleari, le reazioni statunitensi non sono state così dure come si prevedeva. Il test nucleare del 9 ottobre sembra avere cambiato le cose. Adesso anche la Cina condanna con forza la Corea del Nord e, insieme alle altre potenze, si pone il problema dell’arma atomica nelle mani di un despota spregiudicato il quale, per nulla intimorito, afferma di considerare come una dichiarazione di guerra la minaccia di ulteriori sanzioni. Sembra che, negli ultimi anni, il “Caro Leader” abbia progressivamente esautorato il partito, legandosi indissolubilmente ai generali. L’esercito nordcoreano non può essere sottovalutato. Oltre all’impressionante numero di 1,2 milioni di soldati, Pyongyang dispone di 3.800 carri armati, 11.200 pezzi di artiglieria e 600 aerei fra caccia e bombardieri. Inoltre, ci sono gli Scud C che, con una gittata di 300 chilometri, possono facilmente raggiungere Seul e i Naodong i quali potrebbero colpire fino in Giappone e in Russia.

    Secondo la maggioranza degli esperti, la bomba recentemente testata dai nordcoreani sarebbe di dimensioni inferiori a quella di Hiroshima, il che significa l’età della pietra in campo nucleare. Comunque, gli scienziati locali hanno dimostrato di sapere trattare il plutonio e di essere avviati verso ulteriori progressi. L’ipotesi che Kim Jong Il possa disporre, entro non molto, di un efficiente arsenale atomico non può certo lasciare tranquilli. Il dittatore coreano non è comunque quel pazzo che i media occidentali amano dipingere. Si tratta piuttosto di un giocatore d’azzardo che usa le sue carte molto aggressivamente. Quando si sente attaccato, alza il livello della minaccia e verifica le reazioni. Ora vorrebbe una trattativa diretta con gli Usa per garantire la sopravvivenza della sua dinastia, la fine delle sanzioni e una serie di aiuti economici per il suo disastrato Paese. Si tratta di richieste inaccettabili per le grandi potenze le quali si preoccupano che l’esempio nordcoreano  spinga sulla stessa strada altri Paesi, il primo dei quali potrebbe essere il Giappone che, sentendosi minacciato, in pochi mesi potrebbe costruire la “bomba”.

  L’ipotesi di un mondo fondato su una diffusa minaccia nucleare non è del tutto irrealistica. Quanto più aumentano gli Stati in possesso dell’atomica, tanto più si moltiplica, però, il pericolo che un conflitto locale possa degenerare in uno scontro nucleare. Purtroppo, non si è affermato universalmente il “tabù nucleare”, come i più ottimisti speravano dopo la fine della Seconda guerra mondiale . Le grandi potenze non hanno certo operato per liberare il mondo dall’incubo atomico. Durante l’equilibrio del terrore della fase bipolare vennero costruite 128mila testate nucleari e si arrivò a un arsenale globale della potenza superiore di un milione di volte alla bomba di Hiroshima. Ancora adesso gli ordigni atomici sono 27mila, più che sufficienti a distruggere ogni forma di vita sul pianeta. Dalla 1.945 ad oggi sono stati effettuati oltre duemila test, di cui più di mille dagli Usa e quasi ottocento prima dall’Urss e poi dalla Russia. Washington, che a parole tanto si batte contro la proliferazione atomica, non ha ratificato il trattato per la messa al bando dei test nucleari e ha continuato il suo progetto di scudo antimissile che, garantendole la superiorità difensiva, si trasforma in uno strumento di attacco.

  L’Iran, afferma, fino a prova contraria, che le sue ricerche nucleari sono a scopo civile, ma subisce minacce di ogni tipo dagli Usa i quali, però, hanno accettato, nel marzo scorso, di fornire materiali e tecnologia atomici all’India che già possiede ”illegalmente” armi nucleari. Il divieto selettivo (sì alle atomiche per i miei alleati e no per tutti gli altri) contribuisce a togliere credibilità e autorevolezza ai propositi di Washington contro la proliferazione. L’esclusivo club nucleare (otto Paesi in tutto) rischia presto di allargarsi notevolmente, ma attribuirne la colpa esclusivamente a qualche “Stato canaglia” non servirà a risolvere il problema.