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Quando Saddam era amico della Casa bianca

di Manlio Dinucci - 08/11/2006

 
La condanna a morte di Saddam Hussein è stata salutata dal presidente Bush come «una pietra miliare» in quanto segna la fine del «dominio di un tiranno». La Casa bianca ha però la memoria corta: lo stesso «tiranno», proprio nel periodo in cui ordinava la repressione per la quale ha avuto la pena capitale, era attivamente sostenuto dagli Stati uniti nella guerra contro l'Iran.

Un ruolo di primo piano nel sostenere l'Iraq di Saddam Hussein lo svolse l'attuale segretario alla difesa Donald Rumsfeld. In qualità di inviato speciale del presidente Ronald Reagan in Medio Oriente, egli si recò a Baghdad nel dicembre 1983 (tre anni dopo l'inizio della guerra contro l'Iran), incontrando Saddam Hussein, a cui strinse calorosamente la mano (come documenta un filmato dell'epoca). Scopo della sua missione era quello di riallacciare ufficialmente le relazioni con Baghdad (riprese sottobanco all'inizio della guerra contro l'Iran), che Washington aveva interrotto nel 1967 in seguito alla guerra arabo-israeliana. Dopo che Rumsfeld si recò nuovamente a Baghdad nel marzo 1984, le relazioni diplomatiche furono ufficialmente riallacciate nel novembre dello stesso anno.
Nel giorno stesso in cui Rumsfeld era a colloquio con i dirigenti iracheni, il 24 marzo 1984, l'agenzia Upi riportava dalle Nazioni unite: «Una squadra di esperti delle N.U. ha accertato che, nei 43 mesi di guerra tra Iran e Iraq, è stata usata contro i soldati iraniani iprite mista a gas nervino». Donald Rumsfeld sapeva, sin dalla prima missione a Baghdad, che le forze irachene usavano armi chimiche. Ma mai ne fece parola. Si adoperò invece per accrescere le vendite di armi statunitensi all'Iraq: tra queste 115 elicotteri militari, alcuni dei quali vennero usati nel 1988 per attaccare i kurdi con armi chimiche.

L'aiuto statunitense non si limitò a questo. Lo hanno confermato quattro anni fa alcuni ex ufficiali dei servizi segreti militari: essi hanno rivelato al New York Times (17 agosto 2002) che gli Stati uniti, durante la presidenza Reagan negli anni '80, aiutarono segretamente l'Iraq di Saddam Hussein nella guerra contro l'Iran, pur sapendo che le forze irachene impiegavano armi chimiche. Hanno inoltre precisato che, nel quadro di un programma segreto elaborato dal Pentagono, oltre 60 ufficiali della Dia (Defense Intelligence Agency) fornirono al comando iracheno foto satellitari dello schieramento delle forze iraniane, piani tattici per le battaglie e indicazioni degli obiettivi da colpire con gli attacchi aerei.
Questa «decisiva assistenza alla pianificazione delle battaglie» continuò anche dopo che «le verifiche effettuate dal Pentagono confermarono che il comando iracheno aveva integrato le armi chimiche in tutto il suo arsenale e le usava nei piani di attacco preparati o suggeriti dai consiglieri statunitensi».

Ma, terminata la guerra nel 1988, gli Stati uniti cominciarono a temere che l'Iraq acquistasse un ruolo dominante nella regione. Così quando l'Iraq - uscito dalla guerra con un grosso quanto costoso apparato militare e un debito estero di 70 miliardi di dollari, per la maggior parte nei confronti di Kuwait e Arabia saudita - si preparò nel 1990 a invadere il Kuwait, gli Stati uniti (che conoscevano nei dettagli il piano) lasciarono credere a Baghdad che l'atteggiamento ufficialmente morbido di Washington rispecchiasse la sua intenzione di restare fuori dalla faccenda. Saddam Hussein compì di conseguenza un colossale errore di calcolo politico.
Gli stessi uomini che prima lo avevano aiutato nella guerra contro l'Iran degli ayatollah - a partire da George Herbert Walker Bush, che da vice-presidente era divenuto presidente nel 1989, e da Colin Powell, che da consigliere per la sicurezza nazionale era divenuto presidente dei capi di stato maggiore riuniti - lo bollarono come nemico numero uno.