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La lunga e insidiosa crisi della politica in Italia

di Antonio Ruggieri - 21/12/2006





 

I partiti politici come cardini dell'Italia moderna dopo il fascismo. Il loro ruolo insidiato dalla televisione. Il "Business party" e le nuove forme di governo orizzontale della società. Gli scenari della mutazione del rapporto fra politica e società nel nostro Paese.

1945: nasce un nuovo mondo

Con la fine della seconda guerra mondiale l'Italia entra con forza, riscattata dalla Resistenza, in una temperatura geopolitica planetaria.

Al conflitto, fra vinti e vincitori, avevano partecipato anche Stati Uniti e Giappone, inaugurando una globalizzazione in chiave bellica che lasciava presagire, addirittura inconsapevolmente, gli sviluppi ulteriori.

Il centro dell'Impero, appena diradati i fumi delle bombe atomiche a Hiroshima e 3 giorni dopo, il 9 agosto a Nagasaki, si sposta oltre l'oceano Atlantico.

Il Congresso degli Stati Uniti d'America offre all'Onu neonata una casa a Manhattan, nel cuore pulsante del nuovo Occidente, in equilibrio precario fra gli orrori del nazifascismo sconfitto e gli esordi, dopo Yalta, della guerra fredda, combattuta con la corsa ossessiva agli armamenti (nucleari).

Il nostro Paese abbandona la mitologia patetica e provinciale dell'”Italietta” fascista e inaugura la modernizzazione, centrandola sulle risorse esogene del “piano Marshall” e sul protagonismo del nuovo ceto politico, formatosi all'estero, negli anni della Resistenza.

I partiti, sopravvissuti clandestinamente alla dittatura, delinearono una nuova prospettiva culturale ed istituzionale del Paese descritta, articolo per articolo, nella Carta Costituzionale più avanzata e democratica (in definitiva più moderna) che sia stata scritta.

La Costituzione italiana rappresenta l'incipit dell'Italia contemporanea, concepita e condivisa nel laboratorio permanente, dialettico e pervasivo, dei due grandi partiti di massa, la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista.

Dal nostro passato prossimo agro-pastorale alla modernità, siamo stati traghettati da un impianto culturale, prima che istituzionale, di stampo cattocomunista.

I grandi partiti cellulari elaboravano incessantemente un loro sistema valoriale che accompagnava “dalla culla alla bara” gli iscritti e i simpatizzanti i quali, con l'ideologia, abbracciavano scelte etiche ed antropologiche.

In una comunità nazionale ancora statica, rurale e classista, Pci e Dc alludevano alla società di massa, industriale e moderna, prefigurata nel lavoro diffuso e capillare, d'eccezionale coesione, delle parrocchie, delle camere del lavoro e delle sezioni di partito.

Il cittadino della prima Repubblica, quello che si muoveva nell'orizzonte nuovo e sofisticato della democrazia di rappresentanza, nasce e si convince nelle sedi del partito di riferimento.

Operai e contadini analfabeti imparano a leggere e a scrivere sulle pagine dei giornali; sentono parlare e parlano per la prima volta di politica internazionale; imparano a declinare la loro privata e personale condizione nell'ambito di processi generali e di vicende planetarie.

In questa fase (segnatamente dal '45 al '70) i partiti politici lavorano nella prospettiva della società di massa e svolgono una fondamentale funzione di modernizzazione istituzionale.

Elaborano una loro specifica professionalizzazione ideologica (partitica per l'appunto), che trasferiscono nella vita amministrativa, arricchendone lo spessore democratico e la dialettica delle soluzioni.

Il partito politico seleziona accuratamente la sua classe dirigente, la forma in un dibattito plurale ed aggiornato e la trasferisce nelle istituzioni, rinnovando senza sosta il senso e la vitalità della democrazia di rappresentanza.

La televisione e la società di massa

In Italia, la televisione esordisce il 3 febbraio del '54.

Era ingenua e ingessata; che nella diretta tradiva la sua incapacità di rielaborazione tecnologica; che voleva rappresentare un mondo complesso e ancora sconosciuto ch'esisteva oltre lo schermo.

Soggetta alla censura etica, sessuale e culturale, prima ancora che politica, del Vaticano; che metteva al bando, con la stessa determinazione conservatrice, Dario Fo e le gambe delle gemelle Kessler.

Ciò nonostante però, sul filo d'innovazioni tecnologiche che rivoluzionavano senza sosta il flusso di comunicazione e la mentalità dei comunicatori (il mezzo è il messaggio senza possibilità d'appello), essa, di soppiatto, cambiava il Paese e attentava alla funzione alta e nobile che la politica (i partiti della politica) aveva svolto fino a quel momento.

Lo faceva senza clamore, proponendo una tripartizione del suo intervento – l'informazione, l'intrattenimento e i servizi – che soggiogava la censura proprio mentre prometteva di rassicurarla.

In meno di un ventennio la televisione ha già portato a termine la sua rivoluzione, sotto lo sguardo stolidamente autoreferenziale della politica.

La sua strategia puntava al sociale, alla trasformazione radicale del sentimento diffuso e la politica si occupava “banalmente” della propria rappresentanza nell'ambito del servizio pubblico, il cui sistema valoriale veniva travolto dal “bottom up” della televisione commerciale.

Beppe Sacchi, nel 1971, fonda Telebiella, la prima televisione privata e Berlusconi comincia la sua travolgente e tutelata avanzata.

“ Drive in” esordisce l'11 ottobre dell'83 e impone, in faccia alla censura, una ridanciana rivoluzione sessuale.

Le tradizionali agenzie di formazione declinano.

La scuola e la famiglia soccombono a un flusso di comunicazione ormai a colori, che moltiplica canali e palinsesti, sotto lo sguardo miope e soggiogato della politica, incapace di ascoltare anche l'ultimo e drammatico ammonimento di Popper che prospetta gli effetti nefasti e pervasivi della “cattiva maestra”.

Anche l'informazione cambia.

Si sperimenta una commistione di generi che inaugura l'infotainement anche da noi.

“ Striscia la notizia” comincia a trasmettere nell'87.

Il 6 agosto del '90 la legge Mammì, dal nome del Ministro di competenza del Governo Craxi, consegna nelle mani di Berlusconi il sistema di comunicazione televisivo italiano, inaugurando l'incredibile duopolio fra lo Stato e un unico imprenditore (uno sorta di anti-Stato), alla base del declino del processo democratico del Paese.

Emilio Fede inaugura “Studio Aperto” il 17 gennaio del 1991 e il primo giugno dell'anno seguente comincia a trasmettere, sempre sotto la sua direzione, il TG4.

Il tredici gennaio intanto apre il TG5 con la direzione di Enrico Mentana.

Berlusconi, con la complicità di Bettino Craxi, ha prima “berlusconizzato” il Paese e poi si è presentato alle elezioni.

La politica intanto era squassata dal vortice di “mani pulite” e dagli avvenimenti internazionali.

La Dc e il Psi si sciolgono e il Pci cambia nome dopo la caduta del muro di Berlino e la Perestrojka di Gorbaciov.

Berlusconi “scende in campo” alle elezioni politiche del '94, col consenso popolare organizzato di soppiatto dal “miracolo italiano” che i suoi palinsesti, i suoi giornali, le sue case di distribuzione cinematografiche, diffondevano a piene mani nella penisola, assai più pervasivamente di come sapevano fare i partiti cellulari, peraltro al centro di una profonda crisi di legittimazione, addirittura agli occhi dei loro corpi elettorali.

Alla vigilia della prima e travolgente affermazione di Forza Italia, Occhetto coniò la definizione di “gioiosa macchina da guerra” riferendosi alla sua parte politica (che sarebbe stata sonoramente sconfitta), che la dice lunga su come la politica ormai fosse incapace di leggere i processi profondi in atto nel Paese.

Il partito e i candidati: il vecchio e il nuovo

Finché la democrazia di rappresentanza è stata centrata sui partiti, erano questi ultimi che legittimavano i propri rappresentanti.

Li sceglievano, li formavano e infine riversavano il risultato di qusto lungo e sofisticato processo nella società civile, mantenendo comunque un rapporto saldo e dialettico con i loro delegati.

Mano a mano che il partito ha subito l'ingerenza dei mezzi di comunicazione di massa e della televisione in particolare, mano a mano che il suo apparato si è alleggerito fino quasi all'evanescenza, mano a mano che le istanze ideologiche hanno perso il loro significato tradizionale il partito, ad ogni scadenza elettorale è ricorso alla società civile per farsi rappresentare.

La pratica del candidato “indipendente” che tradizionalmente faceva comunque parte di un'area culturale orbitante intorno al partito di candidatura, col tempo si snatura.

Le formazioni politiche, al centro di un processo di alleggerimento etico e ideologico che ha generato una evidente crisi di rappresentanza, hanno fatto ricorso con frequenza sempre maggiore a leaders d'opinione della società civile, che detenevano un consenso del tutto indipendente dalla militanza e dalla proposta politica del partito.

A livello nazionale questo inquietante reclutamento, da destra e da sinistra, ha riguardato soprattutto i personaggi della televisione (e non a caso).

Giornalisti e conduttori si sono sparigliati in tutto l'arco parlamentare, consumando un'altra conclamata tappa dell'egemonia dell'universo televisivo nei confronti della politica.

A livello locale la tendenza che sottrae alla politica la funzione di selezionare la classe dirigente, si ribadisce col numero spropositato di professionisti che per la “tecnicalità” del loro mestiere detengono un rapporto diffuso con i cittadini/elettori, che acconsentono a una candidatura, assai spesso a prescindere dalla loro formazione politica e in alcuni casi addirittura dalla passione civile; è tristemente emblematico il caso dei medici e di quelli di base (in relazione con migliaia di mutuati) in particolare.

Il partito in crisi di consenso, in debito d'analisi per elaborare proposte e strategie e addirittura d'organizzazione ricorre, per farsi rappresentare, a chi il consenso lo detiene già, con un intervento di ambigua cooptazione.

Questa dinamica rafforza la deriva democratica delle formazioni politiche.

Sostiene e legittima il transito dei candidati da un partito all'altro e addirittura da uno schieramento all'altro in quanto gli eletti, in maniera dichiarata, detengono personalmente il loro consenso e reputano, a ragion veduta, di poterselo portare al seguito a seconda delle loro convenienze; anche delle meno plausibili.

Se prima era il partito a selezionare e legittimare i suoi rappresentanti, adesso sono questi ultimi a legittimare e addirittura a finanziare (mediando le diverse forme di finanziamento pubblico alla politica) le formazioni per le quali sono eletti.

La crisi dei partiti: il centrodestra e il “business party”

All'interno dello scenario che sta cambiando (molto più di quanto abbia già cambiato) il rapporto fra politica e società nel nostro Paese, le culture di destra e di sinistra rispondono in maniera diversa.

La destra, con Berlusconi, ha trovato una strada del tutto nuova rispetto alla tradizione politica consolidata.

L'imprenditore di Arcore interviene in maniera strutturale all'interno della crisi della politica.

Dal punto di vista del messaggio, utilizzando il suo potere mediatico (televisivo in particolare) opera uno slittamento delle strategie d'organizzazione del sonsenso: dal convincimento alla seduzione.

Dal punto di vista organizzativo invece appoggia la sua proposta sulla struttura gerarchica ed operativa della sua azienda.

Anche prescindendo dalle numerose inchieste che hanno dimostrato in maniera inconfutabile come Berlusconi sia entrato in politica per risolvere i problemi di bilancio della sua Fininvest (che ha effettivamente e "brillantemente" risolto), il rapporto che lega Forza Italia al castello delle imprese berlusconiane è consustanziale.

Il partito esordisce confondendosi con la struttura operativa della Fininvest e con i suoi dirigenti.

I manager dell'azienda e i suoi avvocati ( i tanti dei quali ha bisogno per le numerose vicende giudiziarie che la vedono implicata), venivano travasati prima nel "business party" e poi nelle istituzioni, mettendo in opera il Regime Di Fatto (l'RdF) che Umberto Eco denunciò a seguito dell'affermazione politica di Berlusconi del 2001, nella più assoluta indifferenza delle forze che allora costituivano l'opposizione.

Nei dieci anni della sua travolgente avanzata pubblica Berlusconi ha operato una rivoluzione post-ideologica nella cultura politica del nostro Paese.

Il "business party" ha un impianto duttile e disponibile.

La stella polare della sua operatività sono gl'interessi di filiera del ristretto gruppo di comando e d'altronde l'irradiamento sociale di quegli interessi coltiva la rete di sodalizio e dispone nuove intese.

Il panorama degli interlocutori non prevede discriminazioni.

Il "business party" si allea indifferentemente con i fascisti, con i comunisti o con la Lega, a patto che venga fatto salvo il suo interesse in solido.

Ha una rigida e rigorosa struttura verticale, che gli assicura performances organizzative assolutamente al di sopra di quelle di cui sono capaci i suoi competitori, disegnata sull'impianto piramidale dell'azienda.

Che Forza Italia (il primo partito italiano per numero di consensi e non per numero di iscritti) sia il primo e inquietante "business party" è dimostrato, senza possibilità d'equivoco dal fatto che Bondi, il suo coordinatore nazionale, minaccia lo sciopero della fame a seguito del recente decreto legge Gentiloni che ha come obiettivo di mettere ordine nell'oscura vicenda della concessione delle frequenze televisive nel nostro Paese.

In maniera ineffabile, si dichiara dunque una coincidenza d'interessi fra una porzione dell'arco istituzionale italiano e l'azienda Mediaset di Berlusconi.

Quello che inquieta soprattutto è che questo fatto non ha interessato più di tanto il dibattito politico e culturale italiano.

La crisi dei partiti: il centrosinistra e la "governance", un rapporto irrisolto

Un altro percorso, in qualche modo di profilo più basso, segue la crisi della cultura politica e organizzativa delle formazioni di centrosinistra.

Dal Pci agli attuali Ds e dalla Dc all'attuale Margherita, sono state compiute semplificazioni ideali e programmatiche alle quali la base ha preso parte poco e male.

Il centrosinistra si trova al centro di una evidentissima crisi di partecipazione che ne complica e ne delegittima l'azione.

Proprio per l'arricchimento incessante del flusso di comunicazione (d'interazione informativa fra individui di una comunità) è entrato in crisi un modello organizzativo di tipo "top-down" dall'alto al basso e si è fatta strada una "governance" di tipo orizzontale che ricalca, ribadisce ed estenua il modello democratico della rete. Internet, la rete per eccellenza, rappresenta ed arrichisce senza sosta questa prospettiva.

Soggetti paraistituzionali del volontariato, del privato sociale, della cooperazione, di un terzo settore situato fra il primo pubblico e il secondo dell'impresa, nello scenario democratico contemporaneo sono depositari di una proposta di partecipazione che già si è fatta organizzazione di ampi settori della società. E' in via di ridefinizione radicale la grammatica del rapporto fra politica e società e le attuali forme organizzative sembrano temere ed esorcizzare questo rutilante processo di trasformazione.

Basti pensare al rapporto conflittuale fra l'andamento rizomatico del movimento "no-global" e la sinistra tradizionale oppure ai sospetti e agli imbarazzi che si sono alimentati fra quest'ultima e i cosiddetti "girotondi".

"Con questi dirigenti non vinceremo mai" disse clamorosamente Nanni Moretti alludendo alla necessità di un ricambio generazionale e al rinnovamento della classe dirigente del centro-sinistra; ma quel grido non poteva essere raccolto nel breve periodo.

I dirigenti invisi a Moretti (che fa il regista cinematografico e non il leader politico come ha avuto modo di dire più volte) lo hanno incontrato, blandito e cooptato in qualche modo, riconducendo la spinta di rinnovamento della piazza nell'ambito logorato del dibattito partitico, con una clamorosa eccezione: le elezioni primarie. Queste ultime, imposte dai movimenti di contestazione a sinistra che invocavano una maggiore partecipazione, hanno rappresentato il momento di tenuta e di rilancio dell'attuale forma di organizzazione della proposta politica del centro sinistra. Hanno liberato energie e prospettive che da un lato hanno rafforzato Prodi e la prospettiva dell'Unione e dall'altro hanno spaventato i partiti politici che nell'esercizio e nell'estesione del loro metodo hanno paventato una formidabile e ingovernabile minaccia alla loro funzione di rappresentanza istituzionale.

Anche la prospettiva del Partito Democratico, palesemente sostenuta da DS e Margherita, è osteggiata dai gruppi dirigenti intermedi di queste formazioni che si vedono minacciati da ogni soluzione semplificativa. Le primarie, regolamentate ed estese, possono rappresentare una pratica democratica che promuove e rafforza le istanze di partecipazione e di cittadinanza attiva diffuse nel corpo elettorale del centrosinistra.

Una nuova responsabilità per la società civile

L'esperienza politica quotidiana è costellata di emergenze che impongono una radicale revisione delle forme di aggregazione e di consenso dei cittadini e che alludono a un altro e differente rapporto tra politica e società. Beppe Grillo, ogni giorno, sul suo blog, ospita più o meno 250.000 accessi unici; cittadini che hanno dato vita a forme originali e autogestite di organizzazione sul territorio. Emergency di Gino Strada è ormai una potentissima ed efficiente lobby civica che sul tema della pace e dei diritti umani è capace di esprimere una profondità analitica e una proposta operativa assai superiore a quella delle forze politiche organizzate. Ognuno di questi catalizzatori, su problemi specifici, è in grado di raccogliere consensi e di indirizzarli nell'ambito di una sensibilità civile condivisa. Sono maturi i tempi per connettere una maglia della rete all'altra e per approfondire il processo di trasformazione radicale del rapporto fra la politica e la società che attualmente è ostacolato dalla presenza, del tutto autoreferenziale, dei partiti politici.

Se essi potranno ancora essere utili alle dinamiche di democrazia e di partecipazione del nostro Paese, dipenderà in buona misura da come sapranno rifondarsi, aprendosi al contributo di risorse nuove per cultura e per generazione. Da parte sua la società civile, partendo dalla dimensione locale e amministrativa, non può non assumersi la cura del bene comune, aggregando reti sociali ed energie culturali e coprendo anche le competenze che tradizionalmente erano della politica e che rimangono adesso drammaticamente sguarnite. E' realistico immaginare una strategia nazionale che abbia il suo punto di forza e di verifica graduale nelle elezioni amministrative comunali, in quelle provinciali e poi nelle regionali, replicando le esperienze positive e seminando la passione civile e la tensione militante mortificata pervicacemente da partiti ridotti a marchi, ormai dichiaratamente proprietari di gruppi di interessi corporativi o addirittura personali. Il percorso non è nè facile e né breve, ma si prospetta come l'unico in grado di riabilitare una prospettiva partecipativa e democratica in questo nostro Paese allo stremo.