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Una violazione tira l'altra. Intervista alla pr. Venturini sulle continue violazioni della ris1701

di Christian Elia - 10/11/2006

Intervista alla prof.ssa Venturini sulle continue violazioni della ris. 1701
"La catastrofe è stata evitata grazie alla responsabilità delle nostre truppe", ha commentato ieri Michele Alliot-Marie, ministro della Difesa francese, durante un intervento all'Assemblea nazionale.
 
un'unità dell'esercito israeliano in azioneRapporti tesi. Alliot-Marie si riferiva a quello che è accaduto il 31 ottobre scorso, quando i caccia israeliani hanno rischiato di colpire i caschi blu francesi presenti nel sud del Libano. Questo è solo l’ultimo episodio di una serie di polemiche nate attorno al rispetto degli accordi sul cessate il fuoco in Libano, dopo la fine delle ostilità di questa estate. Prima dei francesi, con l’esercito israeliano avevano avuto problemi i tedeschi che, il 26 ottobre scorso, avevano denunciato un atto ostile dell’aviazione israeliana contro un’unità navale del contingente di Berlino. E prima ancora il generale francese Alain Pellegrini, capo della missione Unifil, il contingente Onu in Libano, che ha minacciato di aprire il fuoco contro i caccia israeliani se continuano a sorvolare il Libano in violazione della tregua.
Tregua che è regolamentata, per entrambe le parti, dalla risoluzione 1701 delle Nazioni Unite. Ma quanta reale efficacia ha questo documento e, di conseguenza, quanta reale efficacia ha la missione Unifil sul terreno? PeaceReporter l’ha chiesto alla professoressa Gabriella Venturini, docente di Diritto Internazionale presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Statale di Milano.
 
Ritiene plausibile la minaccia ventilata dal generale Pellegrini, secondo la quale se Israele continuerà a violare la tregua effettuando sorvoli sul Libano, i soldati dell’Unifil potrebbero aprire il fuoco sui caccia con la Stella di David?
 
Dubito che un provvedimento di questo tipo possa essere preso. La risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, da un lato, concede un mandato ampio alla missione Unifil, autorizzandola nelle sue aree di competenza a fare tutto quello che è necessario per attuare il suo mandato, proteggendo la popolazione civile e proteggendo i militari che fanno parte del contingente internazionale. Dall’altro lato, però, il mandato dell’Unifil è legato al governo libanese del premier Fouad Sinora e alle decisioni che prende quest’ultimo. Quindi Unifil finisce per avere uno spazio di manovra ridotto a causa del necessario coordinanento delle sue decisioni con quelle dell’esecutivo di Beirut.
 
manifestazione di seguaci di hezbollahLa tregua, almeno stando alle denunce reciproche, viene violata da ambo le parti. Uno degli impegni che prende la 1701 è impedire il contrabbando di armi a favore del movimento di Hezbollah e invece Israele denuncia un rifornimento continuo, del quale usufruisce la milizia sciita, dalla Siria e non solo. Quindi alla fine le violazioni d’Israele legittimerebbero il riarmo di Hezbollah, e il riarmo di Hezbollah legittimerebbe le violazioni d’Israele. Un cane che si morde la coda. Come se ne esce?

Le indicazioni della 1701 sono, in alcuni punti, contraddittorie. Il problema è il controllo dello Stato e del territorio, perché Hezbollah conta anche dei ministri nell’esecutivo di Beirut e si finisce che, per disarmare la milizia sciita o per impedirne il riarmo, bisogna passare per l’autorizzazione che l’esecutivo stesso dovrebbe dare. Inoltre il contrabbando avviene al confine con la Siria, quindi in una zona che non rientra nel mandato Unifil. Il punto è se sia stata la decisione più giusta quella di utilizzare la stessa Unifil come strumento. Questa missione esiste da anni, più o meno con lo stesso mandato, ma la situazione è profondamente deteriorata rispetto al tempo della creazione di Unifil. Resta il problema che, Nato a parte, non c’erano altre soluzioni plausibili, anche se questa ha già dimostrato negli anni di non essere particolarmente efficace.
 
Le violazioni della risoluzione 1701 portano a pensare anche a tutta una serie di decisioni delle Nazioni Unite che, in particolare in Medio Oriente, si sono rivelate prive di efficacia. Basti pensare, restando al Libano, alla risoluzione 1559 del 2004 che prevedeva il ritiro delle truppe siriane e il disarmo di Hezbollah, e fu applicata solo in parte. E molte altre. Come tecnico del Diritto Internazionale, crede che lo strumento stesso delle Nazioni Unite sia ancora il più giusto per risolvere i problemi della comunità internazionale?
 
La Carta delle Nazioni Unite, così come è stata pensata dai suoi padri fondatori, risulta abbastanza irrealistica. Nei fatti, in particolare quando si è trattato di utilizzo della forza, l’Onu è sempre stata amputata nella sue decisioni. Ma questo non poteva saperlo chi l’ha redatta in un momento storico particolare. Ritengo però che in molte occasioni sia stata efficace, anche se mi pare difficile possa esserlo adesso. Il problema di fondo è che non si può chiedere alle Nazioni Unite di fare quello che gli stati non vogliono fare o di riparare quello che i singoli governi commettono. Le soluzioni dei problemi, come la situazione in Medio Oriente, passano necessariamente dalla volontà politica dei singoli stati di risolverli.
 
kofi annanQuindi il problema non è l’Onu, ma i suoi componenti, cioè i singoli stati. Molti di questi, soprattutto negli ultimi anni, hanno fatto presente la necessità di cambiare il sistema del Palazzo di Vetro. A che punto sono le trattative politiche per una riforma delle Nazioni Unite? Ritiene che l’ipotesi di una riforma sia la soluzione all’impotenza pratica dell’Onu?
 
Le proposte di riforma, da tempo, sono sempre le stesse. In particolare l’ampiamento e la democratizzazione del Consiglio di Sicurezza. Ma nessuno dei cinque stati accetterà l’abolizione del potere di veto. L’unica possibilità è quella di migliorare gli strumenti che sono già previsti dalla carta. Per esempio rafforzare il capitolo VII, quello che prevede l’utilizzo della forza. O ancora, visto che ha il potere di farlo, avere un Segretario Generale con un grande carisma, perché potrebbe fare molto.
 
A questo proposito, ora che il suo mandato sta terminando, che bilancio si può trarre della gestione di Kofi Annan?
 
Credo che manchino ancora gli strumenti storici per dare un giudizio completo sull’operato di Annan. Solo più avanti, avendo a disposizione una serie di documenti, si potrà giudicare il suo operato. C’è da dire che si è trovato a gestire un periodo molto delicato e che, all’inizio, ha goduto dell’appoggio degli Stati Uniti che successivamente è venuto meno. Credo che abbia fatto del suo meglio, e quindi il giudizio non è negativo, tenendo conto che si è trovato al centro di uno scandalo finanziario che lo ha indebolito. Ma ci vorrebbe qualcosa in più in futuro, anche se non si vedono all’orizzonte figure trascendentali, neanche in Europa, dove non mi pare che in molti si stiano dando da fare per risolvere i contrasti internazionali.