Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Piccola e letale, ecco l'arma testata a Gaza

Piccola e letale, ecco l'arma testata a Gaza

di Annalena Di Giovanni - 15/10/2006

 
Addio cluster bomb, le nuove munizioni figlie della guerra al terrorismo si chiamano Small diameter bomb e Dense inert metal explosive (Dime). Aspirano ad essere ordigni «umanitari»: piccole dimensioni, effetto circoscritto, usabili su zone abitate senza sollevare troppe proteste. In realtà sono più letali delle precedenti: frammenti cancerogeni, tagli e ferite che non si rimarginano

Più piccole, più letali e più precise. Svuotati gli arsenali dalle discusse bombe a grappolo, sarebbe ora nelle «armi a letalità concentrata», o «munizioni dai ridotti danni collaterali», la svolta per la cosiddetta guerra al terrorismo. Una nuova generazione di ordigni dalle ridotte dimensioni ad effetto circoscritto, tanto da poterle utilizzare nelle aree densamente popolate: in Afghanistan, in Iraq, nei Territori occupati palestinesi, in Libano. Non tanto per contrastare un esercito regolare, quanto piccoli gruppi di guerriglieri spesso camuffati (secondo le versioni ufficiali) all'interno dei centri abitati. Un tipo di intervento, il bombardamento aereo, finora limitato dagli estesi danni che esso comporta: decine di civili uccisi, abitazioni danneggiate, proteste dell'opinione pubblica.

Ora il problema potrebbe essere risolto. A partire dalle richieste di marina e aviazione americane, con la plausibile cooperazione militare israeliana, nel 2003 la Boeing ha vinto l'appalto per la progettazione delle Small diameter bomb (bombe di piccolo diametro), ordigni che non superassero i 90 chili di peso e il metro e mezzo di lunghezza. Grazie ad ingenti stanziamenti da parte del Dipartimento della difesa americano (investimenti raddoppiati nel 2004) i primi prototipi sono stati disponibili per la sperimentazione sul campo a partire dal maggio 2006, e già dallo scorso settembre sarebbero disponibili negli arsenali militari. Con una variante rispetto alle munizioni tradizionali: il Dense inert metal explosive, ovvero l'ultimo ritrovato in fatto di letalità concentrata.

Il Dime è formato da una carica interna in lega di tungsteno (quello delle lampadine, tanto per capirne conduzione e reattività). Libera nell'aria una polvere incandescente che, cadendo sul proprio peso specifico, aggredisce l'obiettivo con una certa angolazione provocando innumerevoli tagli e ferite senza superare i 4 metri di gittata. Alla carica inerte viene combinato un involucro esterno in fibra di carbonio, più leggero ed economico del metallo, invisibile a raggi x. Una volta esploso si polverizza in microparticelle invece che in schegge. Pur essendo capace di penetrare il cemento armato, la fibra di carbonio non offre eccessiva resistenza alla detonazione dell'esplosivo contenuto, aumentandone di fatto l'efficacia, al punto che i primi prototipi hanno distrutto gli strumenti di misurazione dei laboratori militari. Un Dime sarebbe inoltre capace di seguire il proprio obiettivo mobile grazie alla propria leggerezza e ad un sistema di controllo Gps.

Dunque: alta precisione, esplosione circoscritta, nessuna scheggia. Ma la svolta sembra poco positiva. Test finora intrapresi nei laboratori militari di Maryland avrebbero dimostrato, secondo il New Scientist del febbraio 2005, una mortalità del 100% sulle cavie: esposte ai frammenti di tungsteno, nel giro di 5 mesi sviluppavano tutte la stessa rara forma di cancro, il rabdosarcoma. Ma accantonando le ipotesi sulla tossicità del tungsteno, rimangono preoccupazioni più urgenti. Se quanto testato a Gaza erano Dime, come sembra altamente probabile, gli effetti prodotti sembrano più gravi di quelli delle vecchie bombe in acciaio. Poche centinaia di schegge vengono sostituite da una lacerante nube di particelle incandescenti che penetrano, tagliano e ustionano le vittime fino alle ossa. Nel giro di pochi minuti provocano la necrosi di interi arti, infine si depositano all'interno del corpo senza possibilità di estrazione. Il tutto in uno scenario asimmetrico, nel quale da una parte c'è un essere umano, dall'altra una bomba sganciata da un drone pilotato a distanza, e dove aumenta il numero delle vittime invisibili: gli invalidi permanenti. Ottenere il massimo dei risultati e il minimo delle perdite, questo l'imperativo. E, viste le ridotte dimensioni delle Dime, le munizioni incamerabili da ogni velivolo si quadruplicano automaticamente.

In conclusione, la differenza delle munizioni a letalità concentrata potrebbe essere proprio nella giustificazione morale suggerita dai committenti stessi: il presunto interesse a limitare i danni collaterali. Difficile, in base al diritto umanitario, proibire l'uso di queste munizioni, devastanti nei fatti ma presentate come ridotte, circoscritte ai soli «terroristi». Il Dime, economico e leggero, potrebbe essere sganciato in aree densamente popolate, in quantità quattro volte superiori, provocando gli effetti riscontrati a Gaza (né civili, né donne né bambini sono stati risparmiati). E allora sarà la sua stessa definizione di arma a basso danno collaterale a fornire un alibi a chiunque la utilizzi, assai più giustificabile delle «vecchie» armi finora utilizzate.

Annalena Di Giovanni
Fonte:
http://www.ilmanifesto.it/
Link:
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/12-Ottobre-2006/art41.html
12.10.2006

Quelle ferite misteriose che nessuno spiegava

Anwar Abu Houli ha 43 anni e per anni ha fatto il paramedico a Deir Al Balah, guidando le ambulanze durante le incursioni militari. Ma la mattina del 19 luglio, mentre presta soccorso alle vittime di un'esplosione fra gli stretti vicoli di Mughazi Camp, accade qualcosa: dal cielo, probabilmente da un drone israeliano, viene sganciato un ordigno. Plana davanti a lui con un leggero sibilo, non fa rumore neanche quando tocca terra. All'improvviso la detonazione: Anwar si ritrova a terra, con una gamba tagliata all'altezza dello stinco, il corpo lacerato da microscopici tagli interni e da una polvere che sembra rimanergli sotto la pelle, ustionandolo. Durante il trasporto all'ospedale la polvere gli aggredisce la carne, coagula i vasi sanguigni, devitalizza i tessuti, come «invecchiandoli». I medici si ritrovano impotenti di fronte alla rapida necrosi e non possono che amputare, senza trovare alcuna scheggia che spieghi tagli e ustioni.
Anwar Abu Houli è uno dei pochi sopravvissuti palestinesi disponibili ad essere intervistati. Il suo non è un caso isolato: lo stesso giorno nell'ospedale di Deir al Balah si sono registrati altri cinque casi, e a Gaza City il 26 luglio si contavano 19 mutilati su 50 feriti e 27 morti: un rapporto fra vittime e invalidi pressochè paritario. Percentuali e sintomi senza precedenti: in agosto l'allarme che a Gaza si stia testando un'arma completamente nuova raggiunge la stampa internazionale, se ne occupa estesamente anche il manifesto. Ma l'elettricità nella Striscia va e viene compromettendo i contatti con l'esterno, le autopsie sono impossibili, il blocco ai confini impedisce di spedire reperti da analizzare.
Oggi le «nuove armi» sperimentate sui palestinesi durante l'operazione militare israeliana «Pioggia d'estate» potrebbero avere un nome. Il nucleo di inchieste di Rainews24, recatosi a Gaza, ha individuato in un progetto americano di bombe a diametro ridotto combinate col Dime, il Dense inert metal explosive, la plausibile spiegazione delle misteriose ferite riscontrate. Il Dime sarebbe una tipologia di munizione a cosiddetta letalità concentrata, un prodotto delle esigenze della «guerra al terrorismo». Proprio fra giugno e luglio dovevano esserne disponibili i primi prototipi. E' probabile che Gaza abbia fornito il miglior scenario per una sperimentazione sul campo di battaglia, in settimane di relativa disattenzione mediatica a causa dei bombardamenti in Libano.
Analisi scientifiche indipendenti commissionate ai laboratori dell' Università di Parma da Rainews24 su frammenti e polveri fornite dai medici di Gaza hanno confermato la presenza di carbonfibra e tungsteno, i due elementi caratteristici del Dime. Ha detto alla Rai l'ex maggiore generale dell'aviazione israeliana (e direttore del programma israeliano per lo sviluppo degli armamenti) Itzhak Ben-Israel: «Qualcosa di abbastanza piccolo e preciso da colpire soltanto l'obiettivo identificato, senza altre vittime involontarie, da migliaia di metri di distanza, cambierebbe la guerra come vogliamo». Dal quotidiano Haaretz, ieri il giornalista Meron Rappaport ha lanciato l'allarme, subito rispedito al mittente dal portavoce dell'esercito israeliano che ha smentito l'uso di armi Dime, aggiungendo però che «per ovvi motivi Tsahal non entra nei dettagli riguardo ai propri armamenti e all'uso che di essi fa».
Il filmato dell'inchiesta è da oggi disponibile sul sito di Rainews24.

Annalena Di Giovanni
Fonte:
http://www.ilmanifesto.it/
Link:
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/12-Ottobre-2006/art38.html
12.10.2006