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La bomba sunnita

di Christian Elia - 19/12/2006

I paesi del Golfo Persico annunciano un programma nucleare civile. Ma intanto s'incontrano con la Nato
Il 12 dicembre scorso, a Kuwait City, si è tenuta una conferenza alla quale hanno partecipato Jaap de Hoop Scheffer, segretario generale della Nato, e i delegati di alcuni dei paesi che compongono il Consiglio di Cooperazione del Golfo (Ccg), rappresentato da Bahrein, Qatar, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti. Lo scopo dell’incontro è stato quello di gettare le basi di una futura “cooperazione bilaterale di natura difensiva e politica” tra le due entità, come ha sottolineato nel suo discorso Abdel Rahman al-Attia, il segretario generale del Ccg. 
 
il logo del consiglio di cooperazione del golfoUn vertice spigoloso. Quello che, in un primo momento, potrebbe sembrare solo un vertice come tanti, è in realtà il sintomo di un piano strategico di più largo respiro: il contenimento dell’egemonia iraniana sulla regione. Piano che, forse inconsapevolmente, era stato delineato il 5 dicembre scorso da Robert Gates, l’uomo che ha sostituito Donald Rumsfeld come segretario alla Difesa degli Stati Uniti, il quale in un discorso pubblico aveva sottolineato come l’Iran fosse “circondato da potenze nucleari”. Di quelle dichiarazioni aveva fatto scalpore l’implicita ammissione, peraltro più o meno confermata da una gaffe del premier israeliano Ehud Olmert (in un'intervista alla televisione tedesca, ha ammesso che Israele è un membro del club nucleare), del fatto che Tel Aviv possieda la bomba. Ma questa non è una sorpresa per nessuno e sono da tempo in pochi a credere che l’esercito israeliano non sia dotato di un arsenale atomico. La vera notizia allora è un’altra, ed è quella tratteggiata da Gates: l’Iran è circondato. I temi sul tavolo dell’incontro tra Nato e Ccg sono stati tanti, in particolare l’Afghanistan, ma il fatto che ormai Teheran rappresenti un problema non solo per Israele è un dato di fatto. La potenza sciita, dopo la caduta del regime di Saddam, è diventata il principale attore regionale e l’Arabia Saudita, paladino del campo sunnita, non vuole restare a guardare l’Iran mentre estende la sua influenza sulla Siria, sul Libano (attraverso Hezbollah), sul nuovo Iraq (dove ha preso il potere la maggioranza sciita) e così via, fino alla pioggia di denaro che il governo Ahmadinejad ha riversato sul premier palestinese Haniyeh, in cambio della promessa di non riconoscere mai Israele.  
 
un test atomicoSunniti contro sciiti. La politica estera iraniana, accompagnata da un accurato lavoro d’intelligence, è al lavoro per rafforzare il ruolo egemonico dell’Iran nella regione. L’Arabia Saudita non può stare a guardare e, secondo indiscrezioni mai confermate, alcuni esponenti della famiglia reale saudita avrebbero avviato da tempo una rete di relazioni con Israele per concordare una serie di punti in comune della strategia per contenere l’Iran. Uno di questi punti sarebbe proprio il nucleare. Per il momento, infatti, mentre è rimasta ai margini dell’incontro con la Nato a Kuwait City, la diplomazia saudita ha menato le danze in prima persona al vertice del Ccg svolto il 9 e il 10 dicembre scorso a Riad, facendosi portatrice e sostenitrice di una proposta dirompente: varare un programma congiunto per lo sviluppo di tecnologia nucleare per uso civile. Sulla carta non ci sarebbe nulla di male, (nei proclami di Teheran il programma nucleare iraniano non ha fini bellici), visto che il trend di diversificare la produzione di energia e di reddito nei paesi che vivono di petrolio pare ormai consolidato. Ma l’annuncio può essere letto come un monito ad Ahmadinejad e all’Iran: se sta arrivando la bomba atomica sciita, non tarderà a giungere anche quella sunnita. I paesi del Ccg, oltre ad aver sempre privilegiato gli affari nei rapporti con l’Occidente, non guardano di buon occhio l’aggressività nelle relazioni internazionali del governo di Teheran e, buon ultimo, hanno a che fare all’interno con comunità sciite sempre più in ebollizione. E in quest’ottica, l’apertura dei membri del Ccg alla Nato, per Teheran e per il Medio Oriente, non fa presagire nulla di buono.