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Da angeli del fango a demoni del '68

di Massimo Fini - 10/11/2006

 
Quarant'anni dall'alluvione di Firenze. A Palazzo Vecchio sono stati ricevuti in pompa magna e pubblicamente ringraziati duemila, in rappresentanza dei diecimila e più che furono, di quegli ex ragazzi che accorsero dall'Italia e da tutta Europa a Firenze per salvare i libri e le opere d'arte dalla melma e che per il loro slancio e la loro abnegazione furono chiamati 'gli angeli del fango'. Quei ragazzi appartengono alla generazione che solo due anni dopo scatenerà in Francia, in Germania, in Italia, il Sessantotto con tutto ciò che ne seguì. Come mai gli 'angeli' del '66 si trasformarono nei 'demoni' del '68? La generazione che aveva vent'anni a metà dei Sessanta, alla quale anch'io appartengo, è la prima che non ha conosciuto la guerra, che sa che in virtù dell''equilibrio del terrore' non la conoscerà mai e che si affaccia all'età della ragione quando alcuni grandi valori collettivi, Patria, Nazione e la stessa Religione, sono caduti o sono vissuti dagli adulti in modo così formalista e ipocrita da essere diventati caricaturali.

In questo deserto noi ragazzi della media e piccola borghesia ( che son poi quelli che accorsero a Firenze e fecero il '68, lontani ancora dalla politica, che i nostri genitori bollavano come 'una cosa sporca', ripiegammo su una filosofia laica ed individualista secondo la quale uno è responsabile delle proprie scelte solo di fronte a se stesso. Parlavano in noi gli esistenzialisti francesi, Sartre (ma solo quello letterario, non il politico) e Camus su tutti, molto in voga in quegli anni, e il Keruac di On the road. Molti di noi si riconoscevano nel movimento hippy la cui regola di base, e in fondo unica, era che "ognuno è libero di fare ciò che vuole nella misura in cui non nuoce agli altri". Agli adulti, ai nostri genitori, che contestavamo in modo affettuoso ('matusa') chiedevamo solo, nel costume che stava comunque cambiando, un pò più di libertà personale e segnalavamo questa nostra esigenza con atti di ingenuo e innocuo ribellismo: i capelli lunghi, una certa trasandatezza nel vestire, le feste a luci spente. Eravamo insomma dei bravi ragazzi. Inoltre come ogni generazione di giovani, e in parziale contrasto col nostro individualismo, sentivamo un forte desiderio di impegno dove impiegare le nostre fresche energie che non trovavano sbocco.

L'occasione fu Firenze, anche per dimostrare ai nostri genitori che pur un poco ribelli eravamo rimasti dei bravi ragazzi. Andare a Firenze, a dare un mano, fu sentito da tutti noi come un dovere inderogabile, in modo istintivo e immediato. Io abitavo allora, insieme a tre altri ragazzi, in una casa all'estrema periferia di Milano, una sorta di 'comune', e quando sentimmo la mattina la notizia per radio il primo pensiero fu: "Bisogna andare a Firenze". Potevamo anche permettercelo: eravamo infatti i figli del boom economico, del primo benessere, e potevamo spendere un pò di tempo della nostra vita a fondo perduto (per la ragione opposta un fenomeno del genere non si ebbe, per esempio, durante l'alluvione del Polesine dei primi anni Cinquanta, non che i nostri fratelli maggiori fossero meno generosi di noi, è che erano troppo costretti dalle necessità della vita quotidiana).
Accorremmo dunque a Firenze per dimostrare, a noi stessi e ai nostri genitori, che eravamo dei bravi ragazzi. Accorremmo a Firenze perchè, per lo più studenti (si era già in epoca di Università di massa), credevamo alla cultura ed eravamo lontanissimi dal pensare che fosse "uno strumento dei padroni". Accorremmo a Firenze perchè era uno sfogo agli slanci ideali che ogni giovane generazione porta con sè e che noi non avevamo avuto ancora modo di manifestare.

Perchè allora tanta differenza fra il '66 e il '68, così duro nella contestazione al mondo adulto, così violento? Fu la cecità della borghesia a far cambiare animo alla generazione degli 'angeli del fango'. Fu la borghesia, codina, baciapile, intollerante e sostanzialmente violenta, che non accettava alcun cambiamento nei suoi ipocriti costumi, a roderci l'anima mandando, ad ogni buona occasione, le polizie di tutta Europa a manganellarci: perchè portavamo i capelli lunghi, perchè vestivamo in modo strano, perchè eravamo trasandati, perchè volevamo farci i fatti nostri. E a ogni raid i suoi giornali plaudivano, soddisfatti e incoraggianti. "Repulisti a Brera" titolava trionfante il Corriere della Sera, quali fossimo delle cimici, ogni volta che, una settimana sì e una no, i poliziotti facevano irruzione in quel quartiere per bastonare, portare in questura, perquisire, ispezionare, a volte fermare per un paio di giorni ragazzi che non stavan facendo alcunchè di male. Questa era la risposta che veniva data alla nostra esigenza di un poco più di libertà sul piano dei costumi. Eravamo 'angeli del fango' (se accorrevamo a Firenze, ma diventavamo dei pericolosi criminali se, rientrati a Milano, facevamo un pò di innocua baldoria in qualche quartiere. Fu la borghesia con la sua ottusità e la sua intolleranza, a prepararsi il '68. E infatti l'Inghilterra, che con Mary Quant, le minigonne, il titolo di 'baronetti' concesso ai Beatles, accettò intelligentemente la liberalizzazione dei costumi, è stato l'unico Paese europeo a risparmiarsi il '68 e il terrorismo politico che ne fu in parte il prodotto (anche Indro Montanelli, che pur era stato, sul Corriere, uno dei più accaniti fustigatori dei 'capelloni', riconobbe in seguito il grave errore). Fu la borghesia a trasformare i ribelli individualisti, romantici, e idealisti che noi ragazzi eravamo negli pseudorivoluzionari, violenti, cinici e sostanzialmente ipocriti, opportunisti e conformisti che furono poi, nella stragrande maggioranza, i 'sessantottini' molti dei quali aggregatisi in una potente lobby trasversale, dominano oggi la scena della politica e dell'informazione nazionale.

Fu la borghesia, con le sue manganellate e la sua ottusa intolleranza prima, col suo opportunistico calarsi le braghe poi, quando la violenza c'era davvero e ci sarebbe voluta fermezza ("Gli adulti non seppero fare gli adulti" scrisse splendidamente, Oreste del Buono, non seppero dire i sì e i no che andavano detti), a modellarci, alla fine, a sua immagine e somiglianza. Fu la borghesia a uccidere l'anima degli 'angeli del fango'.