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E nel '600 nacque la civiltà dei consumi

di Marco Unia - 01/12/2006

 

Parla lo studioso Paolo Capuzzo che ha scritto una storia del consumo dall’età moderna a oggi, fra lusso e temperanza. «La crescita si ebbe dopo le scoperte geografiche»

«I popoli d'Europa, avendo sterminato i popoli d'America, hanno dovuto mettere in schiavitù quelli dell'Africa, per dissodare tutte quelle terre. Lo zucchero sarebbe troppo caro se la pianta che lo produce non fosse coltivata da schiavi.» Così, già nel Settecento illuminista Montesquieu rivela i nessi che collegano geopolitica, modi di produzione e di consumo, con una profondità d'analisi che è possibile ritrovare nel saggio di Paolo Capuzzo Culture del consumo (Il Mulino, pagine 352) che non a caso assume la frase del filosofo francese come incipit del suo libro. Nel ricostruire la nascita e il consolidarsi della società consumistica Capuzzo presta infatti particolare attenzione alle ricadute sociali, etiche e politiche connesse all'affermarsi sul mercato di alcuni prodotti. Il saggio offre inoltre una coinvolgente dimostrazione della forza trasformatrice del consumo, in grado di modificare nel corso dei secoli realtà statali, relazioni internazionali e assetti urbanistici delle città.
Professor Capuzzo, per società dei consumi si intende solitamente uno stile di vita affermatosi nel mondo occidentale nel secondo dopoguerra. Perché il suo libro prende invece l' avvio dal XVII secolo?
«Il '900 ha introdotto indubbiamente trasformazioni importanti nei modi di consumo. Tuttavia è a partire dal 1600 che la disponibilità materiale dei paesi dell'Europa settentrionale conosce una crescita esponenziale. Dal XVII secolo l'approvvigionamento di merci dal continente asiatico e americano è garantito da flussi commerciali costanti, in una economia che già opera su scala globale. A partire dal 1700 si assiste inoltre ad una trasformazione dell'etica del consumo, che si compie parallelamente alla dissoluzione dell'organizzazione della società per ceti. Nell'Ancien Regime il consumo era regolato dall'identità sociale, in seguito invece si potranno acquistare merci in base al proprio reddito.»
Come si può spiegare il successo commerciale conosciuto tra XVII e XVIII secolo da i nuovi prodotti che giungevano dall'America e dall'Asia?
«In effetti il tabacco, la cioccolata e le nuove bevande furono accolte con entusiasmo in Europa. Il tè e il caffè furono particolarmente apprezzati per i loro effetti psicofisici, in quanto garantivano quella sobrietà e lucidità ricercate dalla cultura borghese. Il tabacco, data l'alta concentrazione di nicotina, dava effetti depressivi, e la sua diffusione va inserita nella lunga storia del consumo delle sostanze psicotrope, già presente nella cultura delle classi popolari nell'alto medioevo.»
Nell'Olanda del Seicento crescono progressivamente le spese per la casa. Quale valenza sociale assume questo nuovo orientamento dei consumi?
«La borghesia in ascesa dedicata una parte consistente del proprio budget all'acquisto dell'arredamento, dei quadri e delle stoviglie per l'abitazione. Questa nuova attenzione allo spazio domestico indica la nascita e il consolidarsi della famiglia nucleare borghese, che diventa un corpo sociale autonomo, meno legato da vincoli di parentele e dai rapporti di vicinato o di villaggio. La casa si configura come il luogo degli affetti famigliari e si contrappone, con il suo ordine e la sua pulizia, al mondo caotico delle città in rapida crescita e alla realtà amorale del nascente capitalismo.»
Nel 1700 si svolge in Europa un articolato dibattito etico sul lusso. E stupisce trovare un moralista come Voltaire schierato tra le file dei sostenitori del diritto allo sperpero.
«Il confronto sul tema nasce già nel 1600 con Mandeville che si oppone all'etica cristiana della moderazione. Nel XVIII secolo il dibattito giunge a maturità e assume i contorni della disputa illuminista, con discussioni sui giornali e nei salotti di tutta Europa. Il lusso viene concepito come una forma di libertà che permette di superare le barriere di censo: non sono solo i nobili a potersi vestire con eleganza ma anche la borghesia in ascesa. E verso il tardo settecento si riconosce che l'aumento dei consumi crea ricchezza per le nazioni, mentre prima si riteneva che ne impoverisse le risorse.»
Il problema dell'alcolismo è invece la questione per eccellenza del XIX secolo. Come mai tanta attenzione al problema?
«Il consumo di alcol, specie in Inghilterra, era diventato una questione sociale rivelante, esplosa con l'avvento della rivoluzione industriale. La disgregazione delle corporazioni e la crescita esponenziale dell'urbanizzazione generano solitudine e determinano la scomparsa dei rituali sociali storicamente connessi al bere, che operavano come freni sociali all'uso eccessivo di alcolici. Nella classe operaia, che è la vittima di questa epidemia di alcolismo, era inoltre diffusa la convinzione che bere fosse utile per curare alcune malattie. Inoltre, tra le motivazioni del diffondersi del problema non si deve trascurare il bisogno di dimenticare gli stenti di una vita molto difficile.»
I tanti movimenti per la temperanza nati nell'Ottocento indicano il tentativo della borghesia di aiutare il proletariato a risolvere questo problema.
«L'errore della borghesia è quello di affrontare il tema con un approccio moralistico: l'alcolismo è un vizio causato dalla mancanza di forza di volontà. La questione si avvia a risoluzione solo quando sono i sindacati a farsene carico, perché si accorgono che l'alcolismo costituisce un freno per la loro azione politica: gli operai invece che battersi per i diritti spesso affogano i loro dispiaceri nell'alcol. Il grande miglioramento si ha comunque in corrispondenza dei primi del 1900, quando crescono i salari e si consolidano i diritti: la sicurezza della continuità del lavoro induce la classe operaia a guardare con speranza al futuro e a non sperperare le proprie risorse nell'alcol.»
Per concludere una domanda teorica: il consumatore è una vittima del sistema pubblicitario che crea bisogni artificiali o è un individuo libero che attraverso la domanda genera l'offerta e determina il mercato?
«Io credo che il consumatore sia anz itutto un soggetto, il quale si muove in un campo che è una rete di poteri. Certo le sue scelte sono condizionate dal reddito, dallo status sociale, e dalle strategie di marketing. Ma la stessa pubblicità più che inventare cerca di interpretare i bisogni del consumatore. Il consumatore si muove su una rete di poteri, e la sua libertà cresce imparando a decifrare questo sistema.»