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La condanna di Saddam Hussein

di redazionale - 08/11/2006

Fonte: iraqiresistance.info

 

 

Domenica 5 novembre, con un perfetto tempismo rispetto alle elezioni di “medio termine” in corso oggi negli Usa, è stata annunciata al mondo la condanna a morte di Saddam Hussein.

Non sappiamo se questa sentenza verrà mai eseguita, ma la sua gravità resterà in ogni caso, sia per la mostruosità giuridica che l’ha consentita, sia per le conseguenze politiche in Iraq.

 

Abbiamo sempre affermato l’illegittimità del processo a Saddam, un processo frutto dell’altrettanto illegittima occupazione militare dell’Iraq.

Si è trattato di un processo farsa nel quale sono state violate le regole più elementari del diritto, un processo nel quale Saddam non ha potuto difendersi. Ai suoi avvocati è stato impedito sia di leggere i fascicoli dell’inchiesta che di interrogare i testi dell’accusa.

Il presidente di questo tribunale speciale, solo formalmente iracheno, in realtà nominato direttamente dagli Usa e con uno statuto redatto appositamente da giuristi americani, si è perfino permesso di espellere dall’aula uno degli avvocati di Saddam, Ramsey Clark, che – lo ricordiamo per chi non lo conoscesse – è un ex ministro della Giustizia degli Stati Uniti.

Cosa ha fatto Clark di tanto grave? Ha presentato alla corte un memorandum in cui si definisce il processo “una pagliacciata”.

Questa pagliacciata non è stata messa in piedi per processare Saddam per la strage di Duajail, come si vorrebbe far credere, ma solo per mostrare la prepotenza e l’arbitrio degli occupanti (non diciamo dei “vincitori”, perché pensiamo che alla fine non lo saranno).

Come abbiamo affermato fin dal 2003, la cattura ed il processo a Saddam Hussein hanno rappresentato un caso eclatante di violazione del diritto internazionale.

Il giudizio sul suo operato politico non spetta certo alle potenze occupanti, ma semmai al popolo iracheno una volta che avrà riconquistato il proprio diritto all’autodeterminazione oggi calpestato dagli Usa e dai loro alleati.

Come possono i criminali di guerra americani, responsabili dei peggiori eccidi (basti pensare a Falluja), delle peggiori nefandezze (ricordiamoci di Abu Ghraib) ergersi a paladini della giustizia?

Se Saddam è un criminale, cosa sono Bush, Blair, Olmert?

Indubbiamente agli aguzzini Usa ha dato fastidio anche il comportamento processuale di Saddam, che non si è in alcun modo piegato, che non ha accettato il ruolo di imputato e che ha rovesciato le accuse sui suoi accusatori.

Una ragione di più per arrivare ad una sentenza “esemplare”, per mostrare, come già avvenuto con Milosevic, il volto feroce del “diritto” imperiale.

 

Inequivocabili le reazioni americane: <<Una bella giornata per il popolo iracheno>> è stato il primo commento della Casa Bianca. Ed ancora, quasi a voler sbeffeggiare il mondo intero: <<Questa è la prova inconfutabile che esiste un sistema giudiziario indipendente in Iraq>>.

Ma per gli Stati uniti, oltre agli aspetti propagandistici, questa condanna ha anche un obiettivo eminentemente politico: premere sull’acceleratore dello scontro interconfessionale allo scopo di far avanzare il progetto di tripartizione dell’Iraq.

In altre parole, favorire il dispiegarsi della guerra civile come passaggio necessario per arrivare alla nascita di tre (forse addirittura quattro) staterelli più o meno controllabili, più o meno disponibili a mantenere le grandi basi a stelle e strisce costruite in questi anni.

E che la sentenza di domenica prepari questo scenario è chiaramente indicato da Salih al Mutlaq, responsabile del secondo blocco sunnita nel parlamento di Bagdad, che ha affermato che: <<La decisione non è stata saggia e il governo, non la corte ha superato i limiti con questa sentenza>>. E <<questo governo sarà responsabile delle conseguenze, della morte di centinaia di persone, dello spargimento di sangue di migliaia o centinaia di migliaia di persone>>.

Insomma, anche dietro la condanna di Saddam Hussein c’è il “divide et impera” di sempre.

Tocca alla maturità delle forze che resistono all’occupazione respingere questo tentativo, lavorando all’unità per liberare l’Iraq e per respingere i progetti di spezzettamento balcanico del paese.