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Home / Articoli / Tra vero e verosimile. I misteri della vita: amore, dolore, morte

Tra vero e verosimile. I misteri della vita: amore, dolore, morte

di Stenio Solinas - 09/11/2006

 

Che cosa sarebbe la
vita senza seduzione?
Un deserto
sentimentale. Forse
è anche per questo
che la figura di
Don Giovanni non
ha mai cessato di ispirare scrittori,
artisti, musicisti.
A partire dal 1630, allorché il Burlador
de Sevilla venne pubblicato in
una raccolta di commedie attribuite a
Tirso de Molina, qualcosa come tremila
opere si sono
susseguite nel mettere
in scena il seduttore
per eccellenza.
Giovane o vecchio,
bello o solo interessante,
sposato o no,
padre di più figli o
disperatamente sterile,
cinico o ipocrita,
nobile di nascita o
arrampicatore sociale,
Don Giovanni ha finito
con l’incarnare
molteplici volti e panni,
quelli femminili
compresi.
In Don Juan, 1973,
Roger Vadim gli prestò
il fascino e il corpo
di Brigitte Bardot:
il film era mediocre,
ma lei era bellissima...
Qualche anno fa Pierre
Bunel ha raccolto
in un Dictionnaire de
Don Juan (Laffont
editore) forte di mille
pagine, 300 voci e
100 specialisti, il catalogo
delle sue incarnazioni.
Ci sono naturalmente
i Don Juan
canonici di Molière,
Byron, Puskin, Shaw,
Kierkegaard, Max
Frisch, Strauss, Montherlant.
Ma anche
autori meno noti o
meno importanti sono
stati raccolti per l’occasione.
Anne de
Noailles per esempio,
così come Suarès o
Roger Vailland.
Bunel ha trovato
anche spazio per voci
che ne tracciano la
carriera in Paesi come
la Boemia o la Scandinavia,
e per altre che
raccontano i suoi compagni
di avventura e di
sventura, amici e nemici,
comparse e vittime.
Il suo mito, inoltre, è
stato associato a temi
quali l’amore, il denaro,
l’incostanza, il tradimento,
il destino, la
morte, la paternità, la
vecchiaia. In breve,
pressoché tutte le metamorfosi
dongiovannesche
sono in quel Dizionario
rappresentate.
È anche alla luce di
quanto sopra che Il
giardino dei melograni
(Ponte alle Grazie, 329
pagine, 15 euro) di
Giorgio Taborelli va
salutato come un avvenimento
editoriale.
Primo di quattro volumi
scaglionati nel tempo, è
il romanzo vero di una
storia inventata e raccontata
in prima persona:
la vita di Don Juan Tenorio y
Rodriguez de Urtago, nato a Siviglia,
rampollo dei re di Toledo, cavaliere
di illustre lignaggio, ucciso dalla
lama di luce proveniente dalla statua
di un morto...
Quale sia il Don Giovanni di Taborelli
lo si capisce fin dalla prima
pagina, allorché il protagonista chiede
al suo medico, astrologo e fisico
di corte, di conoscere chi sarà l’eredi
de di chi non ha però né figli conosciuti
né fratelli o cugini: «Egli disse
che il mio successore verrà alla luce
nell’anno di Cristo 1725, non sa
dove, ma certo nell’acqua, forse
durante una navigazione. Sarà un
uomo bellissimo, assai bene disposto
per le cose dell’amore, ma di condizione
mediocre e non figlio del proprio
padre, ma del trasporto amoroso.
Sarà anch’egli coinvolto nelle
trame del potere, ma come spia e con
scarso successo. Anch’egli subirà la
prigione, ma in verità senza torture.
Non sarà ricco, né temuto, e avvicinerà
i potenti della terra solo per
divertirli, essendo di condizione non
nobile. Sarà dunque un ben modesto
successore di Don Juan Tenorio duca
di Almanera e, se il mondo dovrà
aspettarlo per oltre un secolo, è
segno che per tutto questo periodo le
misure dell’uomo saranno di un
poco ridotte rispetto al presente».
È Giacomo Casanova, dunque l’erede
ideale designato e riconosciuto e
questo di Taborelli è un vero colpo
da maestro: da un lato perché riconcilia
gli elementi della seduzione con
quelli dell’amore e del piacere, dall’altro
perché coglie perfettamente il
passaggio di un’epoca in cui la figura
seicentesca del cavaliere ha ancora
la sua impronta e la sua dignità, a
quella in cui l’Ancien Règime è
ormai divenuto una caricatura che la
rivoluzione francese più che abbattere
si limiterà a spazzare
via, rosa dal suo interno,
accartocciata in riti senza
più miti, indegna del
ruolo così a lungo e così
bene recitato.
Casanova è un Don Giovanni
senza la nobiltà e
la tragicità che un secolo
prima sarebbero stati
ancora i suoi.
Ma l’autote di Il giardino
dei melograni non si
limita a stabilire una
liaison fra un avventuriero
mai esistito e un
avventuriero in carne e
ossa. Costruisce del primo
una biografia verosimile
che si fonda su
dati, luoghi e personaggi
storici, ma si nutre altresì
di un’erudizione stupefacente
e di una scrittura
perfettamente in
grado di restituire al
secolo XVII quell’insieme
di splendore e violenza,
timore e gioia,
pulsioni pagane e pratiche
cattoliche che gli fu
proprio.
L’instancabile andare
verso Paesi e genti sconosciuti
dà al peregrinare
del suo eroe un duplice
valore: da una parte il
destino che si addice al
suo rango e al suo ruolo
e che lo porta a visitare
anche antiche e nuove
terre; dall’altro una
infantile meraviglia per
le cose del mondo, un
desiderio di libertà, di
conoscenza, una sete di
incontri, esperienze,
emozioni.
Il connubio ideale Don
Giovanni-Casanova permette
a Taborelli di uscire
dalla prigione filosofica in
cui il primo è rimasto per
secoli imprigionato, quella
che di volta in volta è stata
definita misoginia, aridità
empietà, disprezzo, per l’altro
sesso se non per il genere
umano, e di dare al suo
personaggio uno spessore:
non maschera, o carattere,
ma sangue e carne, ragione
e sentimento, tormento ed
estasi.
Rispetto all’anemica narrativa
italiana contemporanea,
la cattedrale in quattro volumi
che Taborelli ha innalzato
nei confronti di questa
figura riconcilia con quello
che dovrebbe essere il senso
del romanzo: il lavoro ben
fatto, l’ambizione e la fatica,
il piacere e il dolore che
provoca in chi lo fa, la gioia
e la riflessione che provoca
in chi lo legge.
Si capisce che dietro a Il
Giardino dei melograni c’è
una vita, una passione e forse un’ossessione.
È il racconto carnale di un mito reso
alfine moderno di un uomo inquieto,
laico e libero è uno di quei rari doni
che ogni tanto ci sono concessi in un
profluvio di inutile carta, piccole
polemiche, inesistenti casi letterari, il
capolavoro di un artista della parola
alle prese con i misteri del vivere:
l’amore, il dolore, la morte.