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Liberare Darwin dall'ideologia

di Fiorenzo Facchini - 20/12/2006

L’antropologo Facchini replica alle tesi di Pievani pubblicate su «MicroMega»: «Usare una teoria scientifica per spiegare in toto la realtà è un’indebita pretesa ben lontana dalle idee del ricercatore inglese»

È stata una grande delusione per i laicisti il saggio di Hans Küng, il "teologo ribelle", allineato sulle posizioni di Benedetto XVI sul grande tema di evoluzione e creazione, posizioni che vengono giudicate come attacco alla scienza. «Ratzinger e Küng uniti contro Darwin» è il titolo di un lungo articolo di Telmo Pievani su "MicroMega" dedicato in gran parte a una critica di Küng, sullo sfondo del pensiero espresso dal Papa (quasi sempre menzionato come Ratzinger: voluta omissione del suo ruolo?), nel discorso del 12 settembre a Ratisbona.
Al Papa si imputano alcune affermazioni sul ruolo della scienza e sulla razionalità che deve ispirarla. Quello che rileva il Papa sulla struttura razionale della materia e sulla necessità di cercare ad altri livelli, quali la filosofia e la teologia, risposte alle domande su "da dove" e "verso dove" , non va proprio giù. Il rischio - si dice - è che chi non la pensa come lui venga tacciato di irrazionale. E tale potrebbe essere ritenuta la teoria darwiniana dell'evoluzione, che rende superfluo e nega un principio finalistico nella natura, e appare come ideologia materialista spacciata per scienza, quando invece «la teoria dell'evoluzione non sarebbe affatto irrazionale». Secondo l'autore «a Ratisbona si afferma che la teoria dell'evoluzione dimostra qualcosa che non esiste (lo spauracchio della pura casualità) e si rivendica la realtà e la razionalità di qualcosa (la teleologia) che una teoria scientifica corroborata ha escluso dalla spiegazione in quanto ipotesi superflua e scorretta».
In realtà, di questa affermazione non si trova traccia nel discorso di Benedetto XVI a Ratisbona. Certamente il Papa in varie occasioni ha richiamato il concetto di un disegno di Dio sull'universo, di una intelligenza originaria che si manifesta nella razionalità dell'universo, ma non ne ha indicato le modalità di attuazione. Sul come ciò si sia realizzato potrebbero avere la parola scienza e filosofia.
E qui scatta la difesa ad oltranza del darwinismo contro qualunque idea di disegno superiore e si ritorna sulla teoria del disegno intelligente sul quale tanto si è scritto anche in Italia negli ultimi mesi.
Viene tirato in ballo, oltre al cardinale Schönborn, anche il sottoscritto che in un articolo sull'"Osservatore Romano", all'inizio di questo anno, aveva criticato la teoria del disegno intelligente, rilevando che essa «non appartiene alla scienza e non si giustifica la pretesa che venga insegnata come teoria scientifica accanto alla spiegazione darwiniana». Eventuali insufficienze o lacune di una teoria scientifica non vanno risolte ricorrendo a cause preternaturali. Ciò non significa - si osservava pure - che a partire dall'armonia della natura non si possa risalire a una causa superiore, «non con dimostrazioni scientifiche, ma in base a un retto ragionare».
Se con i metodi della scienza non si arriva a dimostrare una finalità dell'universo e nello sviluppo della vita, non si può neppure negarla a priori, escludendo altre forme di conoscenza che non siano quelle verificabili. Sarebbe un'operazione ideologica che accomuna molti scienziati darwinisti. Ma in questo modo il darwinismo da teoria scientifica, che propone un modello esplicativo dell'evoluzione della vita, diventa una visione generale della realtà portandosi su un terreno prettamente filosofico.
Il fatto che il modello di Darwin sia considerato insufficiente da non pochi scienziati (e anche chi scrive, pur condividendolo, ritiene che non sia l'ultima parola della scienza sull'evoluzione) non ha rilevanza, a mio parere, sulle critiche mosse alla teoria del disegno intelligente. Pievani lega invece la mia critica alla «presunta crisi del darwinismo». Ciò non corrisponde al mio pensiero. A questo riguardo gli suggerirei di rileggere il mio articolo senza saltare delle righe e senza accostamenti indebiti.
Quanto alle critiche mosse al saggio di Küng dal Pievani, sembrerebbe che non sia possibile scindere la teoria scientifica di Darwi n sulla evoluzione dalla ideologia totalizzante che molti ne traggono escludendo valori e modi di vedere che vanno oltre i metodi empirici della scienza.
In realtà vi sono darwinisti convinti che sono anche persone di fede religiosa. In fondo, anche una evoluzione che avvenga senza orientamenti prefissati, ma si svolga attraverso le cause naturali, compresi eventi che appaiono casuali, può realizzare, di fatto, strutture ordinate che suggeriscono, a posteriori, l'idea di un programma in chi ha voluto le cose. Dio non fa le cose, ma fa in modo che si facciano, diceva Teilhard de Chardin. Nella evoluzione si possono ritrovare eventi contingenti ed eventi determinati da cause precise e prevedibili. Come è stato osservato in un autorevole documento «anche l'esito di un processo naturale veramente contingente può rientrare nel piano provvidenziale di Dio per la creazione» (Comunione e servizio Commissione teologica internazionale, 2004). Diverso è il darwinismo come visione che vuole spiegare ogni espressione della vita, spirituale, morale e sociale, in termini puramente naturalistici.
Un naturalismo che escluda altri approcci è una estensione di aspetti contingenti e necessari della realtà fisica a una concezione di vita e si qualifica come posizione filosofica, di tipo positivistico e, necessariamente, riduzionistico. È una libera scelta, rispettabile, ma non può essere contrabbandata come scienza, a prescindere dai limiti della teoria scientifica del darwinismo.
Il naturalismo darwiniano - viene pure affermato nel citato articolo - vanta una sua autonomia e autosufficienza, non sente il bisogno di ricorrere ad alcun principio trascendente né ad alcuna causa finale; anche per le domande di senso gli basta quello che può venire dalla storia naturale, da una visione evoluzionistica. In realtà non è il naturalismo, ma l'uomo che ha bisogno di risposte, di valori, che non possono venire dalle scienze empiriche. A meno che ci si accontenti di molto poco.