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La filosofia può curare?

di Pier Aldo Rovatti - 08/11/2006

Fonte: iger.org

Pier Aldo Rovatti, La filosofia può curare? La consulenza filosofica in questione, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2006, pp. 99, € 9

Il titolo di questo libro, in particolare il punto interrogativo finale, ha esercitato su di me un’attrazione immediata perché da qualche tempo m’interrogavo perplessa sulla tendenza, sempre più diffusa, di rivolgersi alla filosofia per chiedere una cura ai propri mali esistenziali, tanto da far emergere una nuova professione: la consulenza filosofica.
Mi è sembrato che dilagasse l’idea di una filosofia triturata in pillole da prendere coscienziosamente per cancellare problemi, dilemmi, angosce che possono offuscare la tranquillità dell’esistenza.
Le domande, che l’autore si pone sulla filosofia come cura, hanno trovato non risposte pacificanti, ma hanno dato una maggior nitidezza e visuali più ampie alle mie perplessità e ai miei interrogativi; in fondo non è questa una delle funzioni che essa deve assolvere?
La prima immagine emblematica, per cercare definire l’azione che la filosofia può esercitare, è quella di Socrate che, come un tafano, pungola un cavallo un po’ pigro.
Suo compito dovrebbe essere, prima di tutto, quello di porsi criticamente nei confronti “dell’ideologia contemporanea basata sulla vulnerabilità dell’individuo o sul suo ‹‹deficit emotivo››”. (pp. 19-20); in altre parole, smascherare l’idea di malattia che si sta diffondendo. Se colui che la consulta ha attese consolatorie dovrà smontarle o decostruirle, “in vista – forse – di un nuovo scenario in cui parole come ‹‹rischio›› e ‹‹spaesamento›› dovrebbero funzionare, piuttosto che come sintomi di un disagio, cioè di qualcosa da curare, come aperture di esperienza, cioè – paradossalmente – come la cura stessa o il suo primo affacciarsi.” (p. 21)
Via via che la riflessione procede diventa sempre più evidente che il fastidioso insetto deve rivolgere, prima di tutto, su di sé le punture.
Prendendo come guida Foucault di “Sorvegliare e punire” e de “L’etica della cura di sé come pratica della libertà”, la filosofia dovrebbe interrogarsi sulla sua presunzione di innocenza ed occuparsi “dei problemi del potere sociale in cui essa stessa è immersa” (p. 24); penetrare il significato di pratica filosofica come cura di sé : “esercizio del mettersi in gioco e del giocare se stessi, per trarre anche un piacere (non solo un dolore) da tale esposizione di sé a se stessi” (p. 87)