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Il triangolo della guerra

di Matteo Fagotto - 02/11/2006

Tra gruppi ribelli e accuse fra gli stati il Centrafrica rischia di esplodere
L’inizio della stagione secca ha fatto riprendere le attività belliche al confine tra Ciad, Sudan e Repubblica Centrafricana, dove nelle ultime settimane i vari gruppi ribelli della zona hanno messo alle strette i tre eserciti. Per evitare lo scoppio di un possibile conflitto regionale le Nazioni Unite stanno valutando la possibilità di inviare una forza di pace.
 
Centrafrica. L’ultima in ordine di tempo ad essere stata investita dall’ondata di scontri è stata la Repubblica Centrafricana, dove lunedì scorso un nuovo gruppo ribelle ha avuto il suo battesimo di fuoco sui campi di battaglia conquistando la città settentrionale di Birao. L'Union des Forces Démocratiques pour le Rassemblement, questo il nome della formazione armata nata lo scorso settembre, ha attaccato la città alle prime luci dell’alba cacciando l’esercito in poche ore. Il bilancio fornito dai ribelli parla di 12 morti, mentre il governo si è limitato a parlare di numerose vittime tra i civili. L’Ufdr si va ad aggiungere all'Union des Forces Républicaines, un altro gruppo ribelle già da mesi attivo nel nord del Paese. Il presidente François Bozizé ha ammesso di non riuscire a controllare la ribellione, facendo appello all’Onu per stabilizzare il Paese. Le Nazioni Unite valuteranno il possibile invio di una forza di pace nella zona, ma la diffidenza tra le amministrazioni dei tre stati coinvolti non favorisce il buon esito delle trattative.
 
Ribelli ciadianiCiad. La situazione non è migliore in Ciad, dove i ribelli dell'Union des Forces pour la Démocratie et le Développement sono tornati ad attaccare l’esercito. Giunti la scorsa settimana nella città di Am Timan, a metà strada tra il confine con il Sudan e la capitale N’Djamena i ribelli sono stati ricacciati indietro, ma domenica avrebbero inflitto pesanti perdite all’esercito in un’imboscata organizzata nei pressi del confine sudanese. Non sono poche le analogie tra le ribellioni in Ciad e nella Rep. Centrafricana: entrambe sono composte in larga parte da ex-militari che, dopo aver aiutato i rispettivi presidenti a prendere il potere con le armi, hanno deciso di rovesciarli perché insoddisfatti della “ricompensa” ricevuta. Entrambe, inoltre, godrebbero dell’appoggio del governo sudanese, almeno stando alle accuse mosse sia da Bangui che da N’Djamena. Tutti i gruppi ribelli in questione hanno infatti parte delle loro basi in Darfur, dove si rifugiano durante le controffensive degli eserciti.
 
Il presidente della Rep. Centrafricana François BozizéInstabilità. Khartoum ha negato qualsiasi appoggio ai gruppi armati della regione, accusando anzi il Ciad di appoggiare i gruppi ribelli sudanesi che operano in Darfur. I numerosi accordi di cooperazione militare raggiunti tra i due Paesi sono rimasti carta straccia, tanto che la Repubblica Centrafricana, memore dell’esempio, ha preferito tagliare la testa al toro chiudendo la frontiera con il Sudan. Senza risultati, a quanto pare. E proprio da Bangui arrivano le maggiori preoccupazioni: uscita dalla guerra civile nel 2003, la Repubblica Centrafricana non è mai riuscita a scrollarsi di dosso l’eredità del conflitto. Il Paese è stato dimenticato dall’Onu, che non ha avviato alcun serio programma di recupero post-bellico come in Liberia o in Sierra Leone. Priva di finanziamenti, Bangui non è neanche riuscita ad allestire un esercito che riesca a controllare il territorio. Lamine Cisse, rappresentante dell’Onu nel Paese, ha messo in guardia sulla possibilità che un mancato intervento possa dare l’ultima spallata a uno stato nato già claudicante. Ciad e Sudan hanno dimostrato, ancora una volta, di non essere in grado di fare le stampelle.