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Un ambientaccio

di Pierluigi Fagan - 15/03/2019

Un ambientaccio

Fonte: Pierluigi Fagan

Supero la mia parziale idiosincrasia per il “tema del giorno”, e scriverò una nota sul problema ambientale e partirò dalla domanda: esiste un problema ambientale? Penso di poter dire che sì, esiste un problema ambientale. Ambiente è ciò che ci contiene e non è una cosa sola, è una cosa complessa. Significa dotata di tanti parti tra loro in molteplici relazioni non lineari.
Le cose che compongono “ambiente” e che ultimamente mostrano condizioni critiche sono: andamento climatico (tra cui il poco considerato problema della dislocazione climatica ed anche a prescindere dalle sue cause se antropiche o naturali), livello degli oceani, inquinamenti ed eccessivi prelievi (soprattutto per uso industriale) dal ciclo dell’acqua, inquinamento aria e terra (addirittura “spazio”), eccessivi prelievi da fonti non rinnovabili come le acque fossili (terra fertile, molte materie prime), restrizioni dei ghiacciai, acidificazione degli oceani, diminuzione biodiversità, desertificazione, perdita di equilibrio negli ecosistemi (barriera corallina, foreste amazzoniche etc.), aumento di fenomeni atmosferici fuori scala, scioglimento ghiacci e permafrost (con ulteriore liberazione di metano), riduzione delle scorte di energie fossili e materie prime e purtroppo molto altro. Se ignorate la problematicità di ognuno di questi punti o la vastità dell’elenco qui ristretto o dubitate della misura data ai vari problemi, informatevi meglio.
Perché c’è un problema ambientale? Per la parte del problema che ha cause antropiche, perché siamo cresciuti di quattro volte in poco più di un secolo, per metà di questo periodo il modo occidentale di stare al mondo (prima relativo solo ad un terzo del mondo che usava i due terzi restanti per rapina, consumo e depositi scarti) è stato adottato anche dal resto del mondo. L’impatto quindi è aumentato per estensione ed intensione. Se pensate che esistano anche cause naturali, domandatevi allora come faranno società complesse a convivere con tali profondi cambiamenti.
Esistono diversi livelli della descrizione di mondo umano: l’umanità, i duecento stati in cui si ripartisce, gli interessi delle imprese e dei loro finanziatori, le classi sociali variamente beneficiate o colpite da questo modo di stare al mondo.
In che senso è un problema? La cascata di effetti delle varie componenti il problema è sterminato: aumento prezzi beni essenziali, disordine economico e finanziario, migrazioni ecologiche, conflitti sociali e guerre, aumento delle patologie croniche, modificazione DNA e vari tipi di sistemi biologici di cui siamo fatti, corruzione dei cicli omeostatici dei sistemi ecologici con vari tipi di conseguenze, irreversibilità di certi processi e molto altro.
Da quando c’è questo problema? Di questo problema fatto di problemi, si è cominciato a discutere negli anni’60 e sono sessanta anni che se ne discute in vario modo. Per molti decenni è stato negato dai più, ora qualcuno dei negatori è stato fulminato sulla via di Damasco. Se vi siete svegliati questa settimana attratti o sorpresi dal clamore mediatico, sappiate che mentre voi dormivate il problema già c’era, da tempo.
La diagnosi del problema e di cosa o chi l’ha causato è oggettiva? I vari indicatori che mostrano lo scostamento importante dai valori medi precedenti sono per lo più oggettivi. Sulle cause ovviamente c’è dibattito. Se c’è dibattito sulle cause figuriamoci sulle soluzioni. Ovviamente non si tratta solo di nebbia conoscitiva ovvero di nostra difficoltà a comprendere un fenomeno così complesso (cioè fatto di tante parti collegate in relazioni non lineari), ci sono interessi giganteschi che spingono da una parte e dall’altra. Dalle lotte ecologiche dei popoli indigeni ai conflitti geopolitici, dall’economia che ha interessi addirittura nello speculare sul problema per dare altro quarto d’ora di vita alla crescita (il capitalismo risolve continuamente problemi creandone di nuovi, è un “problema solving” che si autoalimenta) a quella parte che invece ha interesse a negare ci sia un problema, alle varie classi sociali per le quali il problema è una opportunità o un danno secco.
In più, ognuno approccia il problema col sistema mentale che ha in testa. Quindi ci sono quelli che postano Rubbia che nega un problema climatico, quelli che postano gli orsetti bianchi che muoiono affogati, quelli che mostrano ragazzine svedesi che commuovo per severa lucidità, quelli che affermano si tratti di una manovra mondialista e poi la ragazzina è pure antipatica, forse disturbata mentalmente, quelli che si sono svegliati da poco e ci vedono anche opportunità di far soldi, quelli che negano il problema perché la loro immagine di mondo essendo stata fabbricata nel XIX secolo non prevede questa categoria e non sanno che posizione prendere, quelli che sono in paranoia e si arrabbiano se gli negate la fonte della loro paranoia, quelli che non trattano il problema nel suo complesso ma a pezzetti, quelli che ci vedono l’opportunità per finalmente convincere tutti gli altri che il capitalismo va abbandonato domattina, quelli che la tecnologia risolverà tutte ‘e cose e molti, molti altri.
Quello ambientale è il principale problema comune per i 7,5 miliardi di umani. Ma non è comune né il contributo che ognuno di loro dà al problema, né l’interesse a risolverlo, né la mentalità con cui approcciarlo. E’ quindi un doppio problema, in sé e per la difficoltà che abbiamo anche solo a pervenire ad una sua comune definizione. Generale il problema, particolare il modo con cui lo creiamo, lo pensiamo, lo neghiamo.
[Nella cartina, i paesi in deficit ecologico su dati CIA World Fact Book 2003]