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Molecole & scelta, neuropeptidi: le emozioni e il corpo-mente

di Candace Pert


Nel mio intervento esporrò una serie di nuove e affascinanti scoperte sulle sostanze chimiche del corpo chiamate neuropeptidi. Basandomi su queste scoperte, avanzerò l’idea che i neuropeptidi e i loro recettori formino una rete d’informazioni all’interno del corpo. Forse sembra un’ipotesi senza importanza, ma in realtà è gravida di conseguenze. Io credo che i neuropeptidi e i loro recettori rappresentino una chiave per comprendere in che modo la mente e il corpo siano interconnessi e come le emozioni si possano manifestare in tutto il corpo. In realtà, più si approfondiscono le nostre conoscenze sui neuropeptidi, più diventa difficile pensare al corpo e alla mente in termini tradizionali. È sempre più appropriato parlare di una sola entità integrata, un corpo-mente.
Parlerò soprattutto di scoperte di laboratorio, di dati rigorosamente scientifici. Ma è importante ricordare che lo studio scientifico della psicologia si basa tradizionalmente sull’apprendimento e la cognizione animali. Ciò vuol dire che se date un’occhiata all’indice dei testi classici di psicologia, non troverete molto spesso termini come consapevolezza, mente o emozioni. Questi argomenti non fanno parte della tradizionale psicologia sperimentale, la quale studia soprattutto il comportamento, perché esso può essere visto e misurato.

La specificità dei siti recettori
C’è un settore della psicologia in cui la mente – almeno la consapevolezza – viene studiata oggettivamente da almeno venti anni. È la psicofarmacologia, nell’ambito della quale i ricercatori hanno sviluppato metodi molto rigorosi per misurare gli effetti dei farmaci e degli stati alterati di consapevolezza.
Le ricerche in questo campo sono partite dall’assunto che nessun farmaco può avere effetto se non è fissato, cioè se in qualche modo non si attacca al cervello. Quindi, all’inizio i ricercatori hanno immaginato ipotetici tessuti costituenti ai quali un farmaco potrebbe legarsi – più o meno come una chiave entra in una serratura – e li hanno chiamati recettori. Così, l’idea di specifici recettori cerebrali per i farmaci divenne una teoria centrale della farmacologia. Si tratta di un’idea vecchissima.
In anni recenti un passo avanti fondamentale è stato la scoperta di tecniche per legare i farmaci a questi recettori e per studiare sia la loro distribuzione nel cervello sia la loro concreta struttura molecolare.
Cominciai a lavorare in questo campo nel laboratorio di Solomon Snyder alla Johns Hopkins Univesity, dove concentrammo l’attenzione sull’oppio, una droga che come è noto altera la consapevolezza ed è usata in Medicina per alleviare il dolore. Ho lavorato duramente, con molti insuccessi iniziali, al fine di creare un metodo per misurare la materia cerebrale con cui l’oppio interagisce producendo i suoi effetti. Per semplificare un discorso lungo e complicato, dirò che abbiamo usato delle sostanze radioattive grazie alle quali siamo riusciti a identificare l’elemento recettore dell’oppio nel cervello. Potete immaginare, quindi, una molecola di oppio che si attacca a un recettore, e da questo piccolo legame vedete svilupparsi dei grandi cambiamenti. In seguito si scoprì che l’intera classe di farmaci cui appartiene l’oppio – che sono chiamati oppiacei e che includono, oltre all’oppio, morfina, codeina ed eroina – si fissa allo stesso recettore. Poi scoprimmo che i recettori erano diffusi ovunque, non solo in tutto il cervello.
Dopo aver scoperto il recettore per gli oppiacei esterni, il nostro pensiero si spinse un passo oltre. Se il cervello e le altre parti del corpo hanno un recettore per qualcosa che viene assunto dall’esterno, sembra lecito supporre che anche all’interno del corpo esista qualcosa che si fissi al recettore. Altrimenti, perché esisterebbe il recettore?
Questa intuizione portò all’identificazione di una delle forme di oppiaceo presente all’interno del cervello, una sostanza chimica chiamata beta endorfina. La beta endorfina è sintetizzata nelle cellule nervose del cervello e consiste di peptidi, quindi è un neuropeptide. Inoltre, i peptidi si sviluppano direttamente dal DNA, che immagazzina le informazioni per creare il nostro cervello e il corpo.
Se immaginate una comune cellula nervosa, potete visualizzare il meccanismo generale. Al centro (come in ogni cellula) c’è il DNA, e una “stampa” diretta del DNA porta alla produzione di un neuropeptide, che a quel punto attraversa gli assoni della cellula nervosa per venire immagazzinato nelle piccole sfere poste all’estremità, in attesa di particolari eventi elettro-fisici che lo libereranno. Il DNA produce anche i recettori, che sono composti della stessa sostanza dei peptidi, ma sono molto più grandi. Ciò che va aggiunto a questo quadro è il fatto che sono stati identificati da cinquanta a sessanta neuropeptidi, ognuno dei quali specifico come il neuropeptide beta endorfina. Siamo di fronte dunque a un sistema enormemente complesso.
Fino a tempi recenti si pensava che le informazioni del sistema nervoso fossero distribuite nello spazio tra due cellule nervose, chiamato sinapsi. Ciò significava che la vicinanza delle cellule nervose determinava ciò che poteva essere comunicato.
Ma ora sappiamo che la maggior parte delle informazioni provenienti dal cervello non dipende direttamente dalla sovrapposizione fisica delle cellule nervose, ma dalla specificità dei recettori. Quello che veniva ritenuto un sistema lineare altamente rigido sembra invece dotato di schemi di distribuzione molto più complessi.
Dunque, quando una cellula secerne i peptidi oppiacei, questi possono agire a “chilometri” di distanza sulle altre cellule nervose. Lo stesso vale per tutti i neuropeptidi. In qualsiasi momento, molti neuropeptidi possono scorrere all’interno del corpo, e ciò che li rende capaci di fissarsi al giusto recettore è, lo ripetiamo, la specificità di quest’ultimo. Quindi, i recettori sono il meccanismo che regola lo scambio di informazioni nel corpo.

La biochimica delle emozioni Dove ci porta tutto ciò? A un concetto affascinante: i recettori dei neuropeptidi sono in realtà la chiave per capire la biochimica delle emozioni. Negli ultimi anni i ricercatori del mio laboratorio hanno formalizzato questa idea in molti documenti teorici, e ora farò una sintesi delle prove a sostegno di questa tesi.
Devo dire che alcuni scienziati potrebbero essere inorriditi da questa idea. In altre parole, essa non fa parte delle conoscenze acquisite. Di fatto, venendo da una tradizione in cui i libri di testo non contengono nemmeno la parola emozioni nell’indice, non è senza trepidazione che abbiamo osato cominciare a parlare del substrato biochimico delle emozioni.
Comincerò facendo notare un fatto su cui i neuroscienziati si sono dichiarati d’accordo per molti anni: le emozioni sono mediate dal sistema limbico del cervello. Il sistema limbico include l’ipotalamo (il quale controlla i meccanismi omeostatici del corpo e talvolta viene chiamato il “cervello” del cervello), la ghiandola pituitaria (che regola gli ormoni del corpo) e l’amigdala. Noi parleremo soprattutto dell’ipotalamo e dell’amigdala.
Gli esperimenti che dimostrano il legame tra le emozioni e il sistema limbico vennero fatti per la prima volta da Wilder Penfield e altri neurologi che lavoravano su individui consci e svegli. I neurologi scoprirono che usando elettrodi per stimolare la corteccia sopra l’amigdala si poteva suscitare un’ampia gamma di emozioni: rabbia, dolore, piacere associati ad antichi ricordi, con tutte le corrispondenti manifestazioni somatiche. Il sistema limbico venne identificato per la prima volta, quindi, grazie a esperimenti psicologici.
Ebbene, quando abbiamo cominciato a individuare l’ubicazione dei recettori dell’oppio nel cervello abbiamo scoperto che il sistema limbico ne era ricco (in seguito avremmo scoperto che ciò valeva anche per altri recettori). L’amigdala e l’ipotalamo, entrambi tradizionalmente considerati i componenti principali del sistema limbico, sono in realtà pieni di recettori oppiacei: essi ne contengono quaranta volte di più delle altre aree del cervello.
Questi “punti caldi” corrispondono a nuclei o gruppi cellulari molto specifici che psicologi e fisiologi hanno identificato come mediatori di processi quali il comportamento sessuale, l’appetito e l’equilibrio dell’acqua nel corpo. Il punto importante è che la nostra mappa dei recettori ha confermato ed espanso in modo significativo gli esperimenti psicologici che definivano il sistema limbico.
Ora vorrei parlare di altri neuropeptidi. Ho già detto che oggi vengono considerate neuropeptidi da cinquanta a sessanta sostanze. Da dove vengono? Molte di loro sono analoghi naturali delle droghe psicoattive. Ma un’altra fonte importante – davvero inaspettata – sono gli ormoni. Storicamente, si è sempre pensato che gli ormoni fossero sintetizzati dalle ghiandole, non dalle cellule nervose. Un ormone, presumibilmente, era immagazzinato in un punto del corpo, poi viaggiava verso i suoi recettori in altre parti del corpo. L’ormone fondamentale è l’insulina, che è secreta dal pancreas. Ma ora si è scoperto che l’insulina non è soltanto un ormone. Di fatto, l’insulina è un neuropeptide, sintetizzato e immagazzinato nel cervello, e nel cervello vi sono recettori dell’insulina. Facendo la “mappa” delle posizioni dell’insulina, troviamo di nuovo punti caldi nell’amigdala e nell’ipotalamo. In breve, è diventato sempre più chiaro che il sistema limbico, sede delle emozioni nel cervello, è anche il punto focale dei recettori per i neuropeptidi.
Un altro punto critico. Studiando la distribuzione di questi recettori, abbiamo scoperto che il sistema limbico non è solo nel proencefalo, la classica ubicazione dell’amigdala e dell’ipotalamo. Sembra che nel corpo ci siano altri punti che contengono recettori per molti diversi neuropeptidi, punti nei quali avviene un’intensa attività chimica e che abbiamo chiamato punti nodali. Dal punto di vista anatomico, essi sono localizzati in luoghi in cui avviene una grande modulazione delle emozioni.
Un punto nodale è il corno dorsale della spina dorsale, che è il punto da cui entrano le informazioni sensoriali. Questa è la prima sinapsi nel cervello dove vengono elaborate le informazioni sensoriali. Abbiamo scoperto che, praticamente, per tutti i sensi di cui conosciamo l’area di ingresso, quest’ultima è sempre un punto nodale di recettori di neuropeptidi. Credo che queste scoperte siano importantissime per capire e apprezzare ciò che le emozioni sono e possono fare. Considerate la sostanza chimica angiotensina, un altro classico ormone che è anche un peptide e che ora è considerato un neuropeptide. Quando facciamo la mappa dei recettori dell’angiotensina nel cervello, ci imbattiamo nuovamente in punti caldi nell’amigdala. Da molto tempo si sa che l’angiotensina controlla la sete: infatti, impiantando un tubicino nell’area del cervello di un topo ricca di recettori di angiotensina e versandovi un po’ di quest’ultima, entro dieci secondi il topo comincerà a bere, anche se è totalmente sazio di acqua. Quindi, dal punto di vista chimico, l’angiotensina crea uno stato alterato di consapevolezza, uno stato che fa dire agli animali (e agli uomini): “Voglio acqua”. In altre parole, i neuropeptidi ci portano in uno stato di consapevolezza e in stati alterati di quest’ultimo.
Ugualmente importante è il fatto che i recettori dei neuropeptidi non sono soltanto nel cervello, ma anche nel corpo. Abbiamo dimostrato dal punto di vista biochimico che nei reni vi sono recettori dell’angiotensina uguali a quelli del cervello, e che i recettori situati nei reni conservano l’acqua in modi non ancora ben compresi. Il punto è che il rilascio del neuropeptide angiotensina porta sia a bere sia a conservare acqua nel corpo. Questo è un esempio di come un neuropeptide – che forse corrisponde a uno stato d’animo – può integrare ciò che avviene nel corpo con ciò che avviene nel cervello (un ulteriore, importante punto che qui mi limito ad accennare è che l’integrazione generale del comportamento sembra concepita per facilitare la sopravvivenza).
Il mio ragionamento fondamentale è che i neuropeptidi forniscono la base fisiologica delle emozioni. Come io e i miei colleghi abbiamo scritto in un articolo sul Journal of Immunology: “La singolare distribuzione dei recettori dei neuropeptidi nelle aree del cervello che regolano l’umore, così come il loro ruolo nel mediare la comunicazione in tutto l’organismo, fa dei neuropeptidi i primi candidati alla mediazione biochimica delle emozioni. Potrebbe anche essere che i neuropeptidi influenzano il processo delle informazioni solo quando occupano i recettori nei punti nodali del cervello e del corpo. Se è così, ogni neuropeptide può evocare un solo «tono», equivalente a uno stato di animo”.
All’inizio del mio lavoro, pensavo realisticamente che le emozioni erano nella testa o nel cervello. Ora direi che esse sono anche nel corpo. Si esprimono nel corpo e fanno parte del corpo. Non riesco più a fare una netta distinzione tra il cervello e il corpo.

Comunicare con il sistema immunitario
A questo punto voglio introdurre nel quadro il sistema immunitario. Ho già spiegato che il sistema degli ormoni, che storicamente è stato considerato separato dal cervello, è concettualmente la stessa cosa del sistema nervoso. Grandi quantità di succhi sono rilasciati e si diffondono molto lontano, agendo tramite la specificità dei recettori in punti assai distanti da quelli che in cui vengono immagazzinati. Quindi, l’endocrinologia e la neuroscienza sono due aspetti dello stesso processo. Ora sosterrò che anche l’immunologia fa parte di questo sistema concettuale e quindi non andrebbe considerata una disciplina separata.
Una proprietà fondamentale del sistema immunitario è che le cellule si muovono. Altrimenti sarebbero identiche alle cellule fisse del cervello, con i loro nuclei, membrane cellulari e tutti i recettori. I monociti, per esempio, che ingeriscono gli organismi estranei, cominciano la vita nel midollo osseo, quindi si spargono viaggiando nelle vene e nelle arterie, decidendo dove andare in base a indizi chimici. Un monocite viaggia nel sangue e a un certo punto arriva sufficientemente vicino a un neuropeptide, e poiché il monocite ha nella sua superficie recettori per il neuropeptide, comincia letteralmente a “strisciare” per chemiotassi verso la sostanza chimica. Di questo esistono molte prove e ci sono ottimi modi per studiare il fenomeno in laboratorio.
Ebbene, i monociti sono responsabili non solo del riconoscimento e dell’eliminazione dei corpi estranei, ma anche della guarigione delle ferite e della riparazione dei tessuti. Quindi, ciò di cui stiamo parlando sono cellule fondamentali, alla base della vita.
La nuova scoperta che qui voglio sottolineare è che ogni recettore di neuropeptide che abbiamo cercato (usando un sistema elegante e preciso sviluppato dal mio collega Michael Ruff) esiste anche nei monociti umani. Questi ultimi hanno recettori per gli oppiacei, per il PCP, per un altro peptide chiamato bombasina, etc. Sembra che queste sostanze biochimiche che influenzano le emozioni controllino il percorso e lo spostamento dei monociti, i quali sono fondamentali per il sistema immunitario. Essi comunicano con le cellule B e T, interagiscono con tutto il sistema per contrastare la malattia, distinguere l’io dal non-io, decidere quale parte del corpo è una cellula tumorale da uccidere mediante cellule killer naturali e quali parti hanno bisogno di essere riparate. Spero che questo quadro vi si sia chiaro.
Un monocite è in circolazione dentro al sangue, quando la presenza di un oppiaceo lo attira, e può connettersi al neuropeptide perché ha il recettore per farlo. Di fatto, esso ha molti recettori per molti neuropeptidi.
Pare, inoltre, che le cellule del sistema immunitario non solo hanno recettori per questi diversi neuropeptidi, ma che producono da sole i neuropeptidi, come sta diventando sempre più chiaro. Esistono sottoinsiemi di cellule immunitarie che creano le beta endorfine, per esempio, e gli altri peptidi oppiacei. In altre parole, queste cellule immunitarie stanno producendo le stesse sostanze che secondo noi controllano l’umore nel cervello. Esse controllano l’integrità dei tessuti nel corpo e producono anche le sostanze chimiche che controllano l’umore. Ancora una volta, corpo e mente.

La mente come insieme di informazioni
Cosa significa questo tipo di connessioni tra corpo e cervello? Di solito a esse ci si riferisce come al potere della mente sul corpo. Per quanto mi riguarda, questa frase non descrive ciò che stiamo facendo. Io mi spingerei più in là. Tutti conosciamo il pregiudizio occidentale secondo cui la consapevolezza è unicamente nella testa. Io credo che le scoperte da me esposte dimostrano la necessità di cominciare a chiederci in che modo la consapevolezza può essere proiettata in varie parti del corpo. Quando avremo dimostrato la misura in cui le emozioni (espresse tramite molecole neuropeptidi) influenzano il corpo, diventerà chiaro come esse possono essere una chiave per capire la malattia. Sfortunatamente, la gente che pensa queste cose di solito non lavora in un laboratorio governativo.
La mia tesi è che le tre classiche aree della neuroscienza, dell’endocrinologia e dell’immunologia, con i loro diversi organi – il cervello (che è l’organo fondamentale studiato dai neuroscienziati), le ghiandole e il sistema immunitario (costituito dalla milza, il midollo spintale, i linfonodi e naturalmente dalle cellule in circolazione nel corpo) – sono in realtà unite da una rete di comunicazioni bi-direzionali e che i “portatori” di informazioni sono i neuropeptidi. Esistono substrati fisiologici ben studiati che dimostrano come la comunicazione avvenga in entrambe le direzioni per ognuna di queste aree e dei loro organi. Alcune ricerche risalgono a molti anni fa, altre sono recenti.
La parola che mi preme sottolineare, in questo sistema integrato, è rete, che viene dalla teoria delle informazioni. Infatti, tutto ciò di cui abbiamo parlato finora sono informazioni. In tale contesto, quindi, potrebbe essere più appropriato enfatizzare la prospettiva psicologica – letteralmente, lo studio della mente – piuttosto che quella della neuroscienza. Una mente è composta di informazioni e ha un substrato fisico, cioè il corpo e il cervello; inoltre, possiede un altro substrato immateriale che ha a che fare con il flusso di informazioni. Quindi, forse la mente è costituita dalle informazioni che scorrono tra tutte queste parti del corpo. Forse la mente è ciò che tiene insieme la rete.
L’Unità della Varietà
L’ultima cosa che voglio dire dei neuropeptidi è davvero sorprendente. Come abbiamo visto, i neuropeptidi sono molecole che mandano segnali. Essi inviano messaggi in tutto il corpo (incluso il cervello). Naturalmente, per avere un tale sistema di comunicazioni, occorrono componenti in grado di parlarsi e ascoltarsi. Nel nostro contesto, i componenti che “parlano” sono i neuropeptidi, mentre quelli che ascoltano sono i loro recettori. Come può essere questo? In che modo cinquanta, sessanta neuropeptidi nascono, viaggiano e parlano a cinquanta, sessanta varietà di recettori in ascolto, situati su vari tipi di cellule? Come mai regna l’ordine anziché il caos?
La scoperta di cui voglio parlare non è totalmente accettata, ma i nostri esperimenti dimostrano la sua validità. Non l’ho ancora pubblicata, ma penso che la sua conferma da parte di tutti sia solo una questione di tempo.
Esistono migliaia di scienziati che studiano i recettori degli oppiacei e i peptidi oppiacei. Essi osservano una grande eterogeneità nei recettori, che hanno chiamato con nomi greci. Ma tutti i dati dei nostri esperimenti lasciano pensare che in realtà esiste un solo tipo di molecola nei recettori oppiacei: una lunga catena di polipeptidi di cui si può scrivere la formula. Questa molecola è capace di cambiare conformazione all’interno della sua membrana, in modo da assumere varie forme.
Di passaggio, noto che tale interconversione può avvenire a velocità così elevata che è difficile dire se in un dato momento la molecola si trovi in uno stato o nell’altro. In altre parole, i recettori hanno allo stesso tempo la natura di onda e di particella, ed è importante osservare che le informazioni vengono memorizzate in base alla forma avuta in quel momento.
Come ho detto, l’armonia molecolare dei recettori è straordinaria. Considerate il tetrahymena, un protozoo che è uno degli organismi più semplici. Nonostante la sua semplicità, il tetrahymena può fare praticamente tutto ciò che noi sappiamo fare: mangiare, avere attività sessuali e naturalmente produrre gli stessi neuropeptidi di cui sto parlando. Il tetrahymena sintetizza l’insulina e le beta endorfine. Abbiamo preso le membrane del tetrahymena e studiato in particolare i recettori degli oppiacei presenti in esse; abbiamo studiato il recettore degli oppiacei anche nel cervello dei topi e nei monociti umani.
Crediamo di aver dimostrato che la sostanza molecolare di tutti i recettori oppiacei è la stessa. La molecola del recettore degli oppiacei nel cervello umano è identica a quella di quel semplicissimo animale, il tetrahymena. Spero che le implicazioni di ciò siano chiare. Il recettore degli oppiacei nel mio e nel vostro cervello è, alla radice, fatto della stessa sostanza molecolare del tetrahymena.
Questa scoperta ci fa riflettere sulla semplicità e l’armoniosità della vita. È paragonabile alle quattro coppie di base del DNA che codificano la sintesi di tutte le proteine, che sono il substrato fisico della vita. Ora sappiamo che in questo substrato fisico esistono solo circa sessanta molecole segnalatrici, i neuropeptidi, che regolano la manifestazione fisiologica delle emozioni o, se preferite, il modo in cui esse vengono espresse o, ancora meglio, il flusso di energia. Il protozoo tetrahymena dimostra che i recettori non diventano più complessi man mano che un organismo è più evoluto. Le stesse componenti molecolari alla base del flusso delle informazioni si conservano per tutta l’evoluzione. L’intero sistema è semplice, elegante e può benissimo essere completo.

La mente è nel cervello?
Abbiamo parlato della mente, e sorge la domanda: dove si trova? Nel nostro lavoro, la consapevolezza è emersa studiando il dolore e la sua modulazione operata dai recettori degli oppiacei e dalle endorfine. Molti laboratori stanno misurando il dolore e siamo tutti d’accordo nel dire che l’area chiamata grigio periacqueduttale, situata intorno al terzo ventricolo del cervello, è piena di recettori oppiacei che ne fanno una sorta di area di controllo del dolore. Abbiamo anche scoperto che il grigio periacqueduttale è pieno di recettori per praticamente tutti i neuropeptidi studiati.
Ebbene, tutti sanno che esistono yogi capaci di avvertire o meno il dolore, grazie al modo in cui strutturano la loro esperienza. Le partorienti fanno la stessa cosa. Apparentemente, queste persone sembrano capaci di attingere al loro grigio periacqueduttale. In qualche modo ne hanno accesso – tramite la loro consapevolezza, credo – e cancellano il dolore. Osservate quanto sta avvenendo. In queste situazioni, una persona ha un’esperienza che porta con sé dolore, ma una parte di quella persona fa consapevolmente qualcosa per cui non avverte il dolore. Da dove viene questa consapevolezza – questo io conscio – che in qualche modo ha accesso al grigio periacqueduttale, rendendo lui/lei capace di non avvertire una cosa?
Vorrei tornare all’idea di rete. Una rete è diversa da una struttura gerarchica in cui esiste un vertice. Teoricamente puoi entrare in una rete in un punto qualsiasi e dirigerti dove preferisci. Secondo me, questa idea è utile per spiegare il processo tramite il quale una consapevolezza riesce a raggiungere il grigio periacqueduttale, usandolo per controllare il dolore.
Gli yogi e le partorienti usano entrambi una tecnica simile per controllare il dolore: il respiro. Anche gli atleti vi fanno ricorso. Il respiro è estremamente potente. Io ipotizzo che dietro questi fenomeni ci sia un substrato fisico, i nuclei del tronco encefalico. Direi che ora dovremmo includere questi ultimi nel sistema limbico, perché sono punti nodali fittamente ricoperti di neuropeptidi e dei loro recettori.
L’idea, quindi, è questa: il respiro ha un substrato fisico che è anche un punto nodale; questo punto nodale fa parte di una rete di informazioni in cui ogni parte conduce a tutte le altre parti e così, dal punto nodale dei nuclei del tronco encefalico, la consapevolezza può, tra le altre cose, avere accesso al grigio periacqueduttale.
Penso che ora sia possibile concepire la mente e la consapevolezza come un prodotto del processo di elaborazione delle emozioni; in quanto tali, mente e consapevolezza sembrano indipendenti dal cervello e dal corpo. La mente può sopravvivere alla morte fisica?
Vorrei fare un’ultima riflessione, forse scandalosa, ma in linea con il tema per cui mi è stato chiesto di parlare in questo simposio su Sopravvivenza e consapevolezza: la mente può sopravvivere alla morte del cervello fisico? Forse dobbiamo ricordare il concetto matematico secondo cui entità fisiche possono improvvisamente collassare o espandersi all’infinito. Penso che sia importante capire che le informazioni vengono immagazzinate nel cervello, e per me è fattibile che esse possano trasformarsi in un’altra dimensione. Le molecole del DNA hanno sicuramente le informazioni che creano il corpo e il cervello, e il corpomente sembra scambiare le molecole delle informazioni che danno vita all’organismo. Dove vanno le informazioni dopo la distruzione delle molecole (la massa) che le compone? La materia non si può né creare né distruggere, e forse alla morte il flusso di informazioni biologiche non può semplicemente sparire, ma si trasforma in un’altra dimensione. Chi può razionalmente dire impossibile? Nessuno ha ancora matematicamente unificato la teoria del campo gravitazionale con la materia e l’energia. La matematica della consapevolezza non è stata ancora nemmeno tentata. La natura dell’ipotetica altra dimensione rientra attualmente nella sfera religiosa o mistica, ai quali ovviamente è negato l’accesso alla scienza occidentale.

Fonte
“Molecole & Scelta” di Candace Pert, PhD, è apparso per la prima volta su “Shift: alle frontiere della consapevolezza” (No. 4, September-November, 2004, pp. 20-24), la pubblicazione quadrimestrale del Institute of Noetic Sciences (IONS), ed è qui tradotto e stampato con il permesso dell’autrice (www.candacepert.com) e di IONS (www.noetic.org & www.shiftinaction.com), tutti i diritti riservati. Copyright 2006 –

Chi è Candace Pert Dr Candace Pert è una psicofarmacologa riconosciuta a livello internazionaleis ex professoressa e ricercatrice presso la Scuola di Medicina dell’università di Georgetown e caposettore presso l’Istituto Nazionale di salute Mentale. Si è laureata in biologia presso il Bryn Mawr College e ha conseguito il dottorato in farmacologia presso la Johns Hopkins School of Medicine. Ha pubblicato più di 250 articoli scientifici e ha tenuto conferenze in tutto il mondo su farmacologia, neuroanatomia e sulla sua ricerca di punta relativa alla connessione tra le emozioni e il corpo-mente. La sua recente apparizione nel film What the Bleep Do We Know!? and il suo bestseller del 1997 Molecules of Emotion: The Science Behind Bodymind Medicine [Molecole di emozioni, la Scienza dietro la medicina del corpo-mente, Corbaccio 2000] hanno reso popolari le sue teorie di rottura sulla consapevolezza, i neoropeptidi e la realtà . Recentemente sta sviluppando Peptide T, un trattamento terapeutico per l’HIV, ha inoltre realizzato un Cd intitolato Psychosomatic Wellness: Healing Your Bodymind [Benessere psicosomatico; guarire il tuo corpo-mente che include meditazioni, affermazioni, musica e un booklet illustrato. Sempre di recente ha scritto un secondo libro intitolato: Everything You Need to Know to Feel Go(o)d [Tutto ciò che hai bisogno di sapere per sentirti bene-da dio – il gioco di parole good e god in italiano si perde] Per maggiori informazioni: www.candacepert.com
Per approfondire l’intervento di C. Pert nel film What the Bleep… da novembre è disponibile il Libro del Bleep, Cosa Caspita sappiamo veramente edito da Macro Edizioni