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Scenari del futuro post petrolifero

di James Howard Kunstler - 13/01/2007





Mentre i cittadini americani continuano il loro sonnambulismo verso un futuro di scarsità energetica, di cambiamento climatico, di instabilità geopolitica, continua anche il nostro sogno. Un sogno collettivo, che assomiglia a quelli molto realistici che le persone fanno appena prima di svegliarsi. É un American dream particolare, su un tema particolarmente americano: come continuare a far girare le automobili con qualcosa di diverso dalla benzina. Facciamole andare a etanolo! Facciamole andare a biodiesel, o a carburanti liquidi sintetizzati dal carbone, a idrogeno, a metano, elettriche, usando l'olio di frittura delle patatine …!

Il sogno si allarga in febbrili cerchi concentrici, man mano ciascun sostituto della benzina viene studiato e si rivela inadeguato. Ma la volontà di continuare a far girare le auto è così potente che il sogno prosegue. Etanolo! Biodiesel! Carbone liquido …
E ci aspetta una realtà davvero dura, mano mano si dispiega nella sua totalità lo scenario della crisi energetica permanente. Secondo lo U.S. Department of Energy, la produzione petrolifera mondiale ha raggiunto il massimo con poco più di 85 milioni di barili al giorno nel dicembre 2005. Da allora, la tendenza è assolutamente statica, attorno agli 84 milioni. Ma il consumo mondiale di petrolio è aumentato in modo consistente, dai 77 milioni di barili al giorno nel 2001 agli oltre 85 milioni del 2006. Ne emerge un quadro chiaro: ora la domanda mondiale supera l'offerta. Detto in un altro modo, la produzione di petrolio non è aumentata, nonostante l'ardente desiderio di tutti quanti avrebbero voluto che aumentasse, e nonostante gli enormi incentivi di prezzi quasi quadruplicati dal 2001.
Non c'è dubbio che siamo nei guai, col petrolio. Anche la situazione del gas naturale è minacciosa in modo simile, salvo qualche dettaglio tecnico: per inciso io qui mi riferisco al gas metano (CH4), quella cosa che fa funzionare le cucine e i forni di casa, non le macchine e i camion. Il gas naturale non si esaurisce lentamente come il petrolio, seguendo uno schema a campana prevedibile; semplicemente smette di uscire dal sottosuolo quando un certo pozzo è esaurito. Di solito si tende anche ad estrarlo dal medesimo continente in cui viene consumato. Importare il gas naturale da oltremare significa liquefarlo, caricarlo su costose navi cisterna di difficile gestione, e poi scaricarlo in terminali marini appositamente attrezzati.
Metà della case d'America sono riscaldate da caldaie a gas e circa il 16% della nostra elettricità è pure prodotto col gas. L'industria lo usa come ingrediente principale per produrre fertilizzanti, plastiche, inchiostri, colle, vernici, detersivi, repellenti per gli insetti, e molti altri prodotti correnti per la casa. Gomma sintetica e fibre artificiali come il nylon non potrebbero essere fabbricate senza i derivati chimici del gas naturale. In Nord America, la produzione del gas ha raggiunto il picco nel 1973. Stiamo perforando alla massima velocità possibile per mantenere in funzione condizionatori e forni.

Cosa più importante, i problemi del cambiamento climatico si stanno amplificando, ramificando, e a loro volta aggravano quelli legati alle scorte di petrolio e gas in via di esaurimento. Una cosa vista in modo evidente nel 2005, quando temperature dell'oceano lievemente più elevate hanno mandato a infrangersi sulla Costa del Golfo degli Usa gli uragani Katrina e Rita. Quasi un anno dopo, circa il 12% della produzione petrolifera e il 9,5% di quella di gas naturale nella zona non sono ancora riprese, probabilmente per sempre. Molte delle piattaforme non potranno più essere ricostruite, dato che le quantità di petrolio e gas rimaste lì sotto non giustificherebbero la spesa. Se c'è un valore di 50 milioni di dollari in petrolio, a che scopo spenderne 100 per sostituire una piattaforma disastrata ed estrarlo?
Il cambiamento climatico articolerà anche i formidabili problemi dei carburanti alternativi. Mentre sto scrivendo, tutta la fascia nordamericana di produzione dei cereali è nella morsa di una grossa siccità estiva. I raccolti di soia e granturco appassiscono dal Minnesota all'Illinois; il frumento si brucia in Dakotas e Kansas. Nel frattempo, i costi degli “ input ” agricoli – dai carburanti diesel, ai fertilizzanti prodotti col gas naturale, ai pesticidi di origine petrolifera – sono aumentati vertiginosamente a partire dal 2003, con grave preoccupazione dei coltivatori. Sia le condizioni del tempo che i prezzi del petrolio stanno facendo diminuire le quantità dei raccolti, e i metodi di coltivazione che si sono evoluti da dopo la seconda guerra mondiale diventano sempre più sconvenienti. Avremo problemi ad alimentarci negli anni a venire, per non parlare delle molte nazioni che per la propria sopravvivenza dipendono dalle esportazioni di cereali americani. Dunque la sola idea che si possano spostare milioni di ettari dalla coltivazione di alimenti all'etanolo o biodiesel per farne carburanti per le auto, rappresenta un'incredibile incapacità di comprensione di ciò che accade.
Eppure, resta la diffusa idea che qualche combinazione di carburanti alternativi ci salverà da questa difficile situazione col gas e il petrolio consentendoci di continuare e a godere in qualche altro modo quanto l'ex vice presidente Cheney ha definito uno stile di vita americano “non negoziabile”. La verità, è che non esiste alcuna combinazione di carburanti o sistemi alternativi che ci possa consentire di far funzionare l'America, o anche soltanto qualche porzione importante di essa, come avvenuto sinora. Non si possono far andare Wal-Mart, Walt Disney World, Monsanto, e lo Interstate Highway System con nessuna miscela di energia solare o eolica, idrogeno, etanolo, sabbie resinose, argillite petrolifera, idrati di metano, energia nucleare, depolimerizzazione termica, “energie “ zero-point ”, o qualunque cosa vi venga in mente. Dovremo usare, disperatamente, parecchie di queste cose in molti modi, ma probabilmente resteremo delusi da quanto possono davvero fare per noi.

La chiave per capire la sfida che abbiamo di fronte è di ammettere come, complessivamente, si debbano riorganizzare tutte le nostre normali attività di vita quotidiane. Tornerò tra breve su questo tema, ma prima è importante cercare di quantificare la straordinaria mole di idee destinate alla delusione che attualmente oscura la nostra capacità collettiva di riflettere suo questi problemi.
La diffusa voglia di semplicemente staccarsi da gas e petrolio, per infilare la spina di tutto il nostro complesso sistema di in altre fonti energetiche, è un fenomeno preoccupante e interessante a sufficienza da meritare qualche attenzione. La delusione principale forse verrà dall'idea che energie e tecnologie siano cose uguali e intercambiabili. Una convinzione diffusa, che emerge in continuazione nei media, è che quando si finisce l'energia, basti andare a cercare qualche “nuova tecnologia” per continuare a far funzionare le cose. Impareremo presto che la cosa non corrisponde alla realtà. Per esempio, o gli aeroplani commerciali funzionano con carburanti a base di idrocarburi liquidi e a basso costo, oppure non avremo più l'aviazione commerciale come l'abbiamo sino conosciuta. Nessuna altra fonte di energia è così concentrate dal punto di vista del peso, contenuta da quello del volume, e abbondante a sufficienza per fornire la forza necessaria a vincere la gravità di un aeromobile a pieno carico, il tutto replicato migliaia di volte al giorno su tutte le linee del mondo. Nessun altro modo di erogazione dell'energia diverso dagli idrocarburi raffinati consentirà a quel sistema commerciale di funzionare sulle dimensioni a cui siamo abituati. L'unico motivo per cui questo sistema esiste ancora, è che questi carburanti sono stati a buon mercato e abbondanti. Non possiamo sostituire l'intera flotta di aeromobili del mondo, e del resto non abbiamo ancora inventato alcun tipo di aereo che li possa sostituire.
Ci possono essere altri metodi per spostare le cose al di sopra del suolo, ad esempio palloni, dirigibili, o grandi navi sul modello degli zeppelin . Ma si sposteranno molto più lentamente, portando molto meno carico e passeggeri di quanto abbiamo potuto godere più o meno negli ultimi sessanta anni. Lo scenario più probabile negli anni a venire è che l'aviazione diventi sempre più costosa, una attività di elite , man mano l'età del petrolio si avvicinerà alla fine, per poi non esistere più del tutto.
Un altro grosso errore chef a chi non presta sufficiente attenzione, è di non calcolare le conseguenze non note delle nuove tecnologie, che piuttosto spesso aggiungono nuovi problemi a quanto esistente. Nel settore energetico, uno degli esempi più evidenti è la breve storia dell'ultima vera grande scoperta petrolifera del mondo, i giacimenti del Mare del Nord fra Norvegia e Gran Bretagna. Furono scoperti negli anni ‘60, entrarono in produzione alla fine dei ‘70, pompavano a pieno ritmo verso la fine dei ‘90. Poi, attorno al 1999, hanno raggiunto un picco, e ora sono in estremamente rapido declino: fino al meno 50% l'anno in alcuni pozzi britannici. Il fatto che siano stati perforati con le ultime e migliori tecnologie ha significato che lo sfruttamento sia avvenuto con straordinaria efficienza. Le “nuove tecnologie”, semplicemente, hanno accelerato la discesa della Gran Bretagna verso una povertà energetica. Ora, dopo una cuccagna durata vent'anni nel Mare del Nord, e una relativa orgia di suburbanizzazione, il paese sta ricominciando ad essere un importatore di energia. Presto I britannici non avranno più alcun petrolio del Mare del Nord, e si ritroveranno al di sotto del regime di dieta energetico dei grigi anni ‘50.

Se si vuole davvero comprendere l'inclinazione del pubblico statunitense per lo wishful thinking , si consideri questo: nell'ultima parte del XX secolo abbiamo investito gran parte della nostra ricchezza in un'organizzazione della vita che non ha futuro. Il suburbio americano rappresenta la peggiore cattiva allocazione di risorse della storia del mondo. Le lottizzazioni residenziali spinte sempre più lontano, le fasce commerciali stradali, i negozi big-box , e tutti gli altri accessori della dipendenza estrema dall'automobile funzionano molto male, o non funzionano affatto, nel futuro del petrolio scarso. Punto e basta. Si tratta di un dilemma che ora comporta un'approfondita analisi psicologica dei nostri investimenti precedenti, che ci spinge a difendere disperatamente tutti i nostri errori, o per lo meno ci impedisce di abbandonare gli assunti privi di valore per il futuro. A peggiorare il disastro, c'è ahimè il fatto che la febbrile costruzione di suburbi con ancora meno futuro (meglio nota come la “bolla immobiliare”) ha insidiosamente sostituito la produzione industriale come base della nostra economia.
Contemporaneamente, il decentramento produttivo verso altre nazioni ha stimolato lo sviluppo della “economia globale” che grandi opinionisti come Tom Friedman, editorialista del New York Times (autore di Il mondo è piatto ) affermano essere uno stato delle cose a cui faremmo meglio ad abituarci. Probabilmente è più preciso affermare che l'economia globale è una serie di correlazioni economiche temporanee verificatasi a causa di due fondamentali (e temporanee) condizioni: mezzo secolo di relativa pace fra le grandi potenze, e mezzo secolo di energia abbondante e a poco prezzo da fonti fossili. Queste due condizioni, reciprocamente dipendenti probabilmente giungeranno alla fine, con le grandi potenze a cominciare un'aspra lotta per le risorse energetiche mondiali restanti, e il mondo è destinato a diventare sempre più grande e sempre meno piatto, man mano si dipanano queste relazioni economiche.

Questo, più o meno, lo stato del paese al momento attuale. É profondamente e tragicamente ironico, che più aumentano le informazioni di cui siamo bombardati, meno sembriamo comprendere. Ci sono reti televisive via cavo e siti informativi internet oltre ogni misura, e pure siamo incapaci di elaborare questo diluvio di informazioni entro una discussione pubblica sui cambiamenti fondamentali che la nostra civiltà si trova ad affrontare: per non parlare di una scaletta adeguata su come superare le difficoltà. E intanto, Cbs News racconta a milioni di spettatori che le sabbie oleose dell'Alberta risolveranno tutti i nostri problemi, oppure (due settimane dopo) che i giacimenti carboniferi sotto il Montana e lo Wyoming consentiranno a tutto di proseguire come prima, mentre la Cnn dice ad altri parecchi milioni di spettatori che possiamo far funzionare tutto a etanolo, come si fa in Brasile.
Naturalmente, il peggiore ostacolo ad una riflessione serena fra persone e organizzazioni in America oggi, è l'ossessione di mantenere ad ogni costo le auto circolanti. Ne condivide la colpa anche la comunità degli ambientalisti. Lo stimato Rocky Mountain Institute ha sviluppato per dieci anni un progetto di “ iper-auto ” in grado di viaggiare in autonomia su distanze soprannaturali, nella convinzione che sarebbe stata un vantaggio ecologico. In che modo si trattava di una prospettiva fuorviante? Ha soltanto diffuso l'idea che si potesse continuare ad essere una società dipendente dalle auto; il progetto ha a malapena fatto cenno al valore delle città pedonali e del trasporto pubblico.
Il caso più eclatante di cecità collettiva è la nostra incapacità anche soltanto di iniziare una discussione pubblica sul ripristino del sistema ferroviario passeggeri Usa, diventato tanto decrepito che anche la Bulgaria se ne vergognerebbe. É una cosa che potremmo fare subito, e che avrebbe un impatto sostanziale sul nostro consumo di petrolio. Le infrastrutture ci sono, e aspettano di essere sistemate. L'opera di ripristino darebbe lavoro a centinaia di migliaia di americani, a tutti i livelli, per un lavoro dotato di senso. Il fatto che a malapena se ne parli – in qualunque posizione dello spettro politico, da sinistra, al centro, a destra – mostra quanto siamo fondamentalmente poco seri.
E non va bene. É indegno della nostra storia, della nostra tradizione, dei sacrifici dei nostri antenati. É totalmente incompatibile con qualunque idea descrivibile di responsabilità per il futuro.
Dobbiamo fare di meglio. Dobbiamo cominciare da subito a organizzarci diversamente . Dobbiamo iniziare la transizione verso qualche modo di vita che ci consenta di proseguire il progetto di civiltà: e vorrei confutare l'idea proposta da Daniel Quinn e altri, della stessa civiltà come nostra nemica, come cosa a cui porre termine. La serie dei passi per affrontare decisamente i nostri problemi, in realtà, si può descrivere con una certa precisione. Dobbiamo organizzarci diversamente per le attività fondamentali della vita quotidiana.

In generale, le condizioni che abbiamo di fronte rispetto a energia e cambiamento climatico ci chiedono di vivere più localmente, forse in modo più profondo e intenso. Dobbiamo coltivare localmente una maggiore quantità del nostro cibo, su proporzioni inferiori a quanto accade oggi, con meno “ input ” artificiali e forse più lavoro umano e animale. L'attività agricola può avvicinarsi maggiormente ad essere il centro della nostra vita economica, rispetto a quanto è avvenuto a memoria di chiunque viva oggi. Modifiche che probabilmente ravviveranno una serie di conflitti sociali e di classe che pure credevamo di esserci lasciati alle spalle.
Dovremo riorganizzare le attività di scambio ricostruendo le reti dell'interdipendenza economica locale. L'ascesa delle catene di distribuzione nazionali è stata un fatto specifico, risposta auto-organizzata alla situazione degli ultimi anni del XX secolo. Questa situazione ora sta giungendo al termine, e il metodo Wal-Mart di condurre gli affari finirà con essa: la trafila di fornitura da ventimila chilometri dalle fabbriche dell'Asia; o il “magazzino su ruote” composto dalle migliaia di motrici e rimorchi costantemente in circolazione fra i porti di navi container e le ribalte di scarico dei negozi big-box . I danni alle economie locali che si lasciano alle spalle questi “ superstore ” sono enormi. Non solo hanno distrutto le articolate reti locali su vari livelli di produzione e vendita di beni, ma hanno anche distrutto i ceti medi che le gestivano, e nel farlo hanno trascinato alla distruzione lo stesso tessuto socioeconomico delle comunità. C'è molto da far risorgere. Dovremo ricominciare a farci da soli alcune cose, spostandole attraverso reti più circoscritte di scambi. Potremmo avere complessivamente meno cose da comprare. La frenesia commerciale degli ultimi decenni si calmerà, nell'impegno a produrre oggetti di maggior valore, e necessariamente a consumare di meno.
Dovremo riorganizzare anche il modo di trasportare merci e persone. Non solo abbiamo un disperato bisogno di ricostruire il sistema ferroviario, ma anche elettrificarlo – come praticamente tutte le nazioni avanzate hanno già fatto – porterà ulteriori vantaggi, visto che saremo in grado di gestirlo con fonti di energia varie e diverse dai carburanti fossili. Bisogna prevedere un ritorno del traffico marittimo a scala regionale, un maggior uso delle imbarcazioni sui fiumi, canali, altri corpi d'acqua all'interno degli Usa. Molte delle nostre sponde abbandonate e i porti agonizzanti dei Grandi Laghi potrebbero tornare alla vita. Se mai verranno usati i camion per il trasporto merci, sarà per l'ultimissimo tratto del percorso. L'automobile sarà una presenza sempre meno costante nella nostra vita, e sempre più un lusso detestato da chi non può più permettersi di partecipare all'utopia della “ allegra motorizzazione ”. Lo stesso sistema delle arterie interstate richiederà per la manutenzione più risorse di quante potremo dedicare. Per molti di noi, il XXI secolo sarà più un restare dove si è, che un incessante muoversi.

Dobbiamo abitare in modo diverso gli spazi del nord America, vale a dire tornare alle città tradizionali, ai piccoli centri, al quartiere, a un ambiente rurale produttivo, oltre il ruolo di paesaggio o spazi per il tempo libero. Probabilmente vedremo un'inversione della tendenza bi-secolare della migrazione dalle campagne e piccolo centri verso le grandi città. Le nostre grandi città probabilmente si contrarranno in modo sostanziale, anche se ci sarà un processo di ridensificazione, al centro e degli affacci sull'acqua. Il lavoro dei new urbanists sarà fondamentale nella ricostruzione degli habitat umani dotati di prospettive future. I loro risultati sinora si sono limitati a “ new towns ” come Seaside, in Florida, o Kentlands, in Maryland, anziché al recupero di un corpo di conoscenze, principi e metodi di progettazione urbana gettato al vento, nel nostro folle tentativo di realizzare il suburbio drive-in .
É più difficile prevedere esattamente cosa avverrà con l'istruzione o la medicina, salvo che nessuna potrà continuare a funzionare su dimensioni tanto grandi, come ogni altra cosa, e dovrà diventare più ristretta, locale. I distretti scolastici centralizzati, fortemente dipendenti dagli infiniti spostamenti quotidiani dei pulmini gialli, dalle elevatissime tasse locali sulla casa, hanno scarse prospettive di buon funzionamento in un'economia di scarsità energetica. Ma saremo una nazione meno ricca nell'epoca post-petrolifera, e di conseguenza con meno pressioni per sostituirli. Potrebbe nascere un sistema dell'istruzione con basi più locali, meno legato al rapporto casa-istruzione, con le classi organizzate su nuclei più piccoli, di scuole di quartiere. Il college smetterà di essere un consumo di massa, e probabilmente sarà disponibile solo per alcune élites sociali: sempre che continui ad esistere. Contemporaneamente, dobbiamo aspettarci un'epoca di razionamento dei servizi per via della contrazione delle grandi risorse a disposizione del “settore medico”. Anche senza l'incombere della crisi energetica, I sistemi federali di Medicaid e Medicare non sopravviverebbero in futuro col tipo di finanziamento attuale.

Di fatto, si può categoricamente affermare che qualunque cosa strutturata su proporzioni giganti, si tratti di un governo federale, o della Acme Corporation o dell'Università del Michigan, probabilmente arrancherà in un futuro di scarsità energetica. Quindi, non appendiamo le nostre speranze alle imprese multinazionali, alle Ong globali, o a qualunque altra istituzione o struttura di proporzioni giganti.
Alcuni eventi recenti hanno generato tra molti il timore di essere sulla buona strada per un futuro governo tirannico alla Grande Fratello. A mio parere saremo fortunati se il governo federale, nell'era post-petrolifera, riuscirà a rispondere al telefono, figuriamoci regolare la vita di chicchessia. Il potere si decentrerà a scala regionale e locale, mettendo in discussione il ruolo stesso della struttura federale. Anche i governi statali, con le loro enormi burocrazie, potrebbero non uscirne molto meglio. Probabilmente nel corso di questo secolo la vera iniziativa politica si sposterà sulla scala locale, con associazioni di tipo comunitario a consentire alle persone di affrontare i problemi e trovare soluzioni a questa dimensione.
Certo, si tratta di una prospettiva scoraggiante. E qualcuno si starà probabilmente chiedendo come sia possibile conservare qualche speranza, di fronte all'enormità della sfida. Beh, gente, la pura verità è questa: la speranza non è un prodotto di consumo. Bisogna farsela da soli. É possibile dimostrando a sé stessi di essere sufficientemente forti per affrontare la realtà, competenti a sufficienza per confrontarsi con le circostanze che presenta. Come riusciremo a sostenere un livello degno di società di fronte a questi straordinari cambiamenti, dipenderà dalla nostra creatività, generosità, bontà, e sono certo che è possibile trovare risorse del genere nei nostri cuori, e collettivamente nelle nostre comunità.


di James Howard Kunstler
da Orion
scelto e tradotto da Fabrizio Bottini

Nota: James Howard Kunstler è autore di moltissimi testi sul tema dello sprawl o insediamento urbano diffuso, dei trasporti, dell'ambiente, tra cui il notissimo Geography of Nowhere; la versione originale di questo articolo è disponibile anche sul mio sito Mall_int. (fb)